Poemetti
La celebrazione della natura e del mondo rurale Rispetto a Myricae, in questa raccolta domina un’intenzione più narrativa, evidenziata dall’adozione di strutture metriche più ampie, come la terzina dantesca, coerenti con lo scopo di innalzare toni e contenuti: non a caso il poeta colloca in epigrafe l’emistichio virgiliano Paulo maiora (“Cose un po’ più grandi”, cioè temi un po’ più alti). La maggiore altezza annunciata si accompagna alla celebrazione della natura, vista come un salvifico contraltare alla realtà brutale e artificiosa della civiltà industriale. In quest’ottica vanno dunque comprese l’esaltazione della piccola proprietà rurale e la mitizzazione della siepe come protezione, reale e metaforica, di un mondo-«nido» ancorato all’immutabile semplicità di azioni, riti e pratiche quotidiane, correlati ai cicli delle stagioni.
T12
Italy
Primi poemetti, Canto primo, I-V
Il poemetto racconta in due canti di complessivi 450 versi la storia della piccola Maria-Molly, che dagli Stati Uniti viene portata in Italia, nel paese d’origine del padre, nella speranza che il clima mite la possa guarire dalla tubercolosi. Qui la bambina conosce un mondo diverso da quello in cui ha vissuto fino a quel momento e fa fatica ad ambientarsi. Poi, però, a poco a poco il solco che la divide dai suoi parenti si assottiglia, fino a scomparire: la bambina guarisce e, prima di partire, promette di tornare, un giorno, da quella che ora riconosce come la sua famiglia.
Sacro all’Italia raminga*
I
A Caprona, una sera di febbraio,
gente veniva, ed era già per l’erta,
veniva su da Cincinnati, Ohio.
La strada, con quel tempo, era deserta.
5 Pioveva, prima adagio, ora a dirotto,
tamburellando su l’ombrella aperta.
La Ghita e Beppe di Taddeo lì sotto
erano, sotto la cerata ombrella
del padre: una ragazza, un giovinotto.
10 E c’era anche una bimba malatella,
in collo a Beppe, e di su la sua spalla
mesceva giù le bionde lunghe anella.
Figlia d’un altro figlio, era una talla
del ceppo vecchio nata là: Maria:
15 d’ott’anni: aveva il peso d’una galla.
Ai ritornanti per la lunga via,
già vicini all’antico ▶ focolare,
la lor chiesa sonò l’Avemaria.
Erano stanchi! avean passato il mare!
20 Appena appena tra la pioggia e il vento
l’udiron essi or sì or no sonare.
Maria cullata dall’andar su lento
sembrava quasi abbandonarsi al sonno,
sotto l’ombrella. Fradicio e contento
25 veniva piano dietro tutti il nonno.
II
Salivano, ora tutti dietro il nonno,
la scala rotta. Il vecchio Lupo in basso
non abbaiò; scodinzolò tra il sonno.
E tentennò sotto il lor piede il sasso
30 davanti l’uscio. C’era sempre stato
presso la soglia, per aiuto al passo.
E l’uscio, come sempre, era accallato.
Lì dentro, buio come a chiuder gli occhi.
Ed era buia la cucina allato.
35 La mamma? Forse scesa per due ciocchi…
forse in capanna a mòlgere… No, era
al focolare sopra i due ginocchi.
Avea pulito greppia e rastrelliera;
ora, accendeva… Udì sonare fioco:
40 era in ginocchio, disse la preghiera.
Appariva nel buio a poco a poco.
«Mamma, perché non v’accendete il lume?
Mamma, perché non v’accendete il fuoco?»
«Gesù! che ho fatto tardi col rosume…»
45 E negli stecchi ella soffiò, mezzo arsi;
e le sue rughe apparvero al barlume.
E raccattava, senza ancor voltarsi,
tutta sgomenta, avanti a sé, la mamma,
brocche, fuscelli, canapugli, sparsi
50 sul focolare. E si levò la fiamma.
III
E i figli la rividero alla fiamma
del focolare, curva, sfatta, smunta.
«Ma siete trista! siete trista, o mamma!»
Ed accostando agli occhi, essa, la punta
55 del pannelletto, con un fil di voce:
«E il Cecco è fiero? E come va l’Assunta?»
«Ma voi! Ma voi!» «Là là, con la mia croce».
I muri grezzi apparvero col banco
vecchio e la vecchia tavola di noce.
60 Di nuovo, un moro, con non altro bianco
che gli occhi e i denti, era incollato al muro,
la lenza a spalla ed una mano al fianco:
roba di là. Tutto era vecchio, scuro.
S’udiva il soffio delle vacche, e il sito
65 della capanna empiva l’abituro.
Beppe sedé col capo indolenzito
tra le due mani. La bambina bionda
ora ammiccava qua e là col dito.
Parlava, e la sua nonna, tremebonda,
70 stava a sentire e poi dicea: «Non pare
un luì quando canta tra la fronda?»
Parlava la sua lingua d’oltremare:
«… a chicken-house» «un piccolo luì…»
«… for mice and rats» «che goda a cinguettare,
75 zi zi» «Bad country, Ioe, your Italy!»
IV
ITALY, penso, se la prese a male.
Maria, la notte (era la Candelora),
sentì dei tonfi come per le scale…
tre quattro carri rotolarono… Ora
80 vedea, la bimba, ciò che n’era scorso!
the snow! la neve, a cui splendea l’aurora.
Un gran lenzuolo ricopriva il torso
dell’Omo-morto. Nel silenzio intorno
parea che singhiozzasse il Rio dell’Orso.
85 Parea che un carro, allo sbianchir del giorno,
ridiscendesse l’erta con un lazzo
cigolìo. Non un carro, era uno storno,
uno stornello in cima del Palazzo
abbandonato, che credea che fosse
90 marzo, e strideva: marzo, un sole e un guazzo!
Maria guardava. Due rosette rosse
aveva, aveva lagrime lontane
negli occhi, un colpo ad or ad or di tosse.
La nonna intanto ripetea: «Stamane
95 fa freddo!» Un bianco borracciol consunto
mettea sul desco ed affettava il pane.
Pane di casa e latte appena munto.
Dicea: «Bambina, state al fuoco: nieva!
nieva!» E qui Beppe soggiungea compunto:
100 «Poor Molly! qui non trovi il pai con fleva!»
V
Oh! no: non c’era lì né pie né flavour
né tutto il resto. Ruppe in un gran pianto:
«Ioe, what means nieva? Never? Never? Never?»
Oh! no: starebbe in Italy sin tanto
105 ch’ella guarisse: one month or two, poor Molly!
E Ioe godrebbe questo po’ di scianto!
Mugliava il vento che scendea dai colli
bianchi di neve. Ella mangiò, poi muta
fissò la fiamma con gli occhioni molli.
110 Venne, sapendo della lor venuta,
gente, e qualcosa rispondeva a tutti
Ioe, grave: «Oh yes, è fiero… vi saluta…
molti bisini, oh yes… No, tiene un frutti-
stendo… Oh yes, vende checche, candi, scrima…
115 Conta moneta: può campar coi frutti…
Il baschetto non rende come prima…
Yes, un salone, che ci ha tanti bordi…
Yes, l’ho rivisto nel pigliar la stima…»
Il tramontano discendea con sordi
120 brontoli. Ognuno si godeva i cari
ricordi, cari ma perché ricordi:
quando sbarcati dagli ignoti mari
scorrean le terre ignote con un grido
straniero in bocca, a guadagnar danari
125 per farsi un campo, per rifarsi un nido…
DENTRO IL TESTO
I contenuti tematici
Il tema dell’emigrazione è qui tradotto in un vero e proprio racconto, una narrazione di cronaca familiare ispirata a un episodio reale di cui il poeta fu testimone nel 1895 a Caprona, il borgo in cui viveva: il ritorno dagli Stati Uniti di una bambina (Maria o Molly, che nella realtà si chiamava Isabella), nipote di Bartolomeo Caproni detto Zi’ Meo (il fattore di casa Pascoli), figlia di emigranti e venuta in Italia per curare la tubercolosi.
L’emigrazione è per Pascoli una realtà dolorosa, un evento lacerante che scardina il «nido» familiare e determina un profondo trauma interiore in quanto separa dalla comunità contadina d’origine, dalla famiglia e da una cultura secolare. Tuttavia il ritorno al «nido» (alla famiglia, ma anche alla patria) può donare agli emigranti, che hanno sofferto le pene della lontananza e dell’esilio, la salute e la serenità perdute: la malattia e la guarigione di Molly vogliono rappresentare proprio questo.
In tal senso la trama del poemetto non nasconde, attraverso una vicenda esemplare che permette di assimilarlo a un apologo edificante, la velleità dell’autore di cimentarsi con una poesia sociale dalle chiare valenze ideologiche. Quello di Molly-Maria è infatti una sorta di percorso di formazione: la bambina nata in America, dopo l’iniziale disgusto per la povertà della sua famiglia, vi riscopre i suoi stessi valori e la sua stessa identità. Non a caso, ai fanciulli che – nella chiusa del poemetto – le chiederanno se un giorno tornerà in Italia, lei risponderà «Sì», con la prima parola italiana che pronuncia dopo essersi espressa fino ad allora in inglese. Il tema del «nido» si è così dilatato, dall’originario significato autobiografico ed esistenziale, a quello sociale e politico.
Le scelte stilistiche
La materia del componimento, come si è visto, è realistica, ma lo stile non lo è affatto. Troviamo infatti un’amplificazione epica delle scene narrative (che hanno il ritmo di un’arcaica saga contadina), l’indeterminatezza spazio-temporale della vicenda (nonostante l’autenticità dei toponimi) e una certa frammentazione dei dialoghi (che sembrano rimanere sospesi fra ampie zone di silenzio).
Assai originale è soprattutto l’incastro plurilinguistico, ottenuto grazie all’inserzione di vocaboli ed espressioni di diversa matrice: accanto al lessico dialettale (talla, v. 13; mòlgere, v. 36; banco, v. 58; nieva, v. 98) e a tasselli della lingua colta della tradizione (erta, v. 2; anella, v. 12; galla, v. 15; sbianchir, v. 85; lazzo, v. 86) e del vocabolario tecnico contadino (brocche, fuscelli, canapugli, v. 49), Pascoli immette nel linguaggio poetico l’idioma italo-americano, senza però alcun intento caricaturale (gli emigranti che ne fanno uso rappresentano per il poeta tutt’altro che ridicole macchiette): non si tratta dell’inglese standard, ma di una variante americana del registro familiare, su cui si innestano gli echi della parlata italiana (pai con fleva, v. 100; bisini, v. 113).
Ma il plurilinguismo pascoliano non rimanda solo a una scelta di riproduzione del reale di stampo veristico. L’inglese da una parte e l’italiano e il dialetto garfagnino dall’altra simboleggiano infatti due mondi antitetici, con i rispettivi valori, in quanto la lingua è un fattore fondamentale dell’identità di una comunità: la nuova cultura dei figli (cioè delle vittime) dell’emigrazione, che hanno reciso il legame con la propria storia, di contro alla cultura originaria, espressione di una visione del mondo ancora pura e non corrotta dall’industrializzazione e dal capitalismo.
In mezzo a queste due opposte polarità sta il linguaggio ibrido degli emigranti di prima generazione (Ghita e Beppe), che nell’ostinata resistenza a non perdere del tutto il patrimonio della propria lingua rivelano di non aver abbandonato il desiderio di tornare in patria, tra gli affetti più cari, per rifarsi un nido (v. 125).
VERSO LE COMPETENZE
Comprendere
1 Riassumi il contenuto dei versi antologizzati.
Analizzare
2 Individua e trascrivi nella tabella vocaboli ed espressioni in inglese, italo-americano e dialetto.
Inglese |
Italo-americano |
Dialetto |
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Interpretare
3 Quali elementi positivi emergono nel racconto dei compaesani di Ioe-Beppe reduci dall’America?
sviluppare il lessico
4 Scrivi almeno cinque prestiti linguistici dall’inglese di uso comune, poi confrontali con quelli dei tuoi compagni e, insieme, divideteli per ambito d’uso (cibo, tecnologia, trasporti…).
scrivere per...
esporre
5 Descrivi in prosa, in un testo espositivo di circa 20 righe, la realtà sociale, economica e culturale che emerge dalla lettura del brano, come se dovessi comporre un racconto verista.
Classe di letteratura - volume 3A
Dal secondo Ottocento al primo Novecento