2 - Scienza e fede

2 Scienza e fede

Galileo e la religione Galileo è credente, quindi pensa che la Bibbia non possa in alcun modo affermare cose false. Per lui sia le Scritture sia la natura promanano da Dio, e quindi la fede e la scienza, che derivano necessariamente dal Creatore, sono entrambe veritiere e non possono contraddirsi a vicenda; qualora sembrassero farlo, ciò sarebbe dovuto unicamente a un errore umano nell’interpretazione dei testi sacri. In altre parole, non può esistere un contrasto tra verità di ragione ed esperienza (cioè le verità scientifiche) e verità rivelate dalla Bibbia: eventuali discordanze tra le scoperte scientifiche e le posizioni dei teologi si verificano soltanto a causa di un fraintendimento, da parte di questi ultimi, del vero significato dello specifico passo biblico, perché i teologi non sono tutti ispirati da Dio e quindi possono anche sbagliare.

Le leggi della teologia e le leggi della scienza A differenza della teologia, che è soggetta all’arbitrio degli interpreti della Bibbia, la scienza deve attenersi meticolosamente alle rigide leggi imposte da Dio alla natura, e quindi, se condotta secondo i princìpi che regolano quest’ultima, può essere ancora più affidabile delle Scritture, o meglio delle loro interpretazioni, per quanto riguarda la descrizione e lo studio della realtà fisica. Infatti, mentre «la Scrittura in molti luoghi è non solamente capace, ma necessariamente bisognosa d’esposizioni diverse dall’apparente significato delle parole», la natura è una «osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio» (Lettera a Benedetto Castelli, 21 dicembre 1613), e quindi è più direttamente intelligibile, in quanto per comprenderla pienamente, se si conoscono le leggi che la governano, non c’è bisogno di alcuna ulteriore interpretazione.

Un passo biblico controverso D’altra parte, per potersi rivolgere a tutti gli uomini la Bibbia si serve di immagini, semplificazioni e metafore che, se non adeguatamente decodificate, possono ingannare i più ingenui e sprovveduti, alimentando in essi false credenze. Proprio una lettura superficiale e distorta della Bibbia costituisce, secondo Galileo, il motivo principale del rifiuto della dottrina copernicana. Si tratta di un brevissimo passo del Libro di Giosuè (10, 12-13), in cui è scritto che Dio fermò il Sole per allungare il giorno e dare agli israeliti il tempo sufficiente a sterminare il popolo degli amorrei. Secondo i teologi, questi versetti biblici forniscono la dimostrazione che il Sole gira intorno alla Terra; infatti, se il Sole non fosse stato in movimento, Dio non avrebbe potuto fermarlo.

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L’interpretazione di Galileo Galileo contesta questa interpretazione e cerca di volgere a proprio favore l’argomento utilizzato contro di lui. Secondo lo scienziato, l’autore del testo biblico nel descrivere il miracolo dell’allungamento del giorno ha voluto esprimersi usando termini comprensibili a tutti, anche se non conformi alla realtà dei moti celesti. Del resto, anche qualora si volesse ritenere che quel passo sia la dimostrazione del moto del Sole, esso sarebbe comunque in contrasto con la cosmografia tolemaica, accettata dalla Chiesa, perché nel sistema di Tolomeo la lunghezza del giorno non dipende dal movimento del Sole, ma da quello del “primo mobile” (uno dei cieli della cosmografia tradizionale).

L’autonomia della scienza Quindi, se per adeguare il testo delle Scritture alla cosmografia tradizionale è necessario interpretarle in un senso diverso da quello letterale, allora è dimostrato che la Bibbia non va seguita alla lettera, ma, appunto, interpretata, specialmente quando essa tratta questioni legate alla descrizione del mondo naturale. In tal modo, si potrà capire che la Bibbia non contraddice i risultati della scienza e che quest’ultima può quindi svilupparsi in piena autonomia senza per questo mettersi in conflitto con la Chiesa.

3 La scelta del volgare

Uno stile ordinato nel secolo del disordine Lo stile di Galileo non segue le consuetudini espressive proprie del suo tempo: mentre la letteratura barocca ama la bizzarria, l’esagerazione e l’astrusità formale, la prosa dello scienziato pisano è un modello di ordine, di elegante chiarezza e di cristallina perfezione. La ricerca della concretezza non va confusa però con la banalità formale: l’entusiasmo dello scopritore e la combattività del pensatore in lotta con le convenzioni del suo tempo si accompagnano spesso a un’aggettivazione ricca ed efficace, a un’eloquenza polemica e a un’ironia alimentata da metafore e immagini curiose.

L’ideale ariostesco D’altra parte, non dobbiamo dimenticare che, oltre che scienziato, Galileo è anche un letterato: un letterato raffinatissimo, profondo conoscitore della poesia e della prosa cinquecentesca, protagonista in prima persona delle discussioni linguistiche e retoriche che animano la scena culturale coeva. Il suo ideale di comunicazione si rifà al modello di Ariosto, capace di adattarsi con grande varietà ed eleganza allo spirito della civiltà rinascimentale, anche sul difficile piano dei rapporti con il potere; viceversa la scrittura di Tasso gli appare incerta, oscura e artificiosa, emblema di un gusto prebarocco alla vacua ricerca del meraviglioso.

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Dal latino al volgare La letteratura rappresenta infatti per Galileo lo specchio di una precisa mentalità e di un determinato orientamento ideologico. La scelta di scrivere in volgare, soprattutto, non rimanda a una semplice opzione estetica, ma piuttosto a un aspetto decisivo della sua “politica culturale”. Mentre, nella sua epoca, i testi scientifici continuano a essere redatti in latino, egli decide di adottare prevalentemente il volgare perché ritiene che la scienza debba essere alla portata di tutti, secondo una prospettiva fortemente anticlassista. Fare uscire la scienza dalla ristretta cerchia degli specialisti significa assicurare a essa un legame più stretto con il mondo della tecnica e dei mestieri, composto da persone spesso poco colte, ma esperte nella soluzione dei problemi pratici. Per esempio, nella prefazione al manuale intitolato Le operazioni del compasso geometrico et militare (pubblicato nel 1606) scrive: «Finalmente essendo mia intenzione di esplicare al presente operazioni per lo più attinenti al soldato, ho giudicato esser bene scrivere in favella [lingua] toscana, acciò che, venendo talora il libro in mano di persone più intendenti della milizia [esperte di cose militari] che della lingua latina, possa da loro esser comodamente inteso».

La ricerca di un ampio pubblico Il messaggio delle grandi scoperte deve, insomma, essere divulgato in forme “democratiche” e giungere con chiarezza agli aristocratici illuminati, ma anche ai borghesi e agli esponenti delle categorie produttive, destinati a uscire dai cantieri e dalle botteghe per acquistare onori, ricchezze e privilegi sulla scena delle società moderne. Non deve sorprendere, dunque, che anche gli avversari di Galileo colgano l’efficacia di tale operazione culturale: i giudici che lo accusano dinanzi al tribunale dell’Inquisizione sottolineano che lo scienziato «non solo arma l’opinione copernicana di argomenti nuovi […], ma lo fa in italiano, lingua […] la più indicata per trascinare dalla sua il volgo ignorante fra cui l’errore fa più facilmente presa».

L’arte del confronto Alla volontà di far circolare il più possibile le idee e metterle a confronto tra loro si deve, infine, il rinnovamento che Galileo realizza di due generi letterari congeniali alla promozione intellettuale, la lettera e il dialogo. L’epistola, rivolgendosi a destinatari lontani, permette di superare barriere e confini e, allo stesso tempo, di presupporre la presenza di un interlocutore da sollecitare e convincere, anche in modo fittizio, o comunque ben sapendo che si tratta di una comunicazione solo formalmente privata, destinata in ultima istanza alla pubblicazione. Il dialogo consente di sottolineare invece, nel confronto-scontro degli argomenti, il conflitto tra il vecchio e il nuovo: si presta, insomma, a diventare un valido strumento di polemica metodologica, affidando al lettore il compito di riflettere, senza pregiudizi, sulla costante e faticosa ricerca della verità.

Classe di letteratura - volume 2
Classe di letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento