Al calar della sera, incomincia a dibattersi, prova a staccarsi a volo,11 e ricade,
35 ritrovandosi qualche volta ▶ starnazzante a testa in giù, appeso alla sua catenella.
Nella chiesa del porto, la più antica dell’isola, vi sono delle sante di cera,12
alte meno di tre palmi,13 chiuse in teche di vetro. Hanno sottane di vero merletto,
ingiallite, mantiglie14 stinte di broccatello,15 capelli veri, e dai loro polsi pendono
minuscoli rosari di vere perle. Sulle loro piccole dita, di un pallore mortuario, le
40 unghie sono accennate da un segno filiforme, rosso.
Nel nostro porto non attraccano quasi mai quelle imbarcazioni eleganti, da
sport o da crociera, che popolano sempre in gran numero gli altri porti dell’arcipelago;
vi vedrai delle chiatte16 o dei barconi mercantili, oltre alle barche da pesca
degli isolani. Il piazzale del porto, in molte ore del giorno, appare quasi deserto;
45 sulla sinistra, presso la statua di Cristo Pescatore, una sola carrozzella da nolo17
aspetta l’arrivo del piroscafo di linea, che si ferma da noi pochi minuti, e sbarca
in tutto tre o quattro passeggeri, per lo più gente dell’isola. Mai, neppure nella
buona stagione, le nostre spiagge solitarie conoscono il chiasso dei bagnanti che,
da Napoli e da tutte le città, e da tutte le parti del mondo, vanno ad affollare le
50 altre spiagge dei dintorni. E se per caso uno straniero scende a Procida, si meraviglia
di non trovarvi quella vita promiscua e allegra, feste e conversazioni per le
strade, e canti, e suoni di chitarra e mandolini, per cui la regione di Napoli è conosciuta
su tutta la terra. I Procidani sono scontrosi, taciturni. Le porte sono tutte
chiuse, pochi si affacciano alle finestre, ogni famiglia vive fra le sue quattro mura,
55 senza mescolarsi alle altre famiglie. L’amicizia, da noi, non piace. E l’arrivo di un
forestiero non desta curiosità, ma piuttosto diffidenza. Se esso fa delle domande,
gli rispondono di malavoglia; perché la gente, nella mia isola, non ama d’essere
spiata nella propria segretezza.
Sono di razza piccola, bruni, con occhi neri allungati, come gli orientali. E si
60 direbbero tutti parenti fra di loro, tanto si rassomigliano. Le donne, secondo l’usanza
antica, vivono in clausura come le monache. Molte di loro portano ancora
i capelli lunghi attorcigliati, lo scialle sulla testa, le vesti lunghe, e, d’inverno, gli
zoccoli, sulle grosse calze di cotone nero; mentre che d’estate certune vanno a
piedi nudi. Quando passano a piedi nudi, rapide, senza rumore, e schivando gli
65 incontri, si direbbero delle gatte selvatiche o delle faine.
Esse non scendono mai alle spiagge; per le donne, è peccato bagnarsi nel mare,
e perfino vedere altri che si bagnano, è peccato.
Spesso, nei libri, le case delle antiche città feudali, raggruppate e sparse per la
valle e sui fianchi della collina, tutte in vista del castello che le domina dalla vetta
70 più alta, sono paragonate a un gregge intorno al pastore. Così, anche a Procida,
le case, da quelle numerose e fitte giù al porto, a quelle più rade su per le colline,
fino ai casali18 isolati della campagna, appaiono, da lontano, proprio simili a un
gregge sparso ai piedi del castello. Questo si leva sulla collina più alta, (la quale fra
le altre collinette, sembra una montagna); e, allargato da costruzioni sovrapposte
75 e aggiunte attraverso i secoli, ha acquistato la mole d’una cittadella19 gigantesca.
Alle navi che passano al largo, soprattutto la notte, non appare, di Procida, che
questa mole oscura, per cui la nostra isola sembra una fortezza in mezzo al mare.
Da circa duecento anni, il castello è adibito a penitenziario: uno dei più vasti,
credo, di tutta la nazione. Per molta gente, che vive lontano, il nome della mia
80 isola significa il nome d’un carcere.
Sul lato di ponente che guarda il mare, la mia casa è in vista del castello; ma
a una distanza di parecchie centinaia di metri in linea d’aria, al di là di numerosi
piccoli golfi da cui, la notte, si staccano le barche dei pescatori con le lampàre20 accese.
La lontananza non lascia distinguere le inferriate delle finestruole, né il viavai
85 dei secondini21 intorno alle mura; così che, soprattutto l’inverno, quando l’aria
è brumosa22 e le nubi in cammino gli passano davanti, il penitenziario potrebbe
sembrare un maniero abbandonato, come se ne trovano in tante città antiche.
Una rovina fantastica,23 abitata solo dai serpi, dai gufi e dalle rondini.