Classe di letteratura - volume 3A

75 80 85 90 95 100 105 110 115 tire per sorridere così delle sue paure. Quel sorriso mi rimase tanto impresso che lo ricordai subito12 ritrovandolo un giorno sulle labbra di mia moglie. Non fu poi la mancanza di denaro che mi rendesse difficile di soddisfare il mio vizio, ma le proibizioni valsero ad eccitarlo. Ricordo di aver fumato molto, celato in tutti i luoghi possibili. Perché seguito da un forte disgusto fisico, ricordo un soggiorno prolungato per una mezz ora in una cantina oscura insieme a due altri fanciulli di cui non ritrovo nella memoria altro che la puerilità13 del vestito: due paia di calzoncini che stanno in piedi perché dentro c è stato un corpo che il tempo eliminò. Avevamo molte sigarette e volevamo vedere chi ne sapesse bruciare di più nel breve tempo. Io vinsi, ed eroicamente celai il malessere che mi derivò dallo strano esercizio. Poi uscimmo al sole e all aria. Dovetti chiudere gli occhi per non cadere stordito. Mi rimisi e mi vantai della vittoria. Uno dei due piccoli omini mi disse allora: «A me non importa di aver perduto perché io non fumo che quanto m occorre . Ricordo la parola sana e non la faccina certamente sana anch essa che a me doveva essere rivolta in quel momento. Ma allora io non sapevo se amavo o odiavo la sigaretta e il suo sapore e lo stato in cui la nicotina mi metteva. Quando seppi di odiare tutto ciò fu peggio. E lo seppi a vent anni circa. Allora soffersi per qualche settimana di un violento male di gola accompagnato da febbre. Il dottore prescrisse il letto e l assoluta astensione dal fumo. Ricordo questa parola assoluta! Mi ferì e la febbre la colorì. Un vuoto grande e niente per resistere all enorme pressione che subito si produce attorno ad un vuoto. Quando il dottore mi lasciò, mio padre (mia madre era morta da molti anni) con tanto di sigaro in bocca restò ancora per qualche tempo a farmi compagnia. Andandosene, dopo di aver passata dolcemente la sua mano sulla mia fronte scottante, mi disse: «Non fumare, veh! . Mi colse un inquietudine enorme. Pensai: «Giacché mi fa male non fumerò mai più, ma prima voglio farlo per l ultima volta . Accesi una sigaretta e mi sentii subito liberato dall inquietudine ad onta che14 la febbre forse aumentasse e che ad ogni tirata sentissi alle tonsille un bruciore come se fossero state toccate da un tizzone ardente. Finii tutta la sigaretta con l accuratezza con cui si compie un voto.15 E, sempre soffrendo orribilmente, ne fumai molte altre durante la malattia. Mio padre andava e veniva col suo sigaro in bocca dicendomi: «Bravo! Ancora qualche giorno di astensione dal fumo e sei guarito! . Bastava questa frase per farmi desiderare ch egli se ne andasse presto, presto, per permettermi di correre alla mia sigaretta. Fingevo anche di dormire per indurlo ad allontanarsi prima. Quella malattia mi procurò il secondo dei miei disturbi: lo sforzo di liberarmi dal primo. Le mie giornate finirono coll essere piene di sigarette e di propositi di non fumare più e, per dire subito tutto, di tempo in tempo sono ancora tali. La ridda16 delle ultime sigarette, formatasi a vent anni, si muove tuttavia.17 Meno violento è il proposito e la mia debolezza trova nel mio vecchio animo maggior indulgenza. Da vecchi si sorride della vita e di ogni suo contenuto. Posso anzi dire, che da qualche tempo io fumo molte sigarette che non sono le ultime. 12 lo ricordai subito: mi tornò subito al- la mente. 13 puerilità: foggia infantile. 14 ad onta che: malgrado. 15 un voto: qui un rito . 16 ridda: moto disordinato, continuo sus- seguirsi. 17 tuttavia: tuttora. L AUTORE / ITALO SVEVO / 679

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Dal secondo Ottocento al primo Novecento