Classe di letteratura - volume 2

100 105 110 115 120 ponendomela in bocca a masticarne e ingojarne quanta più ne poteva, malgrado il sapore ostico47 ed amarissimo. Io avea sentito dire non so da chi, né come, né quando, che v era un erba detta cicuta48 che avvelenava e faceva morire; io non avea mai fatto pensiero di voler morire, e poco sapea quel che il morire si fosse; eppure seguendo così un non so quale istinto naturale misto di un dolore di cui m era ignota la fonte, mi spinsi avidissimamente a mangiar di quell erba, figurandomi che in essa vi dovesse anco essere della cicuta. Ma ributtato poi dalla insopportabile amarezza e crudità di un tal pascolo, e sentendomi provocato a dare di stomaco, fuggii nell annesso giardino, dove non veduto da chi che sia mi liberai quasi interamente di tutta l erba ingojata; e tornatomene in camera me ne rimasi soletto e tacito con qualche doloruzzo di stomaco e di corpo. Tornò frattanto il maestro, che di nulla si avvide, ed io nulla dissi. Poco dopo si dové andare in tavola, e mia madre vedendomi gli occhi gonfi e rossi, come sogliono rimanere dopo gli sforzi del vomito, domandò, insistendo, e volle assolutamente saper quel che fosse; ed oltre i comandi della madre mi andavano anche sempre più punzecchiando i dolori di corpo, sì ch io non potea punto mangiare, e parlar non voleva. Onde io sempre duro a tacere, ed a vedere di non mi scontorcere,49 la madre sempre dura ad interrogare e minacciarmi; finalmente osservandomi essa ben bene, e vedendomi in atto di patire, e poi le labbra verdiccie, che io non avea pensato di risciacquarmele, spaventatasi molto ad un tratto si alza, si approssima a me, mi parla dell insolito color delle labbra, m incalza e sforza a rispondere, finché vinto dal timore e dolore io tutto confesso piangendo. Mi vien dato subito un qualche leggero rimedio, e nessun altro male ne segue, fuorché per più giorni fui rinchiuso in camera per gastigo; e quindi nuovo pascolo, e fomento50 all umor malinconico. CAPITOLO QUARTO Sviluppo dell indole indicato da varj fattarelli. 125 130 135 L indole, che io andava intanto manifestando in quei primi anni della nascente ragione, era questa. Taciturno e placido, per lo più; ma alle volte loquacissimo e vivacissimo; e quasi sempre negli estremi contrarj; ostinato e restìo contro la forza, pieghevolissimo agli avvisi amorevoli; rattenuto più che da nessun altra cosa dal timore d essere sgridato; suscettibile di vergognarmi fino all eccesso, e inflessibile se io veniva preso a ritroso.51 Ma, per meglio dar conto ad altrui ed a me stesso di quelle qualità primitive che la natura mi avea improntate nell animo, fra molte sciocche istoriette accadutemi in quella prima età, ne allegherò52 due o tre di cui mi ricordo benissimo, e che ritrarranno al vivo il mio carattere. Di quanti gastighi mi si potessero dare, quello che smisuratamente mi addolorava, ed a segno di53 farmi ammalare, e che perciò non mi fu dato che due volte sole, egli era di mandarmi alla Messa colla reticella da notte in capo, assetto che nasconde quasi interamente i capelli. La 47 ostico: sgradevole. 48 cicuta: la stessa erba che uccise il fi- losofo greco Socrate. 49 a vedere di non mi scontorcere: a cercare di non contorcermi. 50 nuovo pascolo, e fomento: nuovo alimento e stimolo. 500 / IL SETTECENTO 51 Taciturno a ritroso: quasi sempre silen- zioso, ma a volte molto vivace e loquace; sempre oscillante tra due estremi; caparbio e nello stesso tempo riottoso di fronte alla forza, arrendevole se trattato affettuosamente; trattenuto, più che da ogni altra cosa, dal timore di essere ripreso; capace di vergognarmi fino all eccesso, e inflessibile quando venivo preso per il verso sbagliato. la stessa descrizione che Alfieri dà di sé nel sonetto Sublime specchio di veraci detti ( T2, p. 483). 52 allegherò: riferirò. 53 a segno di: al punto di.

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Dal Seicento al primo Ottocento