Classe di letteratura - volume 3A

260 265 270 275 280 285 290 La morte di Gesualdo e il coro funebre dei servitori 295 «Ah, babbo, babbo! che parole! , singhiozzò Isabella. «Lo farai, eh? lo farai? anche se tuo marito non volesse . Le prese le tempie fra le mani, e le sollevò il viso per leggerle negli occhi se l avrebbe ubbidito, per farle intendere che gli premeva proprio, e che ci aveva quel segreto in cuore. E mentre la guardava, a quel modo, gli parve di scorgere anche lui quell altro segreto,49 quell altro cruccio nascosto, in fondo agli occhi della fi gliuola. E voleva dirle delle altre cose, voleva farle altre domande, in quel punto, aprirle il cuore come al confessore, e leggere nel suo. Ma ella chinava il capo, quasi avesse indovinato, colla ruga ostinata dei Trao fra le ciglia, tirandosi indietro, chiu dendosi in sé, superba, coi suoi guai e il suo segreto. E lui allora sentì di tornare Motta, com essa era Trao,50 diffidente, ostile, di un altra pasta. Allentò le braccia,51 e non aggiunse altro. «Ora fammi chiamare un prete , terminò con un altro tono di voce.52 «Voglio fare i miei conti con Domeneddio . Durò ancora qualche altro giorno così, fra alternative di meglio e di peggio.53 Sembrava anzi che cominciasse a riaversi un poco, quando a un tratto, una notte, peggiorò rapidamente. Il servitore che gli avevano messo a dormire nella stanza accanto l udì agitarsi e smaniare prima dell alba. Ma siccome era avvezzo a quei capricci, si voltò dall altra parte, fingendo di non udire. Infine, seccato da quella canzone54 che non finiva più, andò sonnacchioso a vedere che c era. «Mia figlia! , borbottò don Gesualdo con una voce che non sembrava più la sua. «Chiamatemi mia figlia! . «Ah, sissignore. Ora vado a chiamarla , rispose il domestico, e tornò a coricarsi. Ma non lo lasciava dormire quell accidente! Un po erano sibili, e un po face va peggio di un contrabbasso, nel russare. Appena il domestico chiudeva gli occhi udiva un rumore strano che lo faceva destare di soprassalto, dei guaiti rauchi, come uno che sbuffasse ed ansimasse, una specie di rantolo che dava noia e vi accapponava la pelle. Tanto che infine dovette tornare ad alzarsi, furibondo, ma sticando55 delle bestemmie e delle parolacce. «Cos è? Gli è venuto l uzzolo56 adesso? Vuol passar mattana!57 Che cerca? . Don Gesualdo non rispondeva; continuava a sbuffare supino. Il servitore tol se58 il paralume, per vederlo in faccia. Allora si fregò bene gli occhi, e la voglia di tornare a dormire gli andò via a un tratto. «Ohi! ohi! Che facciamo adesso? , balbettò grattandosi il capo. Stette un momento a guardarlo così, col lume in mano, pensando se era me glio aspettare un po , o scendere subito a svegliare la padrona e mettere la casa sot tosopra. Don Gesualdo intanto andavasi calmando, col respiro più corto, preso da un tremito, facendo solo di tanto in tanto qualche boccaccia, cogli occhi sempre fissi e spalancati. A un tratto s irrigidì e si chetò del tutto. La finestra cominciava a imbiancare.59 Suonavano le prime campane. Nella corte udivasi scalpitare dei 49 quell altro segreto: anche Isabella ave- va avuto un figlio illegittimo dalla relazione con un cugino. 50 E lui allora Trao: Gesualdo percepisce tutta l estraneità che lo separa dalla figlia: lui è Motta, lei è Trao (dal cognome della madre). 51 Allentò le braccia: si sciolse dall abbraccio, quasi in un gesto di resa: il solco di incomunicabilità tra Gesualdo e la figlia non può essere colmato. 52 con voce: il timbro vocale della tenerezza paterna è ormai dissolto. 53 fra alternative di meglio e di peggio: con l alternarsi di miglioramenti e peggioramenti. 54 quella canzone: quei lamenti. L espressione esprime il punto di vista del servito- re, malevolo e seccato. 55 masticando: pronunciando a denti stretti. 56 uzzolo: voglia acuta e improvvisa, capriccio. 57 Vuol passar mattana!: vuol fare il matto! 58 tolse: sollevò. 59 La finestra cominciava a imbiancare: sono le prime luci dell alba. L AUTORE / GIOVANNI VERGA / 257

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Dal secondo Ottocento al primo Novecento