LA CONSERVAZIONE DEGLI ALIMENTI

  La conservazione degli alimenti

La dieta dei primi uomini preistorici somigliava a quella degli attuali predatori onnivori: pasti frugali di scarso contenuto calorico, punteggiati da rare abbuffate in stagioni o circostanze propizie. La necessità di assicurarsi provviste di cibo per affrontare periodi non favorevoli alla caccia e alla raccolta li indusse ad adottare le prime tecniche di conservazione. Queste, insieme all’uso del fuoco, segnarono una svolta determinante, accrescendo l’apporto proteico della dieta e favorendo l’evoluzione biologica della specie.

Fu la natura stessa a suggerire all’uomo le prime possibilità di conservazione del cibo, sotto forma di frutta avvizzita rimasta sugli alberi, di animali trovati sepolti sotto il ghiaccio o essiccati dal sole e dall’aria, o ancora di pesci rimasti intrappolati in saline naturali: cibo non più fresco, ma ancora commestibile.

La conservazione in età moderna

Nell’Ottocento la conservazione degli alimenti cominciò a essere un tema affrontato a livello industriale: furono messe a punto svariate tecniche per limitare i fenomeni di deterioramento spontaneo del cibo, grazie anche ai progressi scientifici che trovarono risposte al problema dell’alterazione degli alimenti.

Lo sviluppo successivo delle scienze e delle tecnologie ha anche chiarito che tutti gli alimenti sono entità complesse e dinamiche. Complesse dal punto di vista sia della composizione sia della comunità microbica che li caratterizza; dinamiche perché in costante evoluzione durante la conservazione, per effetto delle numerose cause di alterazione che abbiamo esaminato.

Obiettivi della conservazione

Le tecniche di conservazione moderne sono caratterizzate da un utilizzo costante della tecnologia, ma nei principi ricalcano ancora le pratiche tradizionali.

Confrontando le diverse tecniche di conservazione, si potrà notare che, quando esse sono molto efficaci nel diminuire le varie cause d’alterazione, danneggiano inevitabilmente anche le sostanze nutritive che compongono l’alimento. Viceversa, i metodi che preservano al meglio il valore nutrizionale del cibo hanno un’efficacia blanda contro le cause di alterazione, e non aumentano molto la conservabilità. Qualunque sia la tecnica di conservazione scelta, si hanno inevitabili perdite nutrizionali nel cibo conservato.

La conservazione di un alimento si ottiene soddisfacendo le seguenti condizioni:

  • eliminando i microrganismi, i virus e i parassiti presenti (o almeno ostacolandone lo sviluppo);
  • inibendo i processi fisiologici di decomposizione interni all’alimento;
  • limitando al massimo il contatto con possibili fonti esterne di contaminazione (aria, oggetti solidi, esseri viventi di ogni genere, altri cibi e così via).

Le tecniche che consentono di soddisfare queste condizioni sono accorpabili in tre gruppi sulla base della loro natura: distinguiamo così fra tecniche fisiche, tecniche chimiche e tecniche biologiche.

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  L’HURDLE CONCEPT

Uno dei maggiori limiti legati alle tecniche di conservazione più drastiche è che il loro impiego comporta il rischio molto serio di selezionare microrganismi resistenti a quelle stesse tecniche, i quali potrebbero espandersi molto velocemente essendo tali alimenti ormai privi di tutti gli altri microrganismi “concorrenti”.

Esistono molteplici fattori di stress (variazione della temperatura, del pH, dell’Aw, della salinità eccetera) che rappresentano un ostacolo (hurdle in inglese) allo sviluppo di gran parte dei microrganismi responsabili di alterazione. Applicando queste informazioni alle tecniche di conservazione, lo scienziato tedesco Lothar Leistner ha sviluppato il cosiddetto hurdle concept, o teoria degli ostacoli, che prevede l’eliminazione dei microrganismi attraverso la combinazione di più tecniche applicate blandamente, anziché impiegando una sola tecnica spinta all’estremo: infatti, tanti piccoli stress risultano più efficaci di un solo trattamento drastico. I vantaggi sono una maggiore sicurezza alimentare, cambiamenti sensoriali meno intensi e nessun rischio di selezionare batteri resistenti.

  Le tecniche fisiche di conservazione

Le tecniche fisiche di conservazione degli alimenti comprendono gli interventi sulla temperatura (impiego del calore o sottrazione di calore), la sottrazione di acqua o di aria, l’utilizzo di radiazioni.

  Impiego del calore

Per ridurre drasticamente il numero dei microrganismi presenti negli alimenti, l’impiego delle alte temperature offre il miglior compromesso tra efficacia e costi economici. Perciò questo metodo è di gran lunga il più diffuso, tanto che il pretrattamento degli alimenti e dei loro contenitori ad alte temperature è spesso abbinato ad altre tecniche di conservazione.

L’impiego del calore causa evidenti cambiamenti sensoriali nel cibo: gli alimenti cotti cambiano aspetto, consistenza, odore e gusto, ampliando la gamma dei sapori talvolta in modo sorprendente (vedi Unità 13, La cottura degli alimenti). Il principale limite di questa tecnica è che essa comporta una perdita dei nutrienti termolabili, cioè sensibili al calore, come le vitamine.

Il modo migliore per eliminare i microrganismi e al contempo limitare i danni termici consiste nel trattare gli alimenti ad alte temperature per tempi brevi, anziché a temperature inferiori per tempi più lunghi. In questo modo l’effetto disinfettante del calore è massimo, mentre la perdita di nutrienti viene limitata.

L’effetto disinfettante del calore è dovuto principalmente alle profonde modificazioni che esso induce nelle proteine. Come infatti sappiamo, oltre i 60 °C si innesca il fenomeno della denaturazione per shock termico. Le proteine si deformano, perdono la loro funzionalità biologica e coagulano (vedi Unità 5, I macronutrienti, p. 144).

Ai fini della conservazione, la denaturazione delle proteine ha due importanti effetti:

  • battericida: oltre i 60 °C, i batteri (così come qualunque altro organismo contaminante) cominciano a morire per via della progressiva perdita di forma e funzione delle proteine che li costituiscono;
  • conservante: ogni enzima, di origine endogena o esogena, ha una sua temperatura di denaturazione. Superata tale temperatura risultano limitati sia i processi di necrosi intracellulare sia quelli di digestione microbica extracellulare. Gli alimenti trattati in questo modo si conservano più a lungo.

Le tecniche di conservazione che si basano sull’impiego del calore sono essenzialmente tre: cottura, pastorizzazione e sterilizzazione.

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La cottura

Fin dai tempi antichi, la cottura è stato il metodo più veloce e diffuso per disinfettare gli alimenti e dunque per conservarli un po’ più a lungo. Per eliminare i microrganismi occorre raggiungere temperature di almeno 75 °C, in modo tale da assicurare l’effetto denaturante anche sotto gli strati superficiali dell’alimento, dove i microrganismi potrebbero sfuggire all’azione battericida del calore.

L’arte della cottura richiede che si sappia trovare il giusto compromesso tra disinfezione del cibo e conservazione dei nutrienti utili per il nostro organismo. Per soddisfare queste condizioni, il cuoco deve saper controllare la durata (tempo) dell’esposizione al calore e la sua intensità (temperatura), evitando trattamenti impropri che possono produrre sostanze tossiche, come la combustione diretta con conseguente carbonizzazione di alcune parti del cibo.

La pastorizzazione

La tecnica della pastorizzazione prende il nome dallo scienziato francese Louis Pasteur, che nella seconda metà del XIX secolo riuscì a contrastare la propagazione di alcune malattie diffondendo l’abitudine di trattare con il calore determinati alimenti crudi, come il latte, prima della loro ingestione.

La pastorizzazione consiste nel portare gli alimenti a temperature poco superiori ai 60 °C. Essa è utilizzata solo per alcuni alimenti liquidi (latte, birra, succhi di frutta, uova sgusciate). Questa tecnica ha il pregio di essere facilmente applicabile anche in ambito domestico e di modificare in misura minima le qualità sensoriali degli alimenti. Tuttavia, essa non elimina spore, tossine termostabili e batteri termoresistenti. Per questa ragione la pastorizzazione è spesso abbinata ad altre tecniche di conservazione. Attualmente si distinguono due principali metodi di pastorizzazione:

  • con la pastorizzazione bassa l’alimento viene esposto a una temperatura di 60-65 °C per 25-30 minuti (questa tecnica è utilizzata per birra, succhi di frutta e latte destinato alla produzione di formaggi);
  • con la pastorizzazione alta l’alimento viene esposto a una temperatura di 75-85 °C per 15-20 secondi (questa tecnica è usata per latte fresco e uova sgusciate).

Per il latte, a livello industriale, si applica una pastorizzazione particolare denominata HTST (High Temperature Short Time, ossia “alta temperatura per breve tempo”), la quale prevede che l’alimento scorra attraverso piastre molto ravvicinate e calde.

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La sterilizzazione

La sterilizzazione prevede il ricorso a temperature più elevate, tali da assicurare l’eliminazione anche delle forme biologiche resistenti al calore (come la tossina botulinica, che si denatura a 80 °C). Rispetto alla pastorizzazione, la sterilizzazione garantisce una maggiore ▶ conservabilità (o shelf-life) dell’alimento, a spese tuttavia di una maggiore perdita di sostanze nutritive. Gli alimenti sottoposti a sterilizzazione vengono poi confezionati in recipienti anch’essi sterili.

Si distinguono due principali tipologie di sterilizzazione, quella generica e quella detta UHT.

  • La sterilizzazione generica (o classica) è una tecnica durante la quale l’alimento raggiunge una temperatura di 120 °C per 8 minuti. Viene utilizzata, per esempio, per sughi e minestre.
  • La sterilizzazione UHT (Ultra High Temperature), o uperizzazione, è una tecnica specifica per ottenere latte a lunga conservazione. Nel latte viene iniettato vapore acqueo a 140-150 °C per 3 secondi. Questa tecnica consente di conservare il latte a temperatura ambiente per circa 3 mesi.

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Altre tecniche di conservazione che usano il calore
Oltre alla pastorizzazione e alla sterilizzazione esistono altre tecniche che sfruttano il calore per aumentare la shelf-life dell’alimento.

  • La tindalizzazione prevede che l’alimento venga sottoposto alternativamente ad alte temperature per poi essere raffreddato; ciò consente la germinazione delle spore e la loro successiva eliminazione.
  • L’appertizzazione è utilizzata soprattutto per i cibi conservati in scatola e prevede che gli alimenti siano sterilizzati assieme al loro contenitore in grandi autoclavi (recipienti che riescono a garantire temperature molto elevate lavorando sotto pressione).

  Impiego del freddo

Ricorrere al freddo per conservare il cibo è un metodo antico e molto efficace: basti pensare che fra i ghiacci della Siberia sono stati rinvenuti mammut risalenti a oltre 4000 anni fa in perfetto stato di conservazione.

Nell’Italia settentrionale si trovano ancora ghiacciaie antiche di secoli, costituite da ampi pozzi scavati nel terreno. Il frigorifero si è diffuso a livello domestico solo a partire dalla metà del Novecento. L’industria del surgelato risale invece agli anni Trenta del secolo scorso.

Queste tecnologie innovative, applicate anche al commercio e ai mezzi di trasporto (camion, navi, treni), in seguito avrebbero permesso non solo di preservare gli alimenti fuori stagione, ma anche di smerciarli a migliaia di chilometri di distanza, dando un notevole impulso alla globalizzazione del commercio del cibo.

Costi e vantaggi dell’impiego del freddo

Le tecniche di conservazione degli alimenti basate sull’utilizzo del freddo sono essenzialmente tre: la refrigerazione, il congelamento e la surgelazione. Tutte presentano una caratteristica che non può essere trascurata: il freddo ha un costo elevato.

Ciò che più grava sui costi (e sulla sostenibilità) della conservazione mediante basse temperature è la necessità di mantenere la ▶ catena del freddo fino alla vendita del prodotto. Infatti gli alimenti congelati e confezionati devono mantenere una bassa temperatura fino al momento dell’impiego. Ciò richiede sistemi di trasporto e stoccaggio specifici (celle frigorifere, camion, navi e treni frigoriferi, banchi frigo) associati a costanti controlli termici, e comporta un significativo consumo di energia.

D’altro canto, l’utilizzo del freddo presenta l’indubbio vantaggio di inibire lo sviluppo dei microrganismi senza intaccare le proprietà nutritive.

A differenza di quelle alte, le basse temperature non hanno un effetto battericida, bensì batteriostatico, cioè non uccidono i batteri ma ne inibiscono l’attività e la moltiplicazione. In particolare, tra i +5 e i –20 °C le attività biologiche dei microrganismi rallentano, poiché diminuisce la velocità delle reazioni enzimatiche. Sotto i –20 °C, invece, la maggior parte dei microrganismi è del tutto immobile ed essi entrano in una sorta di ibernazione definita batteriostasi. Non appena la temperatura ricomincia a salire, i batteri riprendono gradualmente le loro normali attività (movimento, nutrizione, moltiplicazione).

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La refrigerazione

Nei frigoriferi, insieme agli alimenti che si preferisce consumare freschi, sono conservati anche quelli a breve scadenza. Le temperature oscillano di norma intorno ai 4 °C (nei frigoriferi classici gli scomparti inferiori sono di solito leggermente più freddi), il che permette di ottenere un rallentamento dello sviluppo microbico e dei processi di alterazione, senza congelamento dell’acqua nel cibo (nemmeno quando la temperatura è di 0 °C). Tramite la refrigerazione si allunga mediamente di tre volte la naturale scadenza dei cibi rispetto a quella che si avrebbe a temperatura ambiente.

I frigoriferi moderni sono forniti di una tecnologia che consente di mantenere un tasso di umidità costante (per evitare che gli alimenti si secchino o si inumidiscano troppo) e sistemi di ricircolo dell’aria (per evitare il ristagno degli odori).

È sconsigliabile porre nel frigorifero vivande appena cucinate, o comunque ancora calde, in quanto si verificherebbe un innalzamento della temperatura nel frigorifero che andrebbe a interrompere (anche se solo momentaneamente) la catena del freddo.

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Il congelamento

Il congelamento si ottiene lasciando che l’alimento raggiunga in ogni suo punto una temperatura di almeno –12 °C, riponendolo in un freezer (anche domestico). In tali condizioni, ogni attività microbica ed enzimatica viene interrotta a causa della solidificazione dell’acqua presente nell’alimento. Ciò comporta che l’acqua contenuta nelle cellule si trasformi lentamente in cristalli di ghiaccio, rompendo così la membrana cellulare. Quando l’alimento verrà scongelato libererà i liquidi interni con le sostanze nutritive in essi disciolte, e ciò comporterà una notevole perdita dal punto di vista nutritivo.

La surgelazione

La surgelazione è un metodo di conservazione industriale che risolve i problemi del congelamento. L’alimento viene infatti congelato in modo ultrarapido (in meno di 4 ore) per raggiungere almeno i –18 °C in ogni suo punto.

A questo scopo si utilizzano degli abbattitori: questi strumenti risultano indispensabili, se non obbligatori, per esempio per la conservazione del pesce fresco destinato al sushi, ma vengono usati anche per abbassare rapidamente la temperatura dei piatti pronti prima di riporli in frigorifero.

Con la surgelazione, all’interno dell’alimento si formano solo microcristalli, cioè cristalli di ghiaccio di piccolissime dimensioni, che non possono perforare le membrane cellulari. Il cibo surgelato è dunque al tempo stesso igienicamente stabile e nutrizionalmente perfetto.

  Scongelare e ricongelare

In base alle osservazioni fatte, è facile capire perché è bene non ricongelare mai un alimento scongelato.

Da una parte, infatti, lo scongelamento comporta una perdita delle sostanze nutritive, dall’altra favorisce la proliferazione dei batteri presenti nell’alimento che, una volta tornati a temperatura ambiente, riprendono a moltiplicarsi.

Vari cicli di congelamento-scongelamento non possono che rendere un alimento sempre più povero di nutrienti e sempre più contaminato.

  Sottrazione d’acqua

In genere, più un alimento contiene acqua, più costituisce un terreno favorevole per lo sviluppo di microrganismi e dunque è soggetto a rapido deperimento; per questa ragione gli alimenti secchi, come i biscotti, se custoditi al riparo dall’umidità, si conservano molto a lungo. Ai fini della conservazione alimentare, è bene ricordare che i microrganismi non possono sfruttare per il loro sviluppo la frazione legata dell’acqua, cioè l’insieme delle molecole di H2O che avvolgono le sostanze nutritive. Solo la frazione non legata dell’acqua, o acqua libera, è utilizzabile dai microrganismi: e proprio su questa frazione agiscono i più tradizionali fra i metodi di conservazione basati sulla sottrazione di acqua.

Esistono diverse tecniche industriali per privare gli alimenti di acqua: le principali sono la concentrazione, l’essiccamento e la liofilizzazione. Tutte assicurano una perdita contenuta dei nutrienti. Possono avere costi assai elevati, ma garantiscono anche buoni profitti, in quanto riducono peso e volume dei prodotti favorendone la commerciabilità e conferiscono loro una shelf-life molto lunga a temperatura ambiente.

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La concentrazione

Con la tecnica della concentrazione si producono latte e pomodoro in tubetti, estratti di carne e soprattutto succhi di frutta. Essa può essere attuata a caldo o a freddo.

Nella concentrazione a caldo gran parte dell’acqua viene fatta evaporare portando il prodotto alla temperatura di 40 o 50 °C e riducendo contemporaneamente la pressione. Per quest’ultima caratteristica, la tecnica viene definita anche concentrazione sottovuoto.

La concentrazione a freddo (o crioconcentrazione), più costosa di quella a caldo, viene usata per gli alimenti liquidi, in particolare i succhi di frutta. Si congela lentamente la bevanda e si rimuovono i cristalli di ghiaccio via via che si formano. In questo modo si mantengono inalterate le vitamine e gli altri nutrienti termolabili.

L’essiccamento

L’essiccamento, tecnica di origini antiche, prevede di esporre gli alimenti all’azione dell’aria e del sole intenso. In questo modo si riesce a estrarre una grande quantità d’acqua e a trasformare, per esempio, un intero merluzzo in stoccafisso.

Oggi l’essiccamento con metodi naturali è molto raro, mentre è molto più frequente l’impiego di appositi macchinari, definiti essiccatori.

Con questo metodo si tosta il caffè, si produce frutta secca, si fanno fioccare i cereali (nascono così i corn flakes) e si concentrano le spezie. Pur essendo un ottimo metodo di conservazione, però, l’essiccamento comporta la perdita delle vitamine A e C contenute negli alimenti, che sono particolarmente termosensibili.

La liofilizzazione

La liofilizzazione nel principio somiglia alla concentrazione a freddo, ma è più drastica e costosa. Si basa sulla sublimazione dell’acqua contenuta negli alimenti.

L’alimento viene in una prima fase surgelato in modo ultrarapido a –30/–40 °C. Poi è riportato lentamente a 30 °C sottovuoto spinto, fino a raggiungere il punto in cui l’acqua sublima (cioè si trasforma da ghiaccio in vapore acqueo senza passare per la fase liquida). Infine la pressione viene gradualmente riportata alla normalità.

La liofilizzazione rimuove anche la frazione legata dell’acqua, e gli alimenti si trasformano in una crosta poi ridotta in polvere. In questo modo si ottengono prodotti molto leggeri e poco ingombranti, che non hanno subito grosse perdite nutrizionali e garantiscono una lunghissima shelf-life.

Sapere di alimentazione
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Corso di Scienza degli alimenti per il primo biennio