Classe di letteratura - volume 2

FINESTRA SUL 900 Alfieri & Cesare Pavese vese non sceglie di seguire in toto il modello dell amato letterato astigiano: non opta infatti per la struttura compiuta e, in fondo, autocelebrativa dell autobiografia, ma per la misura più confidenziale e immediata di una scrittura privata come quella, appunto, del diario. Nella Vita Alfieri poté dar libero sfogo a quell amor proprio dalle chiare venature narcisistiche che pervade tutta la sua opera letteraria: in un epoca che pullulava di scrittori allo specchio (basti ricordare i Mémoires di Goldoni o le Confessioni di Rousseau), egli intendeva trasmettere a posteriori ai lettori l immagine di un uomo dalla natura eccezionale. Ciò non significa, come abbiamo visto, che egli volesse monumentalizzarsi in un opera di semplice propaganda di sé stesso, ma le disavventure e i difetti della propria indole che raccontò e descrisse sono comunque funzionali allo scopo della costruzione del personaggio. Anche quando insisteva nella perlustrazione della propria interiorità, lo faceva assegnando un valore emblematico alla propria esistenza e ponendosi al centro della scena, con il temperamento teatrale che era connaturato all uomo così come allo scrittore Alfieri: «Il parlare ammette nell introduzione alla Vita , e molto più lo scrivere di sé stesso, nasce senza alcun dubbio dal molto amor di sé stesso. [ ] Io perciò ingenuamente confesso, che allo stendere la mia propria vita inducevami [mi induceva], misto forse ad alcune altre ragioni, ma vie più gagliarda [molto più forte] d ogni altra, l amore di me medesimo . 5 Una scrittura contro di sé Questa auto-fascinazione manca del tutto nelle pagine che Pavese stende dal 1935 al 1950, anno della sua morte, e che egli stesso intitola Il mestiere di vivere, in vista di un eventuale pubblicazione futura. Fra le sue carte giovanili si trova, del resto, una breve nota, databile 1927, che contiene una vera e propria dichiarazione d intenti, ovvero il desiderio di «legare insieme i frammenti della mia vita : questa disposizione alla scrittura autobiografica, però, si traduce in realtà solo a partire dal confino in Calabria. A differenza di Alfieri, Pavese scrive di sé per scrutarsi. O addirittura per punirsi: nato dal disprezzo provato per le proprie inadeguatezze, il suo diario appare, per usare le parole del critico Roberto Gigliucci, come «un monumento all autodenigrazione . La sua autoanalisi è infatti spietata e funziona come una sorta di assillante sonda critica del proprio operato e delle proprie insoddisfazioni. Rovesciando l archetipo del suo illustre corregionale, egli si serve di una scrittura contro di sé che non ammette indulgenze e suona anzi come autopersecutoria, oscillando tra sfoghi vittimistici e propositi volontaristici. Alcuni suoi pensieri dimostrano chiaramente tale atteggiamento; il primo che leggiamo, risalente al maggio del 1926, è addirittura precedente alla stesura del diario, mentre i tre successivi sono della fine degli anni Trenta. Perché temo tanto la penna e il tavolino? Eppure, e me lo debbo ficcar bene in testa, se voglio riuscire grande debbo durare a comporre di mio e tradurre per almeno sei ore al giorno. Il resto della giornata passando studiando o sui libri stampati o sulla vita. E, se dopo sei o sette anni non avrò ancora concluso nulla, non l avrò ancora il diritto di serrarmi torvo nella delusione. Dovrò semplicemente raddoppiare le ore di lavoro e finalmente confessarmi d aver sbagliato mestiere. 13 giugno 1938 Che cosa c è di più puro stile alfieriano che questa lettera? Che tutto il mio contegno in questa storia? E tutti i rovelli, gli schianti, gli urli, ecc.? [ ] 1 10 15 20 4 novembre 1938 Siccome tutti gli stati passionali hanno un loro chimismo2 deterministico che trasporta per gioco di causa-effetto a situazioni esasperanti subìte e contraddittorie e fintamente create da noi, bisognerà opporre a ogni compiacenza passionale una dura volontà di estirpamento come un rullo compressore sull erba che ignori ogni deviazione e si compiaccia di sé. Voluttà per voluttà è altrettanto ricca questa quanto la dispersione, e molto più sana. Il piacere di spezzare ogni catena deterministica di gioie od esasperazioni, per sé solo. [ ] 4 novembre 1938 Chi non ha avuto volontà dura, è il più deciso a conquistarsi questa potenza perché sa quanto essa valga (=Alfieri). 524 / IL SETTECENTO 1 Che cosa lettera: lo scritto- re si riferisce a un epistola inviata a Tina Pizzardo, la donna con la quale aveva avuto una sofferta relazione sentimentale. 2 chimismo: carattere chimico.

Classe di letteratura - volume 2
Classe di letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento