Pagine di realtà - A che cosa serve la poesia, se nessuno la legge?

Educazione CIVICA – Pagine di realtà

A che cosa serve la poesia, se nessuno la legge?

La crisi del ruolo sociale del poeta, di cui parla Montale in Non chiederci la parola non si è risolta nei decenni successivi, anzi caso mai si è accentuata. Oggi la poesia sembra interessare molte meno persone che in passato, al punto che – come rileva il giornalista Luca Vaglio (n. 1973) – i nomi dei poeti contemporanei sono decisamente poco noti non solo al grande pubblico, ma anche alle persone colte. Dobbiamo dunque pensare che i poeti e la poesia siano destinati a non avere più spazio nel mondo di domani?

“Provate a chiedere a un avvocato, a un medico, a un ingegnere o anche a un pubblicitario di dirvi quali siano i poeti italiani di età compresa tra i settanta e i quarant’anni che apprezzano di più. È abbastanza facile che molti tra gli intervistati non saprebbero che cosa dire, quali nomi fare. Potrete obiettare che si tratta di un test del tutto empirico, a cui sono ammesse numerose eccezioni.
D’accordo, è così. Ma è probabile che, ripetendo l’esperimento, si avrebbe alla fine l’impressione che i poeti italiani contemporanei, anche quelli con un percorso più solido, fuori dall’ambito stretto di chi scrive poesia, di chi la legge e la studia per passione o per lavoro, siano poco conosciuti, anche tra persone di buona cultura.
C’è chi può considerare la cosa ovvia e legata a questioni di mercato: si vendono pochi libri di poesia, è normale che i poeti non siano conosciuti dal grande pubblico. [...] Ma non è questo il punto, la poesia, salvo rari casi, non ha mai venduto molto. Tuttavia, se, prendendo un caffè al bar, si chiede ai presenti chi erano Eugenio Montale e Giuseppe Ungaretti è probabile che molti, o tutti, sappiano rispondere. E lo stesso succederebbe se con una macchina del tempo ci si potesse fiondare in un bar di cinquanta anni fa. Insomma, non è azzardato affermare che in Italia alcuni decenni fa la poesia e i poeti erano ben più conosciuti, se non letti, di quanto lo siano ora. Eppure i poeti italiani restano numerosi. Ma hanno perso visibilità, sono, per usare una locuzione moderna, familiare agli esperti di marketing, meno percepiti che in passato.
Non è secondario notare che la progressiva perdita di visibilità e di rilevanza collettiva della poesia in Italia, verosimilmente, inizia a farsi più acuta tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, quando alcuni dei poeti maggiori di quel periodo, quali Vittorio Sereni, Attilio Bertolucci, Giovanni Raboni e Antonio Porta si trovano in una posizione di forza all’interno dell’industria culturale, ricoprendo ruoli di vertice presso editori come Mondadori, Bompiani, Guanda e Feltrinelli. Quali sono le ragioni di un cambiamento così rapido? Il buon senso ci dice che la domanda potrebbe non avere una risposta, almeno non una risposta chiara, immediata e lineare. La diffusione della conoscenza, la fruizione della cultura da sempre seguono logiche complesse, si legano a diversi fattori, a processi lunghi e di ampio respiro. Però, forse è opportuno interrogarsi sul tema, approfondire il discorso.
[...] Nel saggio Sulla poesia moderna (2005) il critico Guido Mazzoni [...] sostiene che negli ultimi due secoli la poesia sia stata il mezzo per esprimere soprattutto esperienze private, singolari e non confrontabili: «La poesia è il più soggettivo ed egocentrico dei generi letterari, quello che, nella sua forma più comune, parla di contenuti personali in uno stile che vuole essere personale, cioè lontano dal modo ordinario di dire le cose. [...] Non a caso il poeta è il primo artista a perdere il mandato sociale». Mandato che di recente, secondo l’autore, è stato raccolto dalla canzone, più adatta a parlare ai molti, a contenere in forme sintetiche quel bisogno profondo e tipico dell’umanità evoluta di rappresentare con le parole memorie, emozioni e immaginazioni. [...]
È interessante rilevare che questa dinamica si concretizza in anni in cui si pubblica moltissima poesia, quanta probabilmente non se ne è mai pubblicata in precedenza. Infatti, se è vero che i grandi editori hanno nel complesso ridotto lo spazio per i poeti italiani contemporanei, c’è anche [da dire] che oggi nel nostro paese viene stampato un numero assai elevato, e difficile da censire, di libri di poesia presso editori piccoli e a volte piccolissimi. E, va da sé, con i più diversi modi e livelli di scrittura. A questo si aggiungono le poesie pubblicate dai blog letterari, alcuni di qualità e apprezzati dalla comunità degli scrittori, sui siti personali e nei social network. In sintesi: mentre la poesia perde visibilità e prestigio, proliferano le pubblicazioni. [...]
È possibile che ci si trovi soltanto all’inizio di un passaggio epocale, di una svolta di cui al momento è difficile intuire la portata e di cui la percezione collettiva della poesia e degli altri generi letterari è soltanto un aspetto, una proiezione. Tornando indietro nel tempo, l’invenzione della stampa da parte di Johannes Gutenberg nel Quattrocento fu l’origine di trasformazioni sostanziali, rese più facile e democratica la diffusione della cultura, favorì l’affermarsi della riforma protestante e, nel corso dei secoli, alimentò rivoluzioni della conoscenza e tra le classi sociali. Ma è anche vero che l’uso dei caratteri mobili determinò una cesura con la fase precedente, quella dei manoscritti, e in qualche misura con le modalità di accesso allo studio, con la ricchezza e la profondità dei saperi che quella tradizione millenaria portava con sé. Forse abbiamo di fronte soltanto i primi esiti dello scossone che Internet e i media digitali, tra luci e opacità inevitabili, hanno dato alla produzione e alla circolazione della conoscenza, alle dinamiche della politica, della società e dell’identità individuale. Probabilmente sta nella logica delle cose che, quando si fanno più inclusivi e aperti i modi per acquisire le informazioni, ci siano modifiche e fasi di assestamento nella produzione dei contenuti.”

(Luca Vaglio, Un popolo di poeti, ma chi li legge oggi?, glistatigenerali.com, 29 maggio 2015)

leggi e comprendi

1 Da quale piccolo “esperimento sociale” l’autore ritiene che si possa rilevare la scarsa conoscenza della poesia contemporanea da parte delle persone di buona cultura?

2 Quali nuovi canali di pubblicazione della poesia si sono aggiunti alle tradizionali sedi editoriali negli ultimi anni?

RIFLETTI, SCRIVI, SOSTIENI

3 Il poeta Cesare Viviani (n. 1947) ha sostenuto che a influire sulla scarsa considerazione riscossa oggi dalla poesia sia stato in gran parte il mercato dei media: «Dopo gli anni Sessanta, i giornali e la televisione hanno avuto uno sviluppo sempre più pervasivo. In seguito, con Internet e la telefonia mobile il processo si è accentuato. In una società sempre più mediatica, il cui valore principale è quello della comunicazione, la poesia finisce per perdere spazio e rilevanza. Questo accade perché la poesia è in contrasto con il sistema dominante e ha come riferimento proprio ciò che sfugge alla comunicazione, i limiti della comunicazione stessa. La scrittura poetica si pone altre questioni, lavora sulla bellezza del linguaggio, sulla trasmissione dell’esperienza». Sei d’accordo con queste affermazioni? Ritieni anche tu che Internet e i social network sfavoriscano la produzione e la fruizione di poesia? Oppure pensi che queste nuove realtà della comunicazione possano rappresentare per la poesia interessanti opportunità di diffusione? E soprattutto ritieni che la poesia possa incidere nel dibattito pubblico offrendo idee sugli argomenti più scottanti (pace, ambiente, parità di genere ecc.)?
Argomenta il tuo punto di vista, facendo riferimento – se lo ritieni opportuno – alla tua esperienza personale di lettore o di lettrice di poesia.

Classe di letteratura - volume 3B
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