IL MONDO DEL CACAO

il mondo del cacao

Il cacao: solo il nome richiama alla mente un universo di bontà! Cacao e cioccolata sono fra gli ingredienti più “gettonati” in pasticceria, ma anche sfruttati in molte ricette. Al bar, la delizia di una tazza fumante piena di cioccolata calda in una rigida giornata invernale è qualcosa di impagabile, così come d’estate un bicchiere di cioccolata fredda.

L’origine del “cibo degli dei”

Vediamo brevemente da dove viene il cacao, quali lavorazioni sono necessarie per produrlo e come arriva alla tazza dei nostri bar.

La pianta del cacao

Il cacao si produce a partire dai semi di un albero sempreverde che può arrivare a 10 m d’altezza. Il suo nome scientifico, scelto nel 1753 dal grande botanico Carlo Linneo, è Theobroma cacao: in latino, theobroma vuol dire “cibo degli dei”, mentre “cacao”, il nome con cui il prodotto di questa pianta è comunemente noto, deriva da kakaw, il termine maya per “cibo”. Originario delle foreste equatoriali americane, questa pianta produce gruppi di fiori (e frutti) direttamente dal tronco o dai rami più vecchi, fino a un’età di 25 anni. Le varietà più comunemente usate sono:

  • il cacao criollo (Theobroma cacao cacao) o cacao nobile; è la varietà più antica e produce frutti che danno un cacao molto aromatico e poco amaro. Però è una pianta che si ammala facilmente e che dà pochi frutti: poco diffusa, viene coltivata in Venezuela, Madagascar, Sri Lanka e naturalmente nel Centro America;
  • il cacao forastero (Theobroma cacao sphaerocarpum) o cacao di consumo; da questa varietà proviene gran parte del cacao in commercio, anche se la sua qualità non è eccelsa: è molto amaro e tende all’acidulo. Viene coltivato soprattutto in Costa d’Avorio, ma anche in Ghana, Nigeria e in America centromeridionale;
  • il cacao trinitario è un ibrido dei precedenti: resistente e fruttifero come il forastero, produce una qualità di cacao migliore. Il nome deriva dall’isola di Trinidad, dove è stato prodotto.

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la preziosa scoperta degli Olmechi

Secondo le scarse informazioni tramandateci dalla storia misteriosa dell’antico Centro America, il primo popolo a coltivare il cacao fu quello degli Olmechi, abitanti dell’odierno Messico fra il XV secolo e il IV secolo a.C. Per trovare informazioni più attendibili sull’uso del cacao, però, bisogna arrivare ai reperti dei Maya, il popolo che, sviluppatosi nello stesso periodo, giunse a controllare una vasta area del Centro America. Nel Codice di Dresda, uno dei pochissimi codici in lingua maya ancora esistenti, alcune incisioni mostrano divinità con in mano i semi di cacao: le Kakaw uhanal, o “cibo degli dei” (cacao, quindi, vorrebbe dire semplicemente “cibo”). Inoltre, questi semi erano usati come moneta di scambio: in un tariffario del 1545, si legge che un pomodoro o un avocado “costavano” un seme; un coniglio o uno schiavo ne costavano 100 e un tacchino 200.

Ma, nonostante la colonizzazione delle Americhe, il cacao stentò a raggiungere l’Europa. Secondo la Historia del nuovo mondo scritta nel 1575 da Girolamo Benzoni, Cristoforo Colombo avrebbe assaggiato la “bevanda degli dei” a base di cacao rimanendone disgustato: l’avrebbe definita “beveraggio da porci”. Di fatto, gli spagnoli preferivano importare dalla Spagna i sapori a cui erano abituati: peschi, aranci e canna da zucchero così come maiali, pecore, capre e polli. Più tardi, Hernan Cortés, nel suo viaggio di conquista, ebbe modo di assaggiare una bevanda a base di cacao, mais e peperoncino, offertagli dall’imperatore Montezuma: evidentemente dovette piacergli, perché decise di inviarla in Spagna dove l’esperienza erboristica di alcuni frati li portò a sostituire il peperoncino con la vaniglia e lo zucchero. La deliziosa bevanda così prodotta, ovviamente, era destinata alla tavola di nobili e clero, che la preferivano per colazione. Bisognerà aspettare solo un paio di secoli: la rivoluzione industriale porterà la cioccolata nelle case di tutti.

La prima fabbrica di cioccolato sorge in Francia, pochi anni prima della Rivoluzione (1776): è solo il primo esempio di un interesse sempre più vasto che coinvolgerà tutta l’Europa. Alla fine del secolo, per esempio, a Torino il signor Doret sviluppa una macchina in grado di impastare in modo automatico cacao, vaniglia e zucchero producendo i primi cioccolatini: una tradizione che porterà – nel 1852 – Michele Prochet a produrre i primi gianduiotti aggiungendo le nocciole all’impasto, e alla quale si formerà anche la gran parte dei cioccolatai attivi in Italia, da Gay-Odin di Napoli alla Bottega del Cioccolato di Roma.

Pochi anni dopo (1826), sfruttando la macchina di Doret, Pierre Paul Caffarel inizia la sua produzione di oltre 300 kg di cioccolato al giorno, mentre nel 1828 il chimico olandese Coenraad Johannes van Houten sviluppa un processo industriale per privare il cacao del gusto amaro e ridurlo in polvere, fondando un’azienda ancora oggi all’avanguardia nella produzione di cacao e cioccolata.

La prima tavoletta viene prodotta a Birmingham, nel cuore del Regno Unito, dove le chocolate house ebbero un successo tale da fare concorrenza ai tradizionali pub. È il farmacista Joseph S. Fry che, insieme al figlio, mescola burro di cacao, zucchero e liquore di cioccolato, preparando la prima barretta e avviando un ricco commercio.

Il cioccolato al latte, invece, viene “inventato” più tardi: il fabbricante di alimenti per l’infanzia Henry Nestlè, tedesco naturalizzato svizzero, e l’imprenditore svizzero Daniel Peters unirono le forze per rimuovere l’acqua dal latte e produrre cioccolato al latte in grado di conservarsi più a lungo.

Nello stesso periodo, sempre in Svizzera, Rudolph Lindt, fondatore di un’azienda ancora oggi leader nel mondo della cioccolata, inventa il concaggio (1879), un procedimento che garantisce la perfetta miscelazione degli ingredienti nella cioccolata, mentre Milton Hershey è il primo produttore di cioccolato veramente “popolare”: dopo aver sviluppato un proprio modo di produrre una varietà al latte, mette sul mercato la sua Hershey bar (1900), una barretta di cioccolato venduta a prezzi stracciati, accessibili a tutti.

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La lavorazione del cacao

Vediamo nel dettaglio le varie fasi che portano dalla raccolta dei frutti alla produzione di cacao pronto per l’uso.

La raccolta

I frutti, chiamati cabosse, grandi come meloni, sono staccati dai tronchi e aperti a colpi di machete: da ciascuno si estraggono 30-40 semi chiamati fave, avvolti in una mucillaggine biancastra fatta di zuccheri.

La fermentazione

I semi vengono ammassati in tinozze di legno, in cesti o avvolti in foglie di banano, e messi sotto terra: in questo modo, la temperatura si mantiene sui 40-50 °C ad opera del processo di fermentazione durante il quale gli zuccheri si trasformano in acidi (soprattutto acido lattico e acido acetico). Inoltre, dopo un periodo di 3-5 giorni, a fermentazione avvenuta, i batteri e i lieviti iniziano a produrre i precursori dei 500 aromi presenti nel cacao. Con questa lavorazione, dunque, la polpa residua dei frutti viene eliminata, il sapore amaro e astringente delle fave si riduce mentre si sviluppano gli oli essenziali. Per ottenere una buona fermentazione, le fave vanno rimestate quotidianamente.

L’essiccazione

A seguito della fermentazione, le fave vengono di solito stese al sole su graticci o su speciali “cassettoni” in modo da poterle rapidamente ritirare al coperto in caso di pioggia. Se il clima non permette di asciugarle al sole, si mettono in enormi stanze dove sono sottoposte a flussi d’aria calda. In questo modo le fave perdono la metà circa del loro peso e, col nome di cacao verde, vengono insaccate nella iuta e spedite agli importatori.

La tostatura

Raggiunte le fabbriche, le fave sono tostate come si fa con il caffè: questo passaggio serve a eliminare l’umidità residua, e il grado di tostatura dipende dalle necessità dell’azienda. Di solito le fave sono riscaldate per un tempo che dipende dal prodotto finale: per il cacao in polvere rimangono 1-2 ore a 115-120 °C; per il cacao da cioccolato 70-130 minuti a 105 °C. Una cottura eccessiva potrebbe aumentarne l’acidità e l’astringenza, rendendo la produzione difettosa.

La triturazione o molitura

Le fave torrefatte passano poi attraverso una serie di cilindri per essere ridotte in polvere: poiché contengono il 50-60% di materia grassa (il cosiddetto burro di cacao), vengono ridotte in pasta, che si fa fluida per l’effetto congiunto del calore e della macinazione. È la cosiddetta “massa o pasta di cacao” o “liquore di cacao” che può prendere due strade diverse: una porta a produrre il cacao in polvere, l’altra il cioccolato.

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Il cacao in polvere e il cacao magro

La massa di cacao viene filtrata a pressione in modo da separare il burro di cacao, una sostanza grassa di colore bianco giallastro, dal pannello; è questa parte che, polverizzata, dà il cacao in polvere. Sgrassando ulteriormente il cacao in polvere si ottiene il cacao magro.

Dal cacao al cioccolato

Per arrivare a produrre il cioccolato serve una serie di lavorazioni ulteriori.

L’aggiunta di lecitina

La lecitina di soia è un ingrediente fondamentale nella produzione del cioccolato: essa ha lo scopo fondamentale di emulsionare l’umidità ancora presente in tracce nel cacao con la parte grassa; in questo modo la viscosità si abbassa aumentando la fluidità del preparato.

Il concaggio

Questa operazione consiste nel mettere il prodotto in speciali conche (da qui il nome) a temperatura controllata di 40 °C, dotate di bracci che rimescolano e amalgamano alla perfezione tutti gli ingredienti: cacao, latte, zucchero, vaniglia, nocciole… tutto ciò che si vuol mettere nel cioccolato per renderlo squisito viene perfettamente amalgamato. È un procedimento importante, dal quale dipendono la pastosità, la rotondità e il gusto vellutato, ma anche la durezza e la brillantezza esterna del cioccolato una volta consolidato. La procedura del concaggio varia da Paese a Paese: per Rudolph Lindt, il suo inventore, il processo doveva durare 72 ore.

Il temperaggio

Dopo il concaggio, il cioccolato viene lavorato dalla macchina temperatrice: modulando la temperatura dai 40 °C del concaggio ai 28 °C per poi tornare ai 31 °C, essa provoca la cristallizzazione del burro di cacao in modo tale che, una volta formata, la tavoletta possa resistere al calore, avere un aspetto lucido e produrre il classico “schiocco” quando viene spezzata.

Il modellaggio

È la fase finale: il prodotto fluido viene versato in stampi di metallo o di legno appoggiati su nastri in movimento che, vibrando, eliminano eventuali bolle d’aria e rendono il prodotto perfettamente uniforme. Lasciandolo raffreddare, si ottengono le tavolette.

Conservare il cioccolato

Cacao in polvere e cioccolato vanno conservati al fresco e in ambiente assolutamente asciutto: essi sopportano male l’umidità, che assorbono facilmente. Per questo, il frigorifero non è il posto adatto a conservarli, eccetto che per brevi periodi nella stagione calda. Inoltre assorbono anche gli odori: vanno avvolti in una pellicola trasparente o messi in sacchetti di plastica a chiusura ermetica, se si vuole preservarne l’aroma.

Con il caldo, i cristalli di zucchero e il burro di cacao affiorano dal cioccolato sotto forma di una patina biancastra: è un fenomeno che dà alle tavolette un aspetto non invitante, ma non ne compromette il sapore o l’aroma.

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La cioccolata calda

Sembra che il termine “cioccolata” derivi da due parole usate dagli Aztechi, che hanno condiviso con i Maya il territorio sudamericano: chocol (cacao) e atl (acqua). In Europa questa bevanda ha preso piede nel XVIII secolo, diventando una moda che ha coinvolto sia le grandi potenze coloniali (Inghilterra e Francia in testa) sia le altre nazioni. Vediamo che cosa serve, oggi come allora, per gustare una buona tazza di cioccolata calda.

Preparare una buona cioccolata

Per ciascuna tazza di cioccolata calda, gli ingredienti sono:

  • 2 cucchiai di cacao amaro in polvere;
  • 2 cucchiaini di zucchero;
  • mezzo cucchiaino di fecola di patate (facoltativo);
  • 12-15 cl di latte (circa un bicchiere).

Mettete tutti gli ingredienti in un bricco, eccetto il latte, che aggiungerete poco alla volta mentre amalgamate il tutto fino a ottenere una pasta fluida senza grumi. Quindi scaldate quest’ultima con il vaporizzatore: il prodotto ottenuto dev’essere gustoso, profumato, di lieve densità.

Esistono in commercio anche preparati industriali, confezionati generalmente in bustine monodose, che contengono già tutti gli ingredienti in polvere: basta aggiungere il latte e vaporizzarli per avere un buon risultato.

Per avere una cioccolata più leggera e meno grassa (ma anche meno saporita!), si può sostituire il latte con l’acqua.

Servire la cioccolata calda

Come accade per il tè, anche in questo caso il servizio può essere al banco o al tavolino; ma, in entrambi i casi, di solito la tazza (da tè, con piattino e cucchiaino) viene appoggiata già colma della bevanda, versata direttamente dal bricco in cui è stata preparata.

Nei locali storici o dove viene effettuato un servizio di buon livello, così come per il servizio delle prime colazioni, va presentato un vassoio con la tazza e il piattino, il cucchiaino, la zuccheriera, una lattiera con latte caldo, una piccola cremiera con panna montata e, soprattutto, la cioccolatiera: una sorta di caffettiera in porcellana, ceramica o argento con un caratteristico foro al centro del coperchio dove si inserisce un apposito cucchiaio in legno che serve per amalgamare la bevanda prima del servizio.

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