4 - La riflessione sulla lingua

IN BREVE DAI TEMI ai testi: T4 > p. 761 T7 > p. 780 T10 > p. 810 a più riprese, a differenza del narratore onnisciente che non la nomina mai esplicitamente: dinanzi al mistero della Grazia divina, «un ordine che passa [supera] immensamente la nostra cognizione (come scrive nel dialogo Dell invenzione), Manzoni fa un passo indietro e sceglie per sé un silenzio reverente. VISIONE STORICA MANZONIANA apertura alle masse popolari, tradizionalmente escluse dalle trattazioni storiche inizialmente pessimistica, per influsso del giansenismo l iniquità dei tempi non solleva gli individui dalle loro responsabilità gli esseri umani attraverso umiliazioni e sconfitte possono ottenere la salvezza («provvida sventura ) | 4 | La riflessione sulla lingua Il milanese e il toscano sono alcune delle tante lingue italiane. Manca una lingua scritta che tutti possano leggere e capire, come invece avviene in Francia. Tra milanese e francese Ai tempi di Manzoni erano in pochi a capire il toscano, e pochissimi in grado di parlarlo, persino fra i ceti colti. Ne dà testimonianza lo scrittore stesso in una vivace pagina del trattato Della lingua italiana: «Supponete dunque che ci troviamo cinque o sei milanesi in una casa, dove stiam discorrendo, in milanese, del più e del meno. Capita uno, e presenta un piemontese, o un veneziano, o un bolognese, o un napoletano, o un genovese; e, come vuol la creanza, si smette di parlar milanese, e si parla italiano. Dite voi se il discorso cammina come prima, dite se ci troviamo in bocca quell abbondanza e sicurezza di termini che avevamo un momento prima; dite se non dovremo, ora servirci d un vocabolo generico o approssimativo, dove prima s avrebbe avuto in pronto lo speciale, il proprio; ora aiutarci con una perifrasi, e descrivere, dove prima non s avrebbe avuto a far altro che nominare; ora tirar a indovinare, dove prima s era certi del vocabolo che si doveva usare, anzi non ci si pensava; veniva da sé; ora anche adoprar per disperati il vocabolo milanese, correggendolo con un: come si dice da noi . Nella seconda introduzione al Fermo e Lucia, addirittura, Manzoni riconosce nel milanese l unica lingua «nella quale ardirei promettermi di parlare [ ] tanto da stancare il più paziente uditore, senza proferire un barbarismo [vocabolo straniero]; e di avvertire immediatamente qualunque barbarismo che scappasse altrui . In realtà l autore conosce molto bene anche il francese, perfezionato negli anni trascorsi a Parigi e periodicamente esercitato nelle lettere. In una di esse, scritta all amico Claude Fauriel nel 1806, confessa di aver visto «con un piacere misto d invidia il popolo di Parigi intendere ed applaudire alle commedie di Molière , mentre in Italia l eccessivo scarto fra lingua scritta e lingua parlata rende impossibile agli scrittori l effetto di erudire «la moltitudine, di farla invaghire del bello e dell utile, e di rendere in questo modo le cose un po più come dovrebbono essere . Manzoni decide di adottare per l edizione 1840-1842 del suo romanzo la lingua orentina parlata dalla borghesia colta. La scelta del fiorentino Il problema della popolarità del linguaggio, che tormenta Manzoni sin dalla gioventù, diviene pressante nel momento in cui egli si volge alla stesura del romanzo, rendendosi conto ben presto dell estrema difficoltà del compito, moltiplicata dalla latitanza di un uso linguistico comune nella penisola e di una norma universalmente riconosciuta. L AUTORE / ALESSANDRO MANZONI / 741

Classe di letteratura - volume 2
Classe di letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento