Classe di letteratura - volume 2

ANALISI ATTIVA Il dibattito sulla pena di morte I contenuti tematici In queste pagine le più famose del trattato viene sviluppata un autorevole ed efficace critica alla pena di morte, di cui si auspica esplicitamente l abolizione. Idee contrarie alla pena capitale erano state manifestate fin dal Medioevo in circoscritti ambiti teologici e filosofici, ma le posizioni abolizioniste avevano sempre avuto scarsa risonanza. Gli stessi ispiratori del pensiero di Beccaria, pur lamentando l arretratezza degli ordinamenti penali loro contemporanei, non avevano palesato una particolare ostilità nei confronti della pena capitale: nello Spirito delle leggi (1748) Montesquieu aveva affermato che l omicida merita la morte, mentre nel Contratto sociale (1762) Jean-Jacques Rousseau aveva giustificato il ricorso alla pena capitale nei confronti degli assassini o dei «nemici pubblici . Negli stessi anni, tuttavia, compaiono anche prese di posizione diverse. Nel 1760 il giurista fiorentino Giuseppe Bencivenni Pelli (1729-1808) è autore di una dissertazione nella quale contesta la validità della pena capitale con motivazioni umanitarie e contrattualiste che anticipano quelle di Beccaria, mentre nel 1764 l illuminista austriaco Joseph von Sonnenfels (1733-1817) nega che la pena di morte risponda agli specifici scopi preventivi che devono essere propri delle pene. però soltanto grazie alla pubblicazione del trattato di Beccaria che l istanza abolizionista penetra in modo definitivo nel dibattito culturale. Un dibattito ancora aperto: a oltre due secoli e mezzo di distanza dalla pubblicazione di Dei delitti e delle pene, il problema della pena di morte resta drammaticamente attuale, essendo essa tuttora prevista non solo da numerosi regimi totalitari, ma anche da alcuni ordinamenti democratici. 1. In che cosa consiste l attualità della riflessione di Beccaria sulla pena di morte? Gli argomenti di Beccaria Beccaria affronta il tema della pena di morte nel paragrafo 28 del trattato, dopo avere discusso, in quello precedente, della «Dolcezza delle pene . Su quest ultimo punto l autore osserva come l atrocità dei supplizi sia contraria ai princìpi di umanità, leda il principio di proporzionalità tra delitto commesso e punizione inflitta, e risulti per di più inefficace, in quanto ciò che conta affinché una pena ottenga il suo effetto (vale a dire la deterrenza) non è la crudeltà dei castighi, ma la loro infallibilità (cioè la certezza della pena). proprio a partire dalla constatazione dell inutilità di questa prodigalità di supplicii (r. 2) che l autore giunge a discutere se la pena di morte sia veramente utile e giusta. Egli sviluppa essenzialmente due argomenti, che, basati sui princìpi del contrattualismo e dell utilitarismo, intendono dimostrare l illegittimità e l inutilità della pena di morte. 2. Perché, secondo Beccaria, l applicazione della pena di morte non può essere un diritto dello Stato? 3. In quali circostanze, secondo Beccaria, si potrebbe essere portati a ritenere ammissibile la pena capitale? 4. Che cosa colpisce più facilmente l animo umano, secondo Beccaria? 5. Quali sono, secondo Beccaria, le caratteristiche di una pena giusta? La pena di morte è illegittima Il primo argomento afferma che la pena di morte è giuridicamente illegittima in quanto non prevista dal patto con cui si è costituita la società e dal quale discendono le leggi e la sovranità stessa. Il diritto di punire si basa sì su una delega contenuta in tale patto, ma con questa delega il singolo non ha affatto concesso ad altri l arbitrio di ucciderlo (r. 8). Le leggi che attuano il diritto di punire, infatti, sono costituite dalla somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno (rr. 6-7), e in questo minimo sacrificio della libertà (r. 9) non è compreso quello massimo tra tutti i beni (r. 10), la vita. Nella concezione di Beccaria, d altra parte, la vita costituisce un diritto naturale indisponibile (tanto che l uomo non è padrone di uccidersi, r. 11), e di conseguenza nessuno può avere ceduto il diritto alla vita, dal momento che non si può cedere una cosa di cui non si dispone. L AUTORE / CESARE BECCARIA / 313

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Dal Seicento al primo Ottocento