UNA SPIGA DI SAPORE E DI ENERGIA

Una spiga di sapore e di energia

Il termine “cereali” non è un termine botanico, ma letterario e storico: esso comprende infatti tutte quelle piante erbacee dalle quali si possono raccogliere frutti che, macinati, danno una farina con cui elaborare cibi e piatti. La maggior parte dei cereali (il grano, l’orzo, il farro, il mais...) appartiene alle Graminacee, ma sono cereali anche il grano saraceno (Poligonacee) e la quinoa (Chenopidiacee). Queste piante sono alla base dell’alimentazione mondiale: in ogni Paese, chicchi e farine vengono elaborati in modo diverso dalle cucine tradizionali. In Italia, dove i primi piatti realizzati usando questi ingredienti sono alla base di tutti i menu, conoscere le proprietà dei singoli tipi di cereali e saperle sfruttare nei principali impasti e nelle preparazioni di cucina è particolarmente importante.

Vediamo qual è l’origine e quali sono le caratteristiche dei cereali più usati nelle nostre ricette.

Dal chicco alla farina

Le Graminacee producono un frutto comunemente chiamato granella o chicco, che la scienza chiama cariosside. La struttura di questi frutti “secchi” distingue un germe o embrione della nuova pianta, un endosperma nutritivo, uno strato aleuronico che li avvolge e un tegumento esterno protettivo (la crusca): tutti hanno caratteristiche nutrizionali diverse, come illustrato nell’immagine qui sotto.

Le cariossidi sono prodotte da infiorescenze, cioè da gruppi di fiori, e quindi sono riunite in pannocchie o in spighe:

  • nella spiga, i frutti sono inseriti sullo stesso asse centrale; è il caso del grano, dell’orzo, della segale e del mais (la parte dei fiori femminili, comunemente chiamata “pannocchia”);
  • nella pannocchia, ogni chicco si sviluppa su un grappolo che s’impianta, con tanti altri, su uno stesso asse; è il caso del riso, dell’avena o del cosiddetto “pennacchio” del mais (fiori maschili).

I semi delle Graminacee sono ricchi di zuccheri (soprattutto amido), proteine, minerali e vitamine del gruppo B, anche se nelle lavorazioni ciò che resta principalmente è l’amido. Vengono impiegati in chicchi – per risotti, zuppe, insalate, muesli – o trasformati in fiocchi, in paste alimentari, in farine, in semola e in fecola. Servono anche per preparare bevande fermentate alcoliche, come la birra, il whisky ecc. Per la loro grande adattabilità, queste piante crescono in quasi tutti i Paesi che ne fanno uso; le caratteristiche più importanti sfruttate in cucina sono: la facilità di trasporto e di conservazione (sia la granella che i lavorati vanno conservati in ambiente fresco e asciutto); il prezzo contenuto; la ricchezza di amido.

Vediamo le caratteristiche più importanti delle Graminacee e degli altri cereali più usati in cucina, a partire da quello che fin dall’antichità è stato per noi il più importante.

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Il frumento o grano

È una graminacea e uno dei cereali più usati. In cucina si distingue fra:

  • grano tenero (Triticum aestivum), l’unico che può essere coltivato anche nei Paesi nordici, disponibile in molte varietà. Viene usato soprattutto per la farina destinata all’alimentazione umana (pane, dolci lievitati, biscotti, pasta fresca ecc.), per la produzione di seme e, in parte, per i mangimi animali o per l’estrazione dell’amido. Contiene meno proteine;
  • grano duro (Triticum durum), si coltiva per lo più nei Paesi caldi. Viene usato soprattutto per produrre pasta secca, meno per altri impieghi alimentari (pane, dolci ecc.). È più ricco di proteine.

In agricoltura, invece, si distingue fra:

  • frumenti invernenghi, i più diffusi, che hanno un ciclo vitale completo fra ottobre e giugno;
  • frumenti marzuoli, che hanno un ciclo vitale più breve (la semina avviene in marzo), e che sono usati di solito per integrare una produzione di frumenti invernenghi carente a causa del clima sfavorevole.

Strati

Amido e altri carboidrati

Proteine

Lipidi

Sali minerali

Fibre

Cariosside intera

70%

15%

2%

2%

11%

Pericarpo

14%

13%

2%

6%

65%

Strato aleuronico

12%

32%

8%

10%

38%

Endosperma

83%

11%

3%

1%

2%

Germe

20%

38%

15%

5%

22%

Tabella nutrizionale della cariosside di frumento. Il fondo colorato evidenzia in quale parte della cariosside è più concentrato ciascun nutriente.

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I derivati del frumento: farina e amido

La farina è il derivato fondamentale del frumento, base di partenza per la lavorazione di molti prodotti alimentari. Essa è il prodotto finale della lavorazione del grano: vediamo in breve come si ottiene.

Raccolta

Quando ha concluso il suo ciclo di maturazione, il grano viene raccolto; i chicchi sono separati del resto della pianta e insaccati in attesa della trasformazione.

Conservazione

Il grano va conservato correttamente fino alla trasformazione, tenendo sotto controllo:

  • l’umidità, che condiziona la qualità e la durata della conservazione. I valori ideali sono fra il 13 e il 16%; se questi valori non sono raggiunti nel campo con un corretto ciclo di maturazione, a volte si usa un condizionamento artificiale;
  • la temperatura, che deve restare intorno a 20-25 °C per evitare il surriscaldamento e la proliferazione microbica o l’alterazione qualitativa;
  • il pH, che deve rimanere intorno a 7;
  • l’integrità fisica dei grani, per evitare una contaminazione biologica a opera di animali infestanti (p. 25).
Macinazione

Prima di macinarli, i chicchi vanno sottoposti ad alcuni processi preliminari:

  • prima pulitura, che elimina le impurità maggiori (residui di terra, pietre, paglia ecc.);
  • condizionamento o riposo dei grani “bagnati” (cioè umidificati appositamente per fini tecnologici), che serve a rendere il tegumento più elastico e meno fragile, cosa che rende più facile distaccarlo dall’endosperma e migliora la separazione tra farina e crusca;
  • seconda pulitura, che elimina i residui del tegumento rimasti;
  • macinazione, operazione che di solito è una successione ripetuta di rottura dei grani e di separazione delle diverse dimensioni dei granelli (granulometria); appositi macchinari (i plansichter ) e le semolatrici separano le particelle di grandezze regolari e predefinite.

Dalla macinazione del grano si ottengono i prodotti illustrati nella tabella sotto. La differenza fra i vari tipi di farina è data dal loro grado di raffinazione: minore è la quantità di farina che si ricava da 100 kg di grano (grado di abburattamento), più la farina è raffinata o bianca e minore è il suo valore nutritivo: è povera di minerali, vitamine, proteine. Al contrario, una farina con alto grado di abburattamento ha ancora molta crusca che ne condiziona il colore e ne aumenta il valore nutrizionale. Si parte quindi dalla farina doppio zero (“00”), più raffinata, prodotta dal cuore del chicco e ricca di amidi, e si arriva a quella integrale non setacciata. Lo stesso discorso vale per le semole, differenti solo per la consistenza: a eccezione della farina di grano duro (farinosa al tatto), sono tutte granulari.

Essiccamento

È l’ultima fase che, usando aria calda deumidificante, abbatte l’umidità di farine e semole: la massima consentita, infatti, è del 14,5%.

Produzione dell’amido

Si ottiene ammollando la farina di grano tenero in acqua, macinandola, filtrandola, essiccandola e riducendola in polvere. Questo procedimento rende l’amido molto digeribile, mantenendone l’alto valore proteico. L’amido di frumento si usa come addensante nelle preparazioni di dolci e salse (p. 279).

Frumento tenero

Frumento duro

Farina di grano tenero

di tipo “00”

Semola

Farina di grano tenero

di tipo “0”

Semolato

Farina di grano tenero

di tipo “1”

Semola integrale

di grano duro

Farina di grano tenero

di tipo “2”

Farina di grano duro

Farina integrale

di grano tenero

 

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I numerosi parametri di qualità

Ci sono molti parametri da controllare per definire la qualità organolettica o tecnologica di un grano o di una farina; fra questi ricordiamo:

  • l’estensibilità dell’impasto, che serve a valutare il tempo ottimale di fermentazione;
  • l’indice di caduta o falling number, che valuta l’attività degli enzimi sull’amido, evidenziando la possibilità di problemi di panificazione;
  • il colore, determinato dai carotenoidi e importantissimo per la pastificazione;
  • i parametri igienico-sanitari, che misurano la presenza di micotossine, di corpi estranei, di fitofarmaci o di metalli pesanti.

Fra i parametri più rilevanti, alcuni si valutano controllando i grani, altri verificando la farina: vediamoli più nel dettaglio.


Parametri che si misurano controllando i grani

Si valutano a campione, con un apposito taglia-grani.

  • Bianconatura: individua la presenza di grani con endosperma farinoso, che causano una perdita di qualità del prodotto.
  • Volpatura: individua un imbrunimento che di norma è più evidente nella zona embrionale; prevalente nel grano duro, causa la produzione di semola o pasta puntinati, di minor valore.

Parametri che si misurano controllando la farina

  • Forza della farina: è uno dei parametri più importanti, legato alla quantità di proteine presenti. La forza della farina si misura con l’alveografo di Chopin (nella foto in alto), uno strumento che, insufflando aria al centro di un impasto di dimensioni e idratazione standard, simula gli effetti della lievitazione in modo da misurare la capacità della farina di dare prodotti più voluminosi anche se lavorati con minor energia e per minor tempo. L’alveo­grafo misura la tenacità iniziale dell’impasto e la sua elasticità ricavando l’indice di forza totale W . Si individuano così tre categorie:
    – farine forti, che hanno un valore W maggiore di 300; permettono un maggior assorbimento d’acqua e danno maggior tenacità all’impasto; sono usate quindi per prodotti lievitati come panettoni, babà, brioche e tanti altri;
    – farine di media forza, che hanno un valore W fra 160 e 300; con un buon grado di assorbimento di acqua, sono adatte a produzioni che non richiedono lievitazioni troppo lunghe (panificabili);
    – farine deboli, che hanno un valore W minore di 160; hanno scarsa capacità di assorbire l’acqua, e conferiscono friabilità al prodotto; sono usate per la produzione di biscotti, grissini e piccola pasticceria.

Esistono poi farine speciali, prodotte con grani esteri e usate per preparazioni lievitate particolari o per rinforzare farine più deboli. Un esempio è la farina manitoba, prodotta con grani canadesi che hanno un valore di W superiore a 350.

  • Peso ettolitrico: certifica il peso di un ettolitro di grani dando una misura della resa alla macinazione, anche se è solo un dato preliminare che misura la densità, non tanto la qualità, della granella.
  • Qualità delle proteine: fra tutte le proteine, le gliadine e le glutenine svolgono in ruolo importante nella lavorazione delle farine. A contatto con l’acqua formano un complesso proteico detto glutine, che dà compattezza ed elasticità all’impasto oltre che volume e morbidezza alle preparazioni. Più la farina è ricca di queste proteine, migliore sarà la sua qualità. Il glutine, però, nelle persone sofferenti di celiachia, causa danni all’intestino.
  • Stabilità dell’impasto: il farinografo di Brabender è lo strumento che misura la resistenza dell’impasto alle sollecitazioni della macchina impastatrice. Da essa, infatti, dipendono il tempo di sviluppo dell’impasto, la sua stabilità e il suo decadimento.

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Avena

Come il frumento, l’Avena sativa è una graminacea annuale che produce spighe di semi sottili e lunghi. Molto usata per l’alimentazione animale, è adoperata anche nella produzione di farina e fiocchi, di birra e whisky.

Farro

Il farro (Triticum speltum) è una varietà di grano già molto usata dall’antichità e oggi tornata in uso dopo un periodo di disinteresse. In cucina si usa come il riso, unito a verdure, in zuppe, minestre e insalate. La farina di farro si può mescolare a quella di grano duro per la panificazione.

Mais

Il mais (Zea mays) è una graminacea annuale originaria del Sudamerica largamente usata sia nell’alimentazione animale, sia nelle industrie di trasformazione, dove può essere impiegata per produrre whisky, birra, gin, alcol, olio e amido.

Nell’ambito dell’alimentazione umana, si usano sia la farina sia i semi.

In base alla granulometria, la farina di mais si distingue in bramata (macinata grossa); fioretto (macinata fine); fumetto (macinata molto fine).

In cucina la farina si usa per fare la polenta oltre che dolci e preparazioni tradizionali.

I semi si distinguono a seconda delle varietà: alcune, come la everta dai chicchi piccoli e duri, sono ideali per fare il pop corn; altre, invece, come il mais dolce, forniscono chicchi adatti per essere consumati a crudo, lessati o alla griglia, per la preparazione di contorni, minestre o insalate.

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Grano saraceno

Il Fagopyrum esculentum è una poligonacea annuale dal ciclo vitale breve (60-120 giorni) e molto resistente ai climi rigidi. Produce frutti secchi (acheni) di forma tetraedrica, da cui si ricava una farina usata per preparazioni tradizionali, o per chi segue una dieta priva di glutine. La farina di grano saraceno si può anche mescolare a quella di frumento per fare il pane, unendo le sue caratteristiche di rusticità alla miglior capacità di lievitazione del frumento; è conosciuta però soprattutto perché indispensabile per preparare piatti tipici come i pizzoccheri e la polenta taragna della Valtellina.

Miglio

Questa graminacea (Panicum miliaceum) è molto resistente e cresce anche in condizioni di siccità: per questo è molto diffusa in Africa. I semi sono piccoli e rotondi e si usano direttamente, ridotti in fiocchi oppure macinati. In cucina si usano interi nelle zuppe, nelle minestre e nelle insalate; la farina può essere usata per panificare se mescolata alla farina di grano duro: poiché il miglio non contiene glutine, non è adatto a preparazioni lievitate.

Orzo

L’orzo (Hordeum vulgare) è una graminacea annuale usata soprattutto per i mangimi animali, mentre nell’industria alimentare si usa per produrre malto (usato nella fabbricazione di birra e whisky); tostato e macinato come surrogato del caffè; per la produzione di farine a scarsa lievitazione; oppure ▶ perlato per la preparazione di insalate, zuppe e minestre.

Segale

Esistono molte varietà di questa graminacea (Secale cereale), estive e invernali. Il seme somiglia a quello del grano, ma è meno gonfio e più lungo. Molto usata nei mangimi animali, in cucina si usa come il riso; soprattutto, però, serve per produrre una farina di colore scuro con scarsa lievitazione per la bassa quantità di glutine che contiene, con la quale si ottiene un pane nero molto apprezzato.

la “carne” dei vegetariani: il seitan

Il seitan si ottiene dal glutine: è quindi un alimento con un elevato contenuto proteico, privo di colesterolo, che nelle diete vegetariane sostituisce spesso la carne.

Di aspetto spugnoso e marrone, si ottiene attraverso un procedimento molto lungo: è consigliabile acquistarlo già pronto.

In cucina si usa in preparazioni con verdure, a spezzatino, come scaloppina, hamburger ecc. o nei piatti della cucina orientale. Si conserva in frigorifero.

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Riso

Anche il riso (Oryza sativa) è una graminacea annuale: si semina in primavera e si raccoglie agli inizi dell’autunno. Diversamente dagli altri cerea­li, il riso viene coltivato in acqua: per mantenere costanti umidità e temperatura, nel suo primo sviluppo la pianta deve rimanere sommersa. Fra le varie sottospecie di riso, che prendono il nome dalle zone in cui vengono prevalentemente coltivate, quelle più diffuse sono:

  • la indica, dai frutti con la tipica forma lunga e stretta: appartengono a questa sottospecie le varietà Basmati e Patna, resistenti in cottura e spesso utilizzate per preparare il riso Pilaf, i contorni e le insalate;
  • la japonica, dal chicco tondo, molto diffusa anche in Italia con numerose varietà: dall’Arborio al Venere.
    Per legge, le varietà di riso japonica sono distinte in 4 gruppi a seconda delle caratteristiche del chicco:
    riso comune o originario come le varietà Balilla e Ticinese; hanno un chicco piccolo e tondeggiante, con scarsa tenuta in cottura; sono usate per dolci e minestre;
    riso semifino come le varietà Vialone nano e Padano; hanno chicchi semitondi di media lunghezza;
    riso fino come le varietà Ribe o Europa; hanno chicchi lunghi e sottili, adatti per cotture all’inglese o insalate di riso;
    riso superfino come la maggior parte delle varietà più conosciute: Arborio, Carnaroli, Roma, Baldo; hanno chicchi grossi e allungati, con una buona tenuta in cottura, adatti per insalate di riso e risotti;
  • la javanica, dal chicco molto grosso. È una varietà poco conosciuta e utilizzata.

le fasi di lavorazione del riso

Come il grano, anche il riso subisce una serie di processi prima di essere pronto all’uso in cucina.

Vediamoli brevemente.

  • Raccolta: fra settembre e ottobre il riso viene raccolto, trebbiato ed essiccato per ridurne l’umidità; viene detto risone, o riso greggio, o riso vestito.
  • Pulitura: il riso viene ripulito da terriccio, ghiaia e altre impurità.
  • Sbramatura: si eliminano i rivestimenti legnosi che ricoprono il chicco (le glumelle) senza intaccare il chicco; si ottiene il riso integrale, o sbramato di risone, o riso cargo, o riso semigreggio.
  • Raffinatura o sbiancatura: il riso viene “raffinato”, cioè pulito con macchine abrasive che eliminano i resti delle glumelle. Si ottiene così il riso semilavorato o riso mercantile.
  • Lucidatura: lavorato in macchine levigatrici, il riso diventa più bianco e liscio: è il riso lavorato o riso raffinato, che può già essere confezionato.

Altrimenti può essere sottoposto a:

brillatura, cioè trattato con talco o glucosio; il riso brillato è bianco e traslucido;

oliatura con olio di lino o vaselina che dà il riso camolino.

A partire dal riso grezzo, però, si può procedere con la tecnica di parboilizzazione: il risone viene immerso in acqua tiepida e sottoposto a una pressione idraulica che fa passare i nutrienti dall’esterno all’interno del chicco. Quindi, viene esposto a getti di vapore ad alta pressione: l’amido all’esterno del chicco gelatinizza creando uno strato duro e compatto che trattiene le sostanze all’interno. Il riso parboiled mantiene le caratteristiche nutritive e la resistenza alla cottura del riso integrale, nonostante abbia completato il ciclo di lavorazione con la raffinatura.

Protagonisti in Cucina
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Corso di enogastronomia per il primo biennio