Gli altri drammi maggiori

Gli altri drammi maggiori

Romeo e Giulietta

La tragedia dell’amore impossibile Come la maggior parte dei drammi shakespeariani, la tragedia Romeo e Giulietta (composta tra il 1594 e il 1597) è caratterizzata dalla compresenza di versi (per lo più endecasillabi) e prosa. I protagonisti sono due giovani veronesi appartenenti a due famiglie nemiche: i Montecchi e i Capuleti. Nella piazza del Mercato, le fazioni appartenenti alle due famiglie si azzuffano; solo l’arrivo del principe della città mette fine ai duelli. Tra i Montecchi manca però Romeo: di animo nobile e pacifico, egli pensa soltanto all’amore per una bella giovinetta di nome Rosalina.

A una festa in maschera a casa Capuleti, alla quale si è recato insieme al cugino Benvolio e al fraterno amico Mercuzio, Romeo incontra Giulietta. I due giovani si innamorano subito, ma si rendono anche conto di appartenere alle due casate rivali. Durante la notte, finita la festa, Romeo scambia parole d’amore con Giulietta, sotto il suo balcone. Prima di salutarsi, i due innamorati hanno già deciso di sposarsi.

Romeo si reca da frate Lorenzo, che, intuendo come quel matrimonio possa porre fine alla faida che insanguina Verona, sposa i due giovani in gran segreto. Quello stesso giorno Romeo incontra Mercuzio e Benvolio proprio mentre sopraggiungono i Capuleti capeggiati dal bellicoso cugino di Giulietta, Tebaldo, che provoca Romeo dandogli del vigliacco. Il giovane non reagisce, ma Mercuzio impugna la spada e, nello scontro, rimane ucciso da Tebaldo (che lo trafigge quasi senza volerlo). Folle di rabbia, Romeo insegue Tebaldo e lo sfida, uccidendolo a sua volta. I cadaveri di Mercuzio e Tebaldo vengono portati al cospetto del principe, che sentenzia l’esilio a Mantova per Romeo. Frate Lorenzo invita il ragazzo a non opporsi, promettendo di risolvere la situazione; Romeo e Giulietta trascorrono così la loro prima e ultima notte d’amore.

Romeo ha appena lasciato la sposa alla volta di Mantova quando madonna Capuleti annuncia alla figlia che le nozze con il conte Paride – che aveva chiesto la mano della ragazza, ottenendo il consenso del padre – si terranno di lì a tre giorni. Disperata, Giulietta si confida con frate Lorenzo, il quale escogita un piano per riunire i ragazzi: consegna a Giulietta una pozione che la ridurrà in uno stato di morte apparente; al suo risveglio, le dice, troverà Romeo, con cui potrà fuggire. Poco prima dei finti funerali, frate Lorenzo invia un fraticello verso Mantova, a dorso di mulo, per avvisare Romeo; ma è più veloce il servo Baldassarre, che, credendo Giulietta morta, raggiunge a cavallo il padrone, comunicandogli la tragica fine dell’amata. Nella tomba dei Capuleti si compie il destino degli amanti: vedendo il corpo di Giulietta, Romeo si avvelena; al risveglio la ragazza scopre lo sposo morto, e segue la sua sorte pugnalandosi al petto.

Le fonti L’opera si ispira ad alcune fonti note a Shakespeare, probabilmente, in traduzione: le novelle di Masuccio Salernitano, Luigi da Porto e Matteo Bandello, ma soprattutto il poema The Tragicall Historye of Romeus and Juliet (La tragica storia di Romeo e Giulietta, 1562) di Arthur Brooke. Come accade in molte altre sue opere, tuttavia, Shakespeare piega i contenuti e i significati della storia alla sua poetica e alla sua visione del mondo.

Un’opera celebre e celebrata Romeo e Giulietta è forse il più popolare e imitato dramma di Shakespeare, il primo in cui la forza creativa dell’autore sembra dispiegarsi senza restrizioni. Esso prelude alla stagione delle grandi tragedie, anche se forse non si può ancora parlare di tragedia in senso propriamente shakespeariano, perché la catastrofe non è strettamente determinata dai personaggi, ma ha luogo in virtù di circostanze esterne e in qualche misura fortuite (l’equivoco per cui Romeo crede morta Giulietta).

Non meno importante dell’elemento tragico è la preziosità dello stile, a tratti molto ricercato e ricco di concetti e immagini raffinate, attinte dal repertorio della poesia cortese e petrarchista. Motivi del successo dell’opera sono infine l’arguzia salace di alcuni personaggi minori assai riusciti (come Mercuzio, che tende spesso a parodiare la materia amorosa e le forme in cui essa era tradizionalmente espressa) e, soprattutto, la resa del sentimento in termini di esaltazione emotiva e di acceso erotismo.

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Otello

La tragedia della gelosia Questa tragedia in versi e in prosa – la cui fonte è una novella del 1564 dello scrittore italiano Giovan Battista Giraldi Cinzio – viene rappresentata per la prima volta probabilmente nel 1604 davanti a Giacomo I re d’Inghilterra.

Due uomini si incontrano, di notte, a Venezia. Discutono della fuga della bella, giovane e ricca Desdemona con Otello, un generale mercenario moro al servizio della Repubblica di Venezia. Entrambi gli uomini hanno motivi di risentimento contro di lui, e avvisano il padre della ragazza. Otello è profondamente innamorato di Desdemona ed è da lei corrisposto, ma il suo luogotenente, Iago, turba questa armonia: dopo il loro trasferimento a Cipro, questi tesse una complicata trama per far credere al suo generale che Desdemona lo tradisca. Accecato dalla gelosia, Otello soffoca la donna nel suo letto, scoprendo troppo tardi la falsità di Iago. Sconvolto, si uccide.

Otello e Iago Otello e Iago rappresentano una coppia tragica: sono due personaggi opposti (l’uomo tradito e il suo ingannatore) ma anche complementari (il generale e il suo uomo di fiducia, «l’onesto Iago», come lo chiama Otello). Le parti dei due protagonisti sono di pari importanza, ed è accaduto spesso che essi fossero interpretati sul palcoscenico da attori di analogo livello.

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Macbeth

La tragedia del potere e del sangue La tragedia, anche in questo caso in versi e in prosa, viene scritta e rappresentata tra il 1605 e il 1608; il testo che ci è pervenuto è invece pubblicato nel 1623, dopo la morte del poeta, ed è costituito probabilmente dal copione più volte usato in teatro, comprendente alcune modifiche apportate dagli attori all’originale.

Tre streghe si danno appuntamento nella brughiera, dove incontrano due generali del re di Scozia, Macbeth e Banquo, che hanno sedato una rivolta. Le streghe preannunciano a Macbeth che diventerà re, e a Banquo che i suoi figli regneranno. Il desiderio del potere, rafforzato dalla predizione delle streghe e dall’incitamento della moglie ambiziosa e priva di scrupoli, Lady Macbeth, spinge il protagonista a uccidere il re legittimo, Duncan, mentre questi è ospite del suo castello, e a cingersi quindi della corona regale.

Divenuto re, Macbeth sembra progressivamente assuefarsi all’uso della violenza: elimina Banquo, tenta di ucciderne il figlio, fa assassinare la moglie e i figli di un barone ribelle, Macduff. Tuttavia, questa catena di delitti non rimane senza effetto su di lui: profondamente turbato, durante un banchetto vede apparire il terrificante spettro di Banquo. Torna quindi a far visita alle streghe, che emettono però una profezia ambigua: nessun nato da donna potrà mai ucciderlo, né sarà mai sconfitto finché la foresta di Birnam non avanzerà verso di lui; poi gli mostrano la futura stirpe regale di Scozia, che ha i volti dei discendenti di Banquo, e non dei suoi.

Lady Macbeth, nel sonno, ripete ossessivamente il gesto di lavarsi le mani, compiuto per eliminare il sangue dopo l’assassinio del re, di cui aveva nascosto le tracce. Subito dopo muore, e Macbeth, raggiunto dalla notizia, commenta la sua morte con alcuni tra i più famosi versi della tragedia: «Spegniti, spegniti breve candela! / la vita non è che un’ombra che cammina; un povero attore / che si pavoneggia e si agita per la sua ora sulla scena / e del quale poi non si ode più nulla: è una storia / raccontata da un idiota, piena di rumore e furore / che non significa nulla».

Il barone ribelle Macduff e il figlio del vecchio re Duncan muovono con il loro esercito contro Macbeth. Per nascondere la moltitudine dei soldati, li occultano dietro i rami tagliati dalla foresta di Birnam: sembra così che il bosco stesso avanzi, come avevano profetizzato le streghe. Ormai sconfitto, Macbeth viene ucciso dallo stesso Macduff, non prima di aver appreso che questi era stato «strappato» dal ventre di sua madre prima di nascere (e che quindi non era propriamente “nato” da una donna).

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Violenza e soprannaturale Il protagonista si contraddistingue in primo luogo per la sua violenza omicida, progressivamente più spietata, che ben si inserisce nella struttura circolare che caratterizza i drammi storici shakespeariani: la vicenda si apre con la cruenta ascesa del protagonista al trono e si chiude con un epilogo altrettanto violento e un nuovo re in ascesa.

A caratterizzare Macbeth, in secondo luogo, è l’incontro con il soprannaturale: le ambigue profezie delle streghe rappresentano per il protagonista, più che l’incarnazione di un fato inesorabile, il pretesto per l’inizio della sua parabola omicida.

Re Lear

La tragedia del tradimento Scritto in versi e in prosa nel 1605-1606 e messo in scena per la prima volta nel 1606, Re Lear presenta due vicende parallele, simili nelle linee generali: la prima, la principale, è incentrata sulla storia di Lear, re di Britannia, e delle sue tre figlie; la seconda sul conte di Gloucester e dei suoi due figli maschi.

I due anziani padri commettono lo stesso errore: Lear divide il regno tra le due figlie maggiori, Goneril e Regan, fidandosi delle loro false dichiarazioni di amore filiale, mentre la minore, la sua prediletta Cordelia, l’unica davvero sincera nell’affetto verso di lui, è allontanata in seguito al rifiuto di gareggiare con le sorelle nell’adulazione verso il padre; analogamente, il conte di Gloucester si fa ingannare dal figlio Edmund, perfido e mentitore, preferendolo all’onesto e fedele Edgar. Entrambi i personaggi, in questo modo, corrono verso la propria rovina.

Quando Lear si accorge della falsità delle due figlie maggiori, che lo hanno blandito con ipocrite esibizioni di affetto solo per accaparrarsi il suo potere, il regno è ormai diviso a metà, ed esse non mantengono fede alla promessa di ospitare il padre, a turno, con la sua scorta. Ridotto a vagabondare senza una dimora, Lear, riparato durante una tempesta in una capanna abbandonata, perde il senno per la disperazione provata di fronte alla crudeltà e all’ingratitudine del mondo.

Nell’infuriare della tempesta, con re Lear c’è anche il conte di Gloucester, che versa in una simile situazione di rovina. Nella sventura, i due vecchi si ritrovano accanto i figli fedeli, che non serbano loro rancore per le ingiustizie subite: il conte di Gloucester è assistito da Edgar; Lear ritrova Cordelia, che, sposatasi con il re di Francia, giunge con un esercito per soccorrere il padre. L’esercito francese, tuttavia, è sconfitto da quello di Edmund, divenuto intanto conte di Gloucester, e, prima che questi paghi le proprie colpe venendo ucciso dal fratello in singolar tenzone, Cordelia viene impiccata. La morte della figlia rappresenta per Lear l’ultimo, terribile colpo: egli si spegne sul suo cadavere. Le due figlie maggiori sono anch’esse morte, entrambe vittime di un’insana passione per Edmund: Regan avvelenata dalla sorella, Goneril suicida, dopo che è stato scoperto il suo piano per eliminare il marito. Sopravvivono invece Edgar, reintegrato nei suoi diritti di conte di Gloucester, e il suo vecchio padre, ormai cieco. Al trono di Britannia sale il duca d’Albania, marito di Goneril, da lui esecrata.

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La lotta tra bene e male Ha scritto il filosofo e critico letterario romantico August Wilhelm Schlegel (1767-1845): «Così come nel Macbeth ha portato il terrore al suo colmo, non diversamente nel Re Lear Shakespeare pare abbia esaurito le fonti della pietà». Re Lear, storia di crudeltà e violenza, è forse il dramma shakespeariano più angoscioso e più disperato, i cui protagonisti assurgono ad allegoria della condizione umana, presentando al pubblico, attraverso le loro dolorose vicende, la grande questione etica del rapporto tra bene e male. Se dalla vicenda si può ricavare una morale, essa è forse contenuta nelle parole che Edgar rivolge al padre cieco e disperato: «Gli uomini debbono pazientare per uscir di questo mondo come per entrarvi: tutto sta nell’essere pronti» (atto V, scena II). Immagine emblematica di questa triste condizione è la tempesta, che campeggia al centro del dramma travolgendo Lear.

Le fonti e la loro rielaborazione La vicenda di re Lear e delle sue figlie si trova nella Historia regum Britanniae (Storia dei re di Britannia, 1140 ca) dello scrittore medievale Geoffrey di Monmouth, oltre che in diverse opere successive. Essa presenta alcuni tratti comuni con la storia di Cenerentola: «la figura di Cordelia è una delle tante incarnazioni del tipo di fanciulla virtuosa perseguitata» (Praz), mentre Goneril e Regan sono vicine alle “sorellastre” malvagie della protagonista della favola di origine popolare che ha ispirato gli scrittori Charles Perrault (1628-1703) e i fratelli Jacob (1785-1863) e Wilhelm (1786-1859) Grimm. Nelle fonti, tuttavia, il destino di Lear non è così tremendo: egli non muore, ma trascorre serenamente l’ultima vecchiaia accanto alla figlia Cordelia, che riconquista, con l’aiuto del marito, il regno perduto. «Oltre a dimostrare l’assoluta libertà del drammaturgo rispetto alle fonti cui attinge, la variante finale, rovinosa e totale, è un esempio in più del disperato pessimismo della maturità shakespeariana» (Orlandi).

Classe di letteratura - volume 2
Classe di letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento