Classe di letteratura - volume 2

45 50 durata eterna del dolore bestiale si è un istante interrotta sia pure per intensificarsi. Qualche volta viene il sospetto che la morte l inferno consisterà ancora del fluire di un dolore senza sussulti, senza voce, senza istanti, tutto tempo e tutto eternità, incessante come il fluire del sangue in un corpo che non morirà più. 8 maggio 1950 cominciata la cadenza del soffrire. Ogni sera, all imbrunire, stretta al cuore fino a notte. 27 maggio 1950 Adesso, a modo mio, sono entrato nel gorgo: contemplo la mia impotenza, me la sento nelle ossa, e mi sono impegnato nella responsabilità politica, che mi schiaccia. La risposta è una sola suicidio. 55 60 65 70 17 agosto 1950 la prima volta che faccio il consuntivo di un anno non ancor finito. Nel mio mestiere dunque sono re. In dieci anni ho fatto tutto. Se penso alle esitazioni di allora. Nella mia vita sono più disperato e perduto di allora. Che cosa ho messo insieme? Niente. Ho ignorato per qualche anno le mie tare, ho vissuto come se non esistessero. Sono stato stoico. Era eroismo? No, non ho fatto fatica. E poi, al primo assalto dell «inquieta angosciosa , sono ricaduto nella sabbia mobile. Da marzo mi ci dibatto. Non importano i nomi. Sono altro che nomi di fortuna, nomi casuali se non quelli, altri? Resta che ora so qual è il mio più alto trionfo e a questo trionfo manca la carne, manca il sangue, manca la vita. Non ho più nulla da desiderare su questa terra, tranne quella cosa che quindici anni di fallimenti ormai escludono. Questo il consuntivo dell anno non finito, che non finirò. Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più. Inadatto alla vita Un mito personale assilla Pavese: l aspirazione a una virilità che gli è preclusa. Egli si sente condannato o, meglio, predestinato a soffrire senza remissione (r. 14) come capita a una sorta di tipo antropologico, quello dell autodistruttore (r. 2), al quale sente di appartenere e che arriva addirittura a teorizzare in un ritratto-autoritratto di lucidità glaciale. La resurrezione della volontà costituisce per lui una chimera: la morte si configura come l unica reazione all impotenza che si crede capace di realizzare. L operazione di smantellamento di sé è capillare, come possiamo vedere nel pensiero scritto il 15 gennaio 1938: si sente inferiore, vigliacco, oggi come ieri e come domani. Si tratta di una nuda consapevolezza che lo porta a diffidare di ogni posa letteraria. L antico modello alfieriano è lontano quando Pavese dichiara che Il dolore non è affatto un privilegio (r. 33): soffrire non regala alcun compiacimento, anzi è di per sé qualcosa di ignobile, un esperienza bestiale e feroce (r. 34). 18 agosto 1950 Nessuna soluzione oltre al suicidio Pavese percepisce questa condizione come una colpa. Gli appunti scritti nel 1950, poco prima di suicidarsi, danno a noi lettori la sensazione dell ultima fiamma della candela, ormai inesorabilmente vicina a spegnersi: la discesa verso il gorgo della morte è scandita da messaggi sempre più brevi, fissati nella paratassi perentoria della sentenza. Prossimo al punto più basso di questa discesa agli inferi, lo scrittore sente il bisogno di tracciare un bilancio, il consuntivo (r. 56) di un anno (ma anche di una vita) che non terminerà. La morale che ne scaturisce è la necessità, fino ad allora rinviata, del gesto definitivo, grazie al quale come gli eroi delle tragedie di Alfieri possa, in modo paradossale e al tempo stesso velleitario, riaffermare la verità delle cose, senza le illusioni che falsamente le imbellettano. Tutto questo fa schifo (r. 70): l esistenza nel suo complesso, compresa la scrittura, che lo ha tenuto appeso alla vita. Alla fine non resta che l ultimo imperativo, nudo e definitivo come un epigrafe, il silenzio: Non scriverò più (r. 71). L AUTORE / VITTORIO ALFIERI / 527

Classe di letteratura - volume 2
Classe di letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento