Classe di letteratura - volume 3A

Glossario Clausola Conclusione di uno scritto, di una lettera; chiusa di un periodo, o di un membro del periodo, specialmente con riguardo all ordine delle parole e al ritmo , soprattutto nella prosa d arte antica; clausola ritmica : parte finale di una proposizione o di un periodo dell antica prosa d arte, considerata dal punto di vista del ritmo. Climax Figura retorica, detta anche gradazione o gradazione ascendente, consistente nel passare da un concetto all altro, o nel ribadire un concetto unico con vocaboli sinonimi via via più efficaci e intensi, o più genericamente nel disporre i termini di una frase in ordine crescente di valore e di forza. Esempi: «Quivi sospiri, pianti e alti guai / risonavan per l aere sanza stelle (Dante, Inferno, III, 22-23); «la terra ansante, livida, in sussulto; / il cielo ingombro, tragico, disfatto (G. Pascoli, Il lampo, vv. 2-3). Congedo Stanza finale di una canzone o di una sestina , detta anche commiato. Consonanza Accordo delle sillabe finali, che forma la rima ; talora s intende per c. l uguaglianza delle sole consonanti nella terminazione di due parole (per es., mare e dolore; padre e leggiadro), contrapposta all assonanza in cui sono identiche solo le vocali. D Decasillabo Verso composto di 10 sillabe metriche, la cui varietà con accenti ritmici sulla 3ª, 6ª e 9ª sillaba, senza cesura, è molto orecchiabile. Esempi: «a lo stomaco // dolur pognènti (Iacopone da Todi, O Signor, per cortesia, v. 9); «Soffermàti sull àrida sp nda (A. Manzoni, Marzo 1821, v. 1). Nell uso antico, ripreso dai romantici e poi da Pascoli, è spesso nella forma di un doppio quinario con cesura fissa dopo il primo quinario. Esempio: «Al mio cantuccio, // donde non sento (G. Pascoli, L ora di Barga, v. 1). Diegesi Nel linguaggio della critica strutturalista, la linea del racconto, nel suo svolgimento essenziale (in un opera letteraria, teatrale, cinematografica e simili). Discorso indiretto Comporta una riformulazione delle parole o delle frasi proprie o altrui. Si può presentare come proposizione oggettiva o interrogativa indiretta, sia esplicita sia implicita. Nel passaggio dal discorso diretto a quello indiretto si verificano alcuni cambiamenti: la 1ª e la 2ª persona (singolare e plurale) del discorso diretto diventano rispettivamente la 3ª singolare e la 3ª plurale; le interiezioni, i vocativi, le formule di saluto e alcuni tratti colloquiali scompaiono, perché non possono essere riprodotti, se non con perifrasi . Discorso indiretto libero Riporta un discorso in forma indiretta, ma con alcune caratteristiche specifiche. A differenza di quanto accade di solito nel discorso indiretto , non è introdotto da verbi come dire , sostenere , affermare , dichiarare ecc. Come invece accade sovente nel discorso diretto, spesso presenta al suo interno interiezioni, esclamazioni, avverbi di luogo e tempo, frasi interrogative dirette, frasi ellittiche e vari costrutti tipici del parlato, mentre i tempi verbali più usati sono l indicativo imperfetto e il condizionale passato, che permettono una maggiore vicinanza di chi scrive a ciò che si racconta. Molto in voga nella prosa narrativa tra Ottocento e Novecento, il discorso indiretto libero ha lo scopo di riferire in 3ª persona le parole e i pensieri di un personaggio, combinandoli con quelli della voce narrante. 826 Esempio: «Ormai! Che doveva importargli delle stramberie dell avvocato? Ma se fosse vero? Eh, via! Ma infine, se fosse vero? (L. Capuana, Il marchese di Roccaverdina, cap. 8). Dittologia In retorica, ripetizione di una parola (come bello bello , alto alto ), oppure giustapposizione di una parola a un altra ( ubriaco fradicio , pieno zeppo ), con funzione rafforzativa; è detta d. sinonimica quella in cui si ha giustapposizione di una coppia di sinonimi o quasi sinonimi. Esempio: «[ ] Ella già sente / morirsi, e l piè le manca egro e languente (T. Tasso, Gerusalemme liberata, XII, ott. 64). E Ellissi Figura retorica che consiste nell omissione, in una proposizione, di uno o più elementi che si possono sottintendere (per esempio, il verbo) conferendo all enunciato più concisione ed efficacia. Esempio: «Gemmea l aria, il sole così chiaro (G. Pascoli, Novembre, v. 1). Emistichio Nella metrica classica, ciascuna delle 2 parti in cui il verso viene diviso dalla cesura . Nella metrica medievale e moderna, la prima o la seconda metà di un verso divisibile in due (come, per es., l alessandrino). Endecasillabo Verso composto di 11 sillabe, il più importante e vario della tradizione poetica italiana per le sue molteplici soluzioni metriche (in base al numero degli accenti e delle pause); di largo impiego nel poema in terzine (Dante, che lo definì superbissimum carmen) e in ottave (L. Ariosto, T. Tasso), nella poesia tragica, nel sonetto o, alternato al settenario , nella canzone antica e leopardiana. Le origini risalgono alla poesia dei primi siciliani (fine XII sec.), che probabilmente lo ripresero dai poeti provenzali. Gli accenti ritmici possono essere disposti in modo vario; l unica costante è l accento fisso sulla 10ª sillaba. Nella varietà delle configurazioni, si presentano con maggiore frequenza gli schemi con accento sulla 4ª sillaba e con accento sulla 6ª sillaba: l e. risulta diviso in 2 membri o emistichi e prende il nome, nel primo caso, di e. a minore («sì che l piè férmo // sempre era l più bàsso , Dante, Inferno, I, 30), nel secondo, di e. a maiore («l amor che move il s le // e l altre stélle , Dante, Paradiso, XXXIII, 145). Endiadi Figura retorica per cui un concetto viene espresso con due termini coordinati, di solito due sostantivi al posto di un sostantivo determinato da aggettivo o complemento di specificazione. Esempi: «con tante note sì pietose et scorte (F. Petrarca, Canzoniere, 311, 4), a significare suoni modulati in maniera tanto commossa ; «di ceneri e di pomici e di sassi / notte e ruina (G. Leopardi, La ginestra, vv. 215-216), cioè tenebrosa rovina . Enjambement Superamento logico e sintattico del limite ritmico del verso, ottenuto con la collocazione nel verso successivo di un termine strettamente connesso ad altro del precedente. Mentre poeti come Dante tendono a far coincidere l unità metrica del singolo verso con l unità sintattica e concettuale di una frase, di modo che ogni singolo verso abbia un significato compiuto e autonomo, a partire dal Cinquecento e sempre più spesso nell Otto e Novecento, i poeti spezzano i nessi unitari, sia per dare maggiore rilievo a singoli elementi dei versi, sia per creare una più intensa fluidità ritmica che modifichi la rigida e monotona scansione dei versi. Esempio: «Da la torre di piazza roche per l a re le ore / gemon [ ] / Picchiano uccelli raminghi a vetri appannati: gli amici / spiriti reduci son (G. Carducci, Nevicata, vv. 5-8).

Classe di letteratura - volume 3A
Classe di letteratura - volume 3A
Dal secondo Ottocento al primo Novecento