Classe di letteratura - volume 3B

35 40 45 50 55 60 65 70 75 avanzi della cena d ieri . E lo riprende già la scontentezza, forse perché gli tocca di mangiare gli avanzi, freddi e un po irranciditi, forse perché l alluminio della pietanziera comunica un sapore metallico ai cibi, ma il pensiero che gli gira in capo è: «Ecco che l idea di Domitilla1 riesce a guastarmi anche i desinari lontano da lei . In quella, s accorge che è giunto quasi alla fine, e di nuovo gli sembra che quel piatto sia qualcosa di molto ghiotto e raro, e mangia con entusiasmo e devozione gli ultimi resti sul fondo della pietanziera, quelli che più sanno di metallo. Poi, contemplando il recipiente vuoto e unto, lo riprende di nuovo la tristezza. Allora involge e intasca tutto, s alza, è ancora presto per tornare al lavoro, nelle grosse tasche del giaccone le posate suonano il tamburo contro la pietanziera vuota. Marcovaldo va a una bottiglieria e si fa versare un bicchiere raso all orlo; oppure in un caffè e sorbisce una tazzina; poi guarda le paste nella bacheca di vetro, le scatole di caramelle e di torrone, si persuade che non è vero che ne ha voglia, che proprio non ha voglia di nulla, guarda un momento il calciobalilla per convincersi che vuole ingannare il tempo, non l appetito. Ritorna in strada. I tram sono di nuovo affollati, s avvicina l ora di tornare al lavoro; e lui s avvia. Accadde che la moglie Domitilla, per ragioni sue, comprò una grande quantità di salciccia. E per tre sere di seguito a cena Marcovaldo trovò salciccia e rape. Ora, quella salciccia doveva essere di cane; solo l odore bastava a fargli scappare l appetito. Quanto alle rape, quest ortaggio pallido e sfuggente era il solo vegetale che Marcovaldo non avesse mai potuto soffrire. A mezzogiorno, di nuovo: la sua salciccia e rape fredda e grassa lì nella pietanziera. Smemorato com era, svitava sempre il coperchio con curiosità e ghiottoneria, senza ricordarsi quel che aveva mangiato ieri a cena, e ogni giorno era la stessa delusione. Il quarto giorno, ci ficcò dentro la forchetta, annusò ancora una volta, s alzò dalla panchina, e reggendo in mano la pietanziera aperta s avviò distrattamente per il viale. I passanti vedevano quest uomo che passeggiava con in una mano una forchetta e nell altra un recipiente di salciccia, e sembrava non si decidesse a portare alla bocca la prima forchettata. Da una finestra un bambino disse: Ehi, tu, uomo! Marcovaldo alzò gli occhi. Dal piano rialzato di una ricca villa, un bambino stava con i gomiti puntati al davanzale, su cui era posato un piatto. Ehi, tu, uomo! Cosa mangi? Salciccia e rape! Beato te! disse il bambino. Eh fece Marcovaldo, vagamente. Pensa che io dovrei mangiare fritto di cervella Marcovaldo guardò il piatto sul davanzale. C era una frittura di cervella morbida e riccioluta come un cumulo di nuvole. Le narici gli vibrarono. Perché: a te non piace, il cervello? chiese al bambino. No, m hanno chiuso qui in castigo perché non voglio mangiarlo. Ma io lo butto dalla finestra. E la salciccia ti piace? Oh, sì, sembra una biscia A casa nostra non ne mangiamo mai Allora tu dammi il tuo piatto e io ti do il mio. Evviva! Il bambino era tutto contento. Porse all uomo il suo piatto di maio- 1 Domitilla: è la moglie di Marcovaldo. L AUTORE / ITALO CALVINO / 633

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Dalla Prima guerra mondiale a oggi