T8 - Upupa, ilare uccello calunniato

T8

Upupa, ilare uccello calunniato

Ossi di seppia

“Osso breve”, composto nei primi anni Venti. Nel vasto bestiario poetico di Montale l’upupa ha un ruolo di primo piano: non funerea creatura della notte, come voleva una secolare tradizione letteraria, bensì alato folletto benevolo, messaggero della primavera, in grado di sospendere il naturale corso del tempo.


METRO Endecasillabi e settenari liberamente disposti.
Upupa, ilare uccello calunniato
dai poeti, che roti la tua cresta
sopra l’aereo stollo del pollaio
e come un finto gallo giri al vento;
5      nunzio primaverile, upupa, come
per te il tempo s’arresta,
non muore più il Febbraio,
come tutto di fuori si protende
al muover del tuo capo,
10    aligero folletto, e tu lo ignori.

DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Se in molte culture antiche, in quella greca ma anche in quelle persiana e islamica, l’upupa viene ritenuta una messaggera della divinità, e la sua corona di piume un segno regale, la Bibbia la considera un uccello «immondo», del quale è proibito consumare le carni. Il nome onomatopeico con cui è conosciuta, derivato probabilmente dal suo richiamo, non le ha giovato in campo letterario.
Sfruttando il vocalismo cupo del suo nome i poeti hanno infatti trasformato l’upupa, uccello per lo più diurno, in una funesta abitatrice delle tenebre. Giuseppe Parini, nel Giornole fa sbattere le ali nottetempo in compagnia di «gufi e mostri avversi al sole», gettando strida di malaugurio. Del brano sembra ricordarsi Ugo Foscolo nei Sepolcri, quando – nel lamentare la sorte delle spoglie di Parini – immagina un’upupa uscire al chiaro di luna da un teschio, «e svolazzar su per le croci / sparse per la funerea campagna», dove risuona il suo «luttuoso / singulto». A questa tradizione si rifarà più tardi Giosuè Carducci, che in Giambi ed epodi definisce «funebre» l’upupa.

A restituire il giusto onore all’uccello calunniato provvede Montale. Come nei Limoni ( T1, p. 265) il poeta ligure intende contrapporsi agli stereotipi dei colleghi «laureati»: se là si trattava di piante («bossi ligustri o acanti»), qui ci spostiamo nel regno animale a cui appartiene l’upupa, che nella realtà assomiglia più al vivace folletto descritto da Montale che non al lugubre uccello raffigurato dagli autori precedenti. Essa viene così ad affiancarsi alle tante altre creature alate che popolano gli Ossi di seppia: merli, falchi, martin pescatori, gufi, ghiandaie, pavoncelle, cormorani.

 >> pagina 287 
Ancora una volta Montale mette in scena un evento in qualche misura portentoso collegato a un fenomeno naturale: l’upupa sembra in grado di comandare il tempo e regolare il ciclo delle stagioni con i movimenti del capo. Insieme alla bella stagione, annuncia la possibilità di interrompere il corso meccanico delle cose: ma non se ne rende conto (e tu lo ignori, v. 10). La consapevolezza appartiene piuttosto all’io lirico che la osserva e che trova nella sua presenza una tregua al «male di vivere» che lo attanaglia.

Le scelte stilistiche

L’allocuzione del poeta si snoda in un unico periodo, di cui crea una pausa al v. 4 tramite un punto e virgola. Il vocativo è rilanciato a intervalli regolari da epiteti che qualificano positivamente l’upupa: ilare uccello (v. 1); nunzio primaverile (v. 5); aligero folletto (v. 10). Meno fitto del solito è invece il tessuto di assonanze; soltanto due, infine, sono le rime (cresta : arresta, vv. 2 e 6; pollaio : Febbraio, vv. 3 e 7), a cui si aggiunge una rima interna (fuori : ignori, vv. 8 e 10).

VERSO LE COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Fai la parafrasi del testo.

2 La poesia può essere suddivisa in due parti: nella prima si descrivono le azioni dell’upupa e nella seconda i loro effetti. Riferisci in un linguaggio piano le une e gli altri.

ANALIZZARE

3 Analizza la distribuzione degli endecasillabi e dei settenari nel componimento.

INTERPRETARE

4 Quale significato assume l’inconsapevolezza dell’upupa?

SCRIVERE PER...

ESPORRE
5 Conosci altri animali che siano stati oggetto di poesie, racconti, romanzi, ma anche di canzoni o film?
Parlane in un testo espositivo di circa 30 righe.

T9

Arsenio

Ossi di seppia

Composta nel 1927, la poesia venne subito pubblicata su “Solaria” e tradotta sulla rivista del poeta statunitense T.S. Eliot “The Criterion”. È un testo che fa da ponte fra gli Ossi di seppia, dove entrò nella seconda edizione del 1928, nella sezione Meriggi e ombre, e Le occasioni. Una violenta tempesta si avvicina al lungomare di una cittadina balneare. Il poeta esorta il suo alter ego, Arsenio, ad abbandonarsi alla furia degli elementi, per evadere da una quotidianità insostenibile, ma l’illusione è di breve durata.


METRO 5 strofe diseguali, fra i 10 e i 15 versi ciascuna, composte di endecasillabi (ma nella prima strofa il v. 9 è un settenario, i vv. 7 e 11 sono quinari).
I turbini sollevano la polvere
sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi
deserti, ove i cavalli incappucciati
annusano la terra, fermi innanzi
5      ai vetri luccicanti degli alberghi.
Sul corso, in faccia al mare, tu discendi
in questo giorno
or piovorno ora acceso, in cui par scatti
a sconvolgerne l’ore
10    uguali, strette in trama, un ritornello
di castagnette.
È il segno d’un’altra orbita: tu seguilo.
Discendi all’orizzonte che sovrasta
una tromba di piombo, alta sui gorghi,
15    più d’essi vagabonda: salso nembo
vorticante, soffiato dal ribelle
elemento alle nubi; fa che il passo
su la ghiaia ti scricchioli e t’inciampi
il viluppo dell’alghe: quell’istante
20    è forse, molto atteso, che ti scampi
dal finire il tuo viaggio, anello d’una
catena, immoto andare, oh troppo noto
delirio, Arsenio, d’immobilità…

Ascolta tra i palmizi il getto tremulo
25    dei violini, spento quando rotola
il tuono con un fremer di lamiera
percossa; la tempesta è dolce quando
sgorga bianca la stella di Canicola
nel cielo azzurro e lunge par la sera
30    ch’è prossima: se il fulmine la incide
dirama come un albero prezioso
entro la luce che s’arrosa: e il timpano
degli tzigani è il rombo silenzioso.

Discendi in mezzo al buio che precipita
35    e muta il mezzogiorno in una notte
di globi accesi, dondolanti a riva, –
e fuori, dove un’ombra sola tiene
mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita
l’acetilene –
                        finché goccia trepido
40    il cielo, fuma il suolo che s’abbevera,
tutto d’accanto ti ▶ sciaborda, sbattono
le tende molli, un frùscio immenso rade
la terra, giù s’afflosciano stridendo
le lanterne di carta sulle strade.
45    Così sperso tra i vimini e le stuoie
grondanti, giunco tu che le radici
con sé trascina, viscide, non mai
svelte, tremi di vita e ti protendi
a un vuoto risonante di lamenti
50    soffocati, la tesa ti ringhiotte
dell’onda antica che ti volge; e ancora
tutto che ti riprende, strada portico
mura specchi ti figge in una sola
ghiacciata moltitudine di morti,
55    e se un gesto ti sfiora, una parola
ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
nell’ora che si scioglie, il cenno d’una
vita strozzata per te sorta, e il vento
la porta con la cenere degli astri.
 >> pagina 290 

DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Il nome del protagonista richiama da un lato quello dell’autore reale, Eugenio, e dall’altro contiene il prefisso del termine “arsura”, che abbiamo già incontrato come “chiave climatica” degli Ossi di seppia. Arsenio è una controfigura del poeta, che lo invita ad andare incontro alla tempesta, nella quale si concentra l’idea di fuga da un’atmosfera esistenziale insopportabile. Montale inscena in termini narrativi la dialettica fra due aspetti della propria personalità, divisa tra scetticismo e aspirazione alla rinascita vitale. I rumori minacciosi del temporale si mescolano alla musica di un’orchestrina che suona sul lungomare. Il momento pare propizio alla ricerca di un’altra orbita (v. 12), cioè di un’altra dimensione, rispetto a quella consueta in cui l’io si sente soffocare. Di qui gli imperativi con i quali il poeta esorta Arsenio: tu seguilo (v. 12), Discendi (v. 13), Ascolta (v. 24, che all’acme della tensione apre un momento di tregua) e ancora Discendi (v. 34).
Sull’orizzonte marino, dove turbina una tromba d’aria, la luce dei gozzi (v. 38) sembra indicare un altrove, come sarà la luce della «petroliera» nella Casa dei doganieri ( T13, p. 300), composta qualche anno più tardi. La natura, colta in un momento eccezionale, sembra indicare la possibilità di un «varco»: ma, ancora una volta, l’illusione è destinata a svanire.

Arsenio è un indeciso, roso dai dubbi, come lo Zeno di Italo Svevo, che proprio Montale aveva da poco contribuito a far conoscere in un celebre articolo del 1925. La sua drammatica passeggiata verso il mare non approda né a una liberazione né a un esito tragico, ma solo a un acuirsi della percezione della propria fragilità e solitudine. Il tentativo fallito di strapparsi alle vecchie, frustranti abitudini è reso tramite la metafora del giunco (v. 46) che trascina con sé le proprie radici, non mai / svelte (vv. 47-48). La metamorfosi vegetale di questo antieroe, più che al panismo di Alcyone, va riconnessa al canto XIII dell’Infernoin cui Dante si inoltra fra gli sterpi dove dimorano le anime dei suicidi, in un luogo deserto eppure percorso da gemiti, che Montale riecheggia ai vv. 49-50 nel vuoto risonante di lamenti / soffocati. In seguito, la ghiacciata moltitudine di morti (v. 54) in cui il protagonista è ricacciato dal “ritorno” degli oggetti consueti (elencati per asindeto come in Forse un mattino andando in un’aria di vetro, T6, p. 282) rimanda a Cocito, il lago ghiacciato del canto XXXII dove sono confitti i traditori. È da notare come negli stessi anni anche Thomas Stearns Eliot, nel poemetto La terra desolata (The Waste Land, 1922), faccia largo ricorso a Dante per conferire agli scenari quotidiani una patina infernale.

Il fulmineo e misterioso cenno d’una / vita strozzata per te sorta (vv. 57-58) introduce in extremis un riferimento a una figura femminile: Arletta. Donna morta troppo giovane, è il corrispettivo della Silvia leopardiana, e tornerà nella Casa dei doganieri. Qui il contatto con Arsenio pare dovuto, più che a una volontà, all’azione del fato: il gesto (v. 55) lo sfiora, la parola gli cade accanto (v. 56), ma il protagonista non ha la forza, la sensibilità, la prontezza di raccoglierla. Il vento, che all’inizio del componimento aveva aperto le porte alla speranza, la disperde ora irrevocabilmente.

Le scelte stilistiche

La figura retorica dominante è l’ossimoro, chiamato a tradurre sul piano stilistico la condanna al dubbio in cui si macera il protagonista nel suo immoto andare, oh troppo noto / delirio, Arsenio, d’immobilità (vv. 22-23). Ancora, sono in rapporto oppositivo la tempesta dolce (v. 27), e il rombo silenzioso (v. 33) dei tuoni, surrogato dal timpano (v. 32), in un perfetto scambio tra suoni della natura e suoni prodotti dall’uomo (l’orchestrina tzigana), che si ripercuote nella sinestesia per cui l’arpeggio dei violini è definito getto tremulo (v. 24), quasi si trattasse di un liquido. Alla stessa maniera, poco dopo, la stella di Canicola non spunta, ma sgorga (v. 28).
La moltitudine di morti (v. 54) in cui da ultimo Arsenio si ritrova è costituita, in realtà, dagli uomini che gli stanno intorno: vivendo senza accorgersene un’esistenza inautentica, essi non sono più che arredi dei luoghi che frequentano, a loro volta compressi in un elenco asindetico, strada portico / mura specchi (vv. 52-53).

 >> pagina 291 

L’intenzione di creare un’atmosfera suggestiva e drammatica guida anche le scelte foniche. In primo luogo va notato il sistematico contrappunto fra il ritmo dettato dalla punteggiatura e la metrica. A dissolvere la regolare cadenza dell’endecasillabo contribuiscono – oltre ai numerosi enjambement – le parole sdrucciole, che compaiono con frequenza assai superiore alla media dell’italiano, cadendo sovente in luoghi privilegiati: in particolare ricorrono alla fine dei versi d’apertura delle strofe (polvere, v. 1; seguilo, v. 12; tremulov. 24; precipita, v. 34).

La penuria di rime perfette (notevole però inciampi : scampi, vv. 18 e 20, che correla la salvezza a un intralcio nella regolarità quotidiana) è compensata dagli accordi fonici che di volta in volta impostano una tonalità dominante. Evidente è per esempio la sequenza or che si impone a partire dal v. 6 (corso, giorno, or piovorno ora acceso, ore, ritornello, e nella strofa successiva orbita, orizzonte, gorghi, vorticante), la sequenza nasale + dentale a partire dal v. 13 (Discendi, orizzonte, tromba, piombo, vagabonda, nembo, vorticante, elemento ecc.) e l’insistenza sulla t che connota l’ultima strofa, fitta di allitterazioni.

VERSO LE COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Dai un titolo a ciascuna strofa e sintetizzane il contenuto.

2 Perché Arsenio può essere considerato una controfigura dell’autore?

3 Che cos’è il salso nembo / vorticante (vv. 15-16)?

ANALIZZARE

4 Individua tutte le allitterazioni presenti nel componimento.

5 Elenca nella tabella i vocaboli tecnici, quelli prosaici e quelli letterari presenti nel componimento.

Vocaboli tecnici

 

Vocaboli prosaici



Vocaboli letterari




6 In che cosa consiste la “tregua” espressa nella terza strofa, e come è connotata dal punto di vista stilistico?

INTERPRETARE

7 Quale significato assume il temporale?

SVILUPPARE IL LESSICO

8 Distingui, nel componimento, i verbi alla seconda persona dell’indicativo presente e quelli alla seconda persona dell’imperativo presente: in che modo questi due modi verbali contribuiscono alla creazione del “personaggio” di Arsenio?

Indicativo
Imperativo
 

 

SCRIVERE PER...

ARGOMENTARE
9 In questa e in altre poesie Montale fa riferimento a una serie di oggetti, di abitudini e di circostanze che ci inchiodano alla vita di sempre, impedendoci di aprirci a possibilità diverse. Quali sono a tuo avviso questi oggetti e questi comportamenti che nella vita di ciascuno funzionano come “radici” che ci legano all’esistenza consueta? Rispondi in un testo argomentativo di circa 30 righe, facendo riferimento alle tue esperienze e alle tue osservazioni.

Classe di letteratura - volume 3B
Classe di letteratura - volume 3B
Dalla Prima guerra mondiale a oggi