Classe di letteratura - volume 2

155 160 165 170 175 180 185 190 195 rena, e mi dicevo che, se avessi potuto starmene al riparo da altri selvaggi, non mi sarebbe dispiaciuto restare per sempre sull isola. Due o tre giorni dopo il mio ritorno al castello pensai che, per distogliere Venerdì dalle sue spaventose usanze culinarie e guarirlo dalle sue compiaciute tendenze cannibalesche, dovevo fargli assaggiare carni di diversa qualità. Perciò una mattina lo condussi con me nei boschi. Per la verità era mia intenzione uccidere un capretto del mio gregge, portarlo a casa e cucinarlo; ma mentre ero in cammino vidi una capra sdraiata all ombra e due capretti accucciati accanto a lei. «Aspetta, dissi a Venerdì, «sta fermo, e gli feci segno di non muoversi. Puntai il fucile, sparai e uccisi un capretto. Il poverino, che già mi aveva visto uccidere di lontano il selvaggio suo nemico, ma non poteva rendersi conto o immaginarsi come fosse accaduto, rimase letteralmente sgomento; batteva i denti, scosso da un tremito convulso, e appariva così spaventato che temetti di vederlo stramazzare svenuto. Non aveva visto il capretto al quale avevo sparato, né tantomeno si era accorto che lo avessi ucciso, ma si aprì la giubba sul petto per vedere se a sua volta fosse ferito e, come compresi quasi subito, aveva temuto ch io avessi deliberato di ucciderlo, perché venne a prostrarsi davanti a me, mi abbracciò le ginocchia e profferì innumerevoli cose che non capii; ma non era difficile indovinare che esprimevano la supplica di risparmiarlo. Trovai subito il modo di convincerlo che non intendevo fargli alcun male; ridendo, lo risollevai con una mano e gli additai il capretto che avevo ucciso, facendogli cenno che andasse a raccoglierlo, cosa che egli fece senza indugio. Mentre Venerdì lo esaminava, per cercar di capire come fosse stato ucciso, io tornai a caricare il fucile, e proprio in quel momento vidi appollaiarsi su un albero, giusto a tiro, un grosso volatile simile al falco. Allora, per far capire un po meglio a Venerdì quello che facevo, lo richiamai accanto a me, indicandogli prima l uccello (che in realtà, sia detto per inciso, non era un falco ma un pappagallo) poi il mio fucile e il terreno che stava sotto il pappagallo, onde fargli capire che lo avrei fatto cadere proprio in quel punto, che avrei sparato e ucciso l uccello. Dopo di che feci fuoco e gli dissi di guardare, e immediatamente lui vide cadere il pappagallo. Ma Venerdì rimase fermo, ancora dominato dallo spavento, nonostante le spiegazioni che gli avevo fornito. Capii che il suo terrore era accresciuto dal fatto che non mi vedeva metter niente nel fucile, cosicché doveva pensare che quell ordigno contenesse una prodigiosa riserva, seminatrice di morte e di distruzione, capace di uccidere uomini, animali, uccelli e qualsiasi altro essere vivente, vicino e lontano, e lo sbigottimento che questo fatto destò in lui fu tanto forte, che per molto tempo non riuscì a liberarsene. Credo che, se lo avessi lasciato fare, avrebbe adorato me e il mio fucile al pari di due divinità. Quanto al fucile, per parecchi giorni non osò nemmeno toccarlo, ma gli parlava, quando era solo, come se si attendesse di averne una risposta, e in seguito mi spiegò che in tal modo intendeva scongiurarlo di non ucciderlo. Ebbene: quando si fu un tantino ripreso dal suo sbalordimento, gli indicai l uccello che avevo ucciso perché andasse a prenderlo, e lui ubbidì, ma rimase un poco interdetto perché il pappagallo, non essendo morto sul colpo, starnazzando si era allontanato di parecchio dal punto in cui era caduto; alla fine lo trovò, lo raccolse e me lo portò; e siccome mi ero accorto che non aveva capito assolutamente come funzionasse il fucile, senza darlo a vedere lo ricaricai in modo da esser pronto a sparare non appena se ne fosse presentata un altra occasione. Ma 268 / IL SETTECENTO

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Dal Seicento al primo Ottocento