Le lettere sulla poetica

Le lettere sulla poetica

Questioni di poetica Dell’epistolario manzoniano ci sono pervenute oltre 1800 lettere, nelle quali emerge il ritratto di un autore inquieto, riservato, diffidente, piuttosto restio a parlare di sé e del suo mondo privato. Esse si rivelano piuttosto come un’occasione per illuminare le convinzioni maturate dall’autore intorno ad aspetti cruciali della sua poetica. Come veri e propri saggi, queste lettere vengono non a caso indirizzate a intellettuali e, in generale, a interlocutori con i quali Manzoni condivide le proprie idee in materia di letteratura.

La Lettre à Monsieur Chauvet Ciò accade con la Lettre à Monsieur Chauvet (1820), dove Manzoni risponde a un recensore francese del Conte di Carmagnola, rivendicando la propria rinuncia alle unità aristoteliche e alla rappresentazione di passioni e sentimenti in nome della fedeltà al vero storico.

Manzoni insiste sulla necessità di liberarsi definitivamente dei residui di mentalità tramontate da millenni: solo così potrà nascere una letteratura in grado di rispettare la realtà del proprio tempo, coinvolgere il pubblico e assolvere ai fini educativi che lo scrittore ritiene irrinunciabili. Il soggetto delle opere va attinto dalla Storia, ma a completare l’accertamento dei fatti interviene la sensibilità dell’autore, intento a rappresentare i sentimenti che si agitano nel cuore dei personaggi. “Vero storico” e “vero poetico” si amalgamano così in una sintesi superiore.

La Lettera al marchese Cesare Taparelli d’Azeglio Scritta nel 1823 ma pubblicata solo nel 1846 (senza il consenso dell’autore) è la Lettera sul Romanticismo al marchese Cesare Taparelli d’Azeglio, dove Manzoni attacca l’imitazione dei classici, le regole antiche, l’uso della mitologia in letteratura (ritenuto «idolatria»), e identifica una radice cristiana nel sistema romantico, ponendosi come alfiere di una moderna letteratura tesa a proporre «l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo».

Manzoni non aveva preso parte direttamente alla polemica tra Classicisti e Romantici che si era scatenata a Milano nel 1816, quando sulla “Biblioteca italiana” era comparso l’articolo di Madame de Staël Sulla maniera e utilità delle traduzioni; frenato dal proprio carattere riservato, che lo induceva a mantenersi nell’ombra, nel 1818 l’autore aveva preferito non partecipare in prima persona all’impresa del “Conciliatore” ( p. 547), la rivista fondata dai Romantici lombardi, a cui pure aveva guardato con attenzione e simpatia.

Tuttavia, nella battaglia per una nuova cultura Manzoni condivide senza riserve il rifiuto di quel corredo mitologico dal quale aveva ampiamente attinto in gioventù. Già negli Inni sacri, come si è visto, vi aveva rinunciato, senza per questo abbracciare la direzione individualistica propria della lirica europea di stampo romantico. Diffidente nei confronti dell’orrido fantastico e degli abbandoni sentimentali (in un appunto afferma che «non si deve scrivere d’amore in modo da far consentire [istigare] l’animo di chi legge a questa passione»), Manzoni del Romanticismo accoglie innanzitutto le istanze liberali e nazionali, oltre che l’interesse per la Storia dei popoli.

Classe di letteratura - volume 2
Classe di letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento