PINO CUTTAIA: La qualità in cucina

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pino cuttaia

Chef e proprietario del ristorante La Madia di Licata (Agrigento)

La qualità in cucina

Curioso, allegro, determinato, infaticabile lavoratore, innamorato, Pino Cuttaia è intriso di una sicilianità che Sciascia avrebbe definito «sostanza di quella nozione della Sicilia che è insieme luogo comune, idea corrente, e motivo di univoca e profonda ispirazione nella letteratura e nell’arte».

Partire dalla sua terra può essere la giusta chiave di lettura delle innumerevoli sfaccettature di questo cuoco e della sua cucina, ma insistere nel chiedergli cosa lui abbia “inventato” potrebbe generare un sorriso o una reazione di sorpresa: la cucina, per lui, è semplicità di sapori, di ingredienti e di tecniche. E la semplicità della tradizione siciliana nasconde una ricchezza di contenuti, di vita e di sapori. La memoria personale, unita a quella storica, dà vita a sensazioni che superano i confini dell’esperienza, vestendo l’emozione con quel bianco-nero delle pellicole o delle cartoline della metà del secolo scorso.

Racconta Pino Cuttaia: «Il mio ingrediente segreto è la memoria. È l’ingrediente che più d’ogni altro caratterizza la mia concezione della cucina, che non manca mai nei miei piatti e che consente di riconoscerli. Ognuno dei miei piatti contiene sempre almeno un pizzico di ricordi. Ognuno dei miei piatti, con la sua semplicità, prova a raccontare una storia».

È il caso del quadro di alici, dell’uovo di seppia, della parmigiana del giorno dopo o ancora della spatola “a beccafico” con caponata. Che cosa c’è di più siciliano, già nel nome, del cannolo di melanzana perlina in pasta croccante con pomodoro e formaggio ragusano?

Il percorso che avrebbe intrapreso era chiaro sin dall’inizio. Il nome La Madia, che ha dato al suo ristorante, non è un caso: fa pensare all’animo di un bambino che guarda quel cassettone in legno che si usava nelle case di campagna per conservare il pane, un luogo magico, profumato di ricordi.

È vero che i suoi quarantacinque anni non sono pochi, ma non sono neanche tanti per raccontare, senza usare le parole, tremila anni di storia della Sicilia e tredici dominazioni a tavola.


  Buone pratiche SLOW FOOD

BUONO, PULITO E GIUSTO

Buono, pulito e giusto: tre aggettivi che definiscono in modo elementare le caratteristiche che deve avere il cibo. Buono: è il senso di piacere che deriva dalle qualità organolettiche di un alimento, risultato della competenza di chi produce, della scelta di materie prime e di metodi produttivi che non alterino la naturalità degli ingredienti. Pulito, ovvero prodotto nel rispetto degli ecosistemi e dell’ambiente, tutelando la salute del consumatore e del produttore. Giusto, cioè che rispetta anche l’uomo che lavora alla sua produzione, promuovendo la creazione di condizioni di lavoro che garantiscano un’adeguata gratificazione e che siano rispettose dei diritti, delle diversità culturali e delle tradizioni di tutti.

Se, come dice il poeta contadino Wendell Berry, «mangiare è un atto agricolo», produrre il cibo deve essere considerato un «atto gastronomico»: il consumatore, con le sue scelte, orienta il mercato e la produzione e, diventando consapevole di questi processi, si trasforma in un nuovo soggetto attivo. Il consumo diventa parte dell’atto produttivo: il consumatore diventa co-produttore. Il produttore vero e proprio, dal canto suo, ha un ruolo chiave in questo processo: deve lavorare all’insegna della qualità, mettendo a disposizione la sua esperienza e aprendosi ai saperi degli altri.

Lo sforzo deve essere comune, nello spirito di una scienza gastronomica che sappia spaziare fra varie discipline, condivisa e consapevole.

Ognuno di noi è chiamato a praticare e diffondere un nuovo concetto di qualità alimentare più preciso e al tempo stesso più ampio, che si basi sui tre requisiti imprescindibili e interconnessi: buono, pulito e giusto. La qualità buona, pulita e giusta è un impegno per un futuro migliore, è un atto di civiltà e uno strumento per migliorare l’attuale sistema alimentare a cui tutti possono contribuire con le proprie scelte e i propri comportamenti individuali.


CIBO E SALUTE: UN MASTER ALL’UNIVERSITÀ DI SCIENZE GASTRONOMICHE

Cibo e salute è un binomio che sempre assume sempre più importanza nel settore medico-scientifico: proprio per questo abbiamo bisogno di riconciliare la dietetica intesa come scienza medica e le scienze gastronomiche.

Già a partire dagli anni Sessanta, il fisiologo francese Jean Trémolières aveva messo l’accento sul rischio della separazione tra dietetica e gastronomia. Ecco perché oggi, con il Master in Cibo e Salute dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, si intende rispondere a un bisogno di nuove competenze per chi opera nelle aree della medicina quali la riabilitazione, la cura e la prevenzione per mettere in pratica nuovi procedimenti e pratiche sanitarie.

Protagonisti in Cucina
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Corso di enogastronomia per il primo biennio