CONSONANZE CONTEMPORANEE - Edoardo Albinati - Diario da

CONSONANZE CONTEMPORANEE Edoardo Albinati DIARIO DA KABUL Dopo l attacco terroristico contro le Torri Gemelle di New York (11 settembre 2001), in seguito al rifiuto del regime fondamentalista dei talebani di consegnare Osama Bin Laden (ritenuto l ideatore della strage) agli Stati Uniti, questi ultimi, insieme al Regno Unito, decisero di sottoporre l Afghanistan a pesanti bombardamenti aerei. Diverse organizzazioni internazionali si mobilitarono allora con missioni umanitarie a sostegno della popolazione civile, piegata sia dalla dittatura talebana sia dai bombardamenti tesi a liberarla da essa. Questi bombardamenti, come è facile immaginare, ebbero infatti tragiche conseguenze in termini di perdita di vite umane. Lo scrittore romano Edoardo Albinati (n. 1956) che nel 2016 avrebbe vinto il prestigioso premio Strega con il romanzo La scuola cattolica dal 7 aprile al 31 luglio del 2002 è stato volontario delle Nazioni Unite a Kabul, al servizio dell Alto commissariato ONU per i rifugiati. Il suo libro Il ritorno (2002) è il racconto in presa diretta di quell esperienza. Il testo procede in maniera diaristica, attraverso rapide notazioni riguardanti anche episodi minuti dell attività quotidiana del servizio prestato dall autore. La tragedia collettiva di un intero popolo di cui Albinati è testimone viene raccontata all insegna di una pluralità di toni, che non esclude, a tratti, la leggerezza di uno sguardo ironico. Ciò non significa sminuire la terribile portata degli eventi che scorrono nel libro, ma riportare il tutto a una dimensione più concreta. Il realismo della narrazione si coglie nel fatto che lo scrittore non sembra affatto intenzionato ad abbellire o edulcorare ciò che ha visto e vissuto; piuttosto il suo intento è quello di una registrazione il più possibile oggettiva degli accadimenti. Mattinata all ex Soviet Compound. Come dice il nome, è una borgata in stile sovietico, recintata come una fabbrica: 24 palazzi di cui è rimasta solo la muratura. Ci abitavano 2500 famiglie di sfollati per lo più provenienti dall altopiano di Shomali, a nord di Kabul. Sono i disperati della terra. Da un mese è stato avviato un programma per aiutarli a tornare nei luoghi di origine. Ci sono ancora migliaia di persone nel Compound, oggi parte un grosso convoglio di 220 famiglie, diretto nei villaggi di Shomali. Prima di andar via hanno divelto le porte con gli stipiti, le finestre, le ringhiere, le tubature, il piombo e i cavi elettrici. Hanno strappato via singoli mattoni. Alcuni quadrati di materia scura segnano il punto dove fino a qualche giorno fa si trovavano le latrine, che sono state smontate pezzo a pezzo. Strati freschi su strati solidifica- ti. Il puzzo serve almeno a non finirci dentro con tutte le scarpe, ma è difficile in questa ressa orientarsi. Jette1 si muove di continuo, non sta mai ferma in un luogo per più di un minuto, spezza l accerchiamento della folla con mosse imprevedibili, lancia i suoi avvisi e poi riparte, andando di palazzina in palazzina. Le famiglie hanno accumulato le loro povere masserizie più gli arredi che sono riusciti a svellere dagli appartamenti e ora aspettano di caricarli sui camion. Intorno a Jette si affollano le donne in burqa2 sventolando foglietti sgualciti. I loro nomi non risultano negli elenchi stilati il giorno prima. Non abitano qui, sono kabulesi, infiltrate stamattina nel Soviet Compound quando era ancora buio per ricevere gli aiuti. J. prende questi foglietti fabbricati in casa e li butta per aria in modo teatrale perché sia chiaro che con quelli non otterranno niente, inutile imbrogliare. La gente intorno invece di infuriarsi, ride, e per un istante la pressione si allenta. J. ne approfitta per muoversi. Io ho paura e la seguo passo passo; quando la perdo nei suoi repentini scatti laterali e rimango indietro, inglobato nella ressa, sento una certa ansia e un freddo improvviso. Questa folla mi mette angoscia. Quando uno dei questuanti3 si fa più minaccioso e alza le mani e grida, Jette reagisce urlando anche lei, dicendo frasi dure: «Se pretendi che portiamo anche te sei uno stupido! Perché se oggi portiamo anche te, invece di due litri d acqua per famiglia ce ne sarà uno solo! E i tuoi bambini soffriranno la sete! Devi aspettare il prossimo convoglio! . L acqua infatti è razionata. Jahid traduce, la gente si calma per un istante, Jette riparte alla volta della prossima palazzina, e io dietro. «Siccome le mie parole non le capiscono, almeno capiscono il tono con cui le dico! e va avanti a testa bassa, come un giocatore di rugby, scartando pozze di fango, saltando buche e tappeti di escrementi. Dai balconi senza ringhiera si affacciano donne velate e bambini quasi tutti segnati dalle malattie, pustole rosse sulla faccia, chi non ce l ha vuol dire che le ha già avute e ora sono cicatrici a forma di bollo, con la parte interna rientrata e più chiara. «Odio essere rude mi 1 Jette: è il nome di un altra volontaria. 2 burqua: il costume fatto portare dai talebani, in base a rigi- de prescrizioni religiose, alle donne musulmane per velarne il volto e le fattezze del corpo. Esso copre infatti tutto il corpo, compresa la testa, salvo una fessura all altezza degli occhi. 3 questuanti: questuante è propriamente chi chiede la questua, cioè l elemosina; qui, per estensione, questuanti sono dette le persone che vanno a riscuotere gli aiuti umanitari. 440 / IL SECONDO NOVECENTO E GLI ANNI DUEMILA

Classe di letteratura - volume 3B
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Dalla Prima guerra mondiale a oggi