INTRECCI LETTERATURE STRANIERE - La nausea

intre cci LETTERATURE STRANIERE La nausea La vanità del tutto per Jean-Paul Sartre Fin dalla gioventù, Jean-Paul Sartre (1905-1980) si dedica con pari impegno e con risultati di grande rilievo alla filosofia, alla letteratura e al teatro. Già negli anni Trenta, contemporaneamente alla composizione di una serie di importanti saggi filosofici, Sartre scrive narrativa, pubblicando nel 1938 La nausea: oltre a possedere un indiscutibile valore letterario, questo romanzo (edito in Italia solo nel 1947) è diventato una sorta di manifesto dell Esistenzialismo. La nausea opera che per certi versi Moravia anticipa con Gli indifferenti (1929) e alla quale a sua volta si ispira per il successivo La noia (1960) è un romanzo-saggio, in cui alla narrazione vera e propria si alternano pagine di taglio filosofico, nelle quali lo scrittore denuncia il processo di reificazione (cioè di riduzione dell individuo a cosa, a oggetto disumanizzato) che in quegli anni gli intellettuali più vigili individuano come tipico del capitalismo avanzato e del consumismo. Il libro narra la storia di un giovane intellettuale, Antoine Roquentin, che si reca in un paese di provincia per svolgere una ricerca storiografica. Qui incontra un mondo molto diverso dal suo, e in particolare un personaggio, l Autodidatta, che per accrescere la propria cultura legge tutti i libri della locale biblioteca. Roquentin stende un diario, mentre sente crescere dentro di sé la «nausea , una sorta di intima consapevolezza della vanità di tutto: della sua esistenza, del suo lavoro, della sua stessa persona. L uomo scrive Sartre «è condannato a essere libero , nel senso che progetta continuamente la propria vita. Ma ogni progetto umano muove da un desiderio di essere totale e assoluto, ossia dal desiderio di essere Dio; e poiché è impossibile che l essere umano sia Dio, egli va incontro allo scacco di tutte le proprie aspirazioni. La Nausea non m ha lasciato e non credo che mi lascerà tanto presto; ma non la subisco più, non è più una malattia né un accesso passeggero: sono io stesso. Dunque poco fa ero al giardino pubblico. La radice del castagno s affondava nella terra, proprio sotto la mia panchina. Non mi ricordavo più che era una radice. Le parole erano scomparse, e con esse, il significato delle cose, i modi del loro uso, i tenui segni di riconoscimento che gli uomini han tracciato sulla loro superficie. Ero seduto, un po chino, a testa bassa, solo, di fronte a quella massa nera e nodosa, del tutto bruta, che mi faceva paura. E poi ho avuto questo lampo d illuminazione. Ne ho avuto il fiato mozzo. Mai, prima di questi ultimi giorni, avevo presentito ciò che vuol dire «esistere . Ero come gli altri, come quelli che passeggiano in riva al mare nei loro abiti primaverili. Dicevo come loro «il mare è verde; quel punto bianco, lassù, è un gabbiano ma non sentivo che ciò esisteva, che il gabbiano era un «gabbiano-esistente ; di solito l esistenza si nasconde. lì, attorno a noi, è noi, non si può dire due parole senza parlare di essa e, infine, non la si tocca. Quando credevo di pensare ad essa, evidentemente non pensavo nulla, avevo la testa vuota, o soltanto una parola, in testa, la parola «essere . [ ] Anche quando guardavo le cose, ero a cento miglia dal pensare che esistevano: m apparivano come un ornamento. Le prendevo in mano, mi servivano come utensili, prevedevo la loro resistenza ma tutto ciò accadeva alla superficie. Se mi avessero domandato che cosa era l esistenza, avrei risposto in buona fede che non era niente, semplicemente una forma vuota che veniva ad aggiungersi alle cose dal di fuori, senza nulla cambiare alla loro natura. E poi, ecco: d un tratto, era lì, chiaro come il giorno: l esistenza s era improvvisamente svelata. Aveva perduto il suo aspetto inoffensivo di categoria astratta, era la materia stessa delle cose, quella radice era impastata nell esistenza. O piuttosto, la radice, le cancellate del giardino, la panchina, la rada erbetta del prato, tutto era scomparso; la diversità delle cose e la loro individualità non erano che apparenza, una vernice. Questa vernice s era dissolta, restavano delle masse mostruose e molli in disordine nude, d una spaventosa e oscena nudità. [ ] Serpente o radice o artiglio d avvoltoio, poco importa. E senza nulla formulare nettamente capivo che avevo trovato la chiave dell Esistenza, la chiave delle mie Nausee, della mia vita stessa. IL GENERE / LA NARRATIVA ITALIANA DEL PRIMO NOVECENTO / 371

Classe di letteratura - volume 3B
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Dalla Prima guerra mondiale a oggi