Cibo e marchio biologico

  Cibo e marchio biologico

“Biologico” significa letteralmente “che si riferisce all’ambito degli esseri viventi”: fatta eccezione per il sale e l’acqua, quasi tutti gli alimenti sono di natura biologica. E, sotto certi aspetti, sono tali persino molti prodotti non alimentari come il petrolio e i suoi derivati.

Tuttavia, in ambito commerciale, sia pure in modo improprio, si definisce “biologico” il cibo che è ottenuto con pratiche di coltivazione e allevamento che utilizzano esclusivamente sostanze di origine naturale (quindi non di sintesi), privilegiando sistemi tradizionali volti a minimizzare l’impatto ambientale e l’inquinamento.

Quando si parla di metodi di produzione biologica si intende principalmente un insieme di accorgimenti produttivi che vogliono contrapporsi alle produzioni intensive, ossia volte a massimizzare la resa nel tempo.

È inevitabile, almeno attualmente, che i prodotti biologici risultino più costosi di quelli ottenuti con metodi di produzione classica; ciò è dovuto ai maggiori costi di produzione e, soprattutto, alla minore resa che caratterizza le coltivazioni e gli allevamenti biologici rispetto a quelli tradizionali.

La produzione di alimenti biologici

Dal punto di vista produttivo, colture e allevamenti biologici si basano su alcune linee guida di carattere generale:

  • rotazione delle colture per limitare l’impoverimento dei terreni;
  • divieto dell’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti sintetici in agricoltura (sono invece permessi quelli di origine naturale), di antibiotici nell’allevamento degli animali, di additivi e coadiuvanti artificiali negli alimenti;
  • divieto dell’uso di organismi geneticamente modificati (OGM);
  • uso efficace delle risorse del luogo (per esempio, utilizzo del letame proveniente dalle stalle per fertilizzare i campi e le coltivazioni dei foraggi destinati al bestiame della stessa azienda agricola);
  • scelta di piante e animali endemici (cioè tipici del territorio), generalmente più resistenti alle malattie e adatti alle condizioni locali;
  • allevamento di animali a stabulazione libera, all’aperto, e nutriti con foraggio biolo­gico;
  • pratiche di allevamento che tengano conto del benessere delle differenti specie di bestiame.

Il marchio “bio”

I consumatori possono riconoscere i prodotti biologici grazie alla presenza di uno specifico marchio sulle etichette: la cosiddetta eurofoglia stampigliata su fondo verde. Per certificare come biologici i propri prodotti e ricevere il relativo marchio da apporre sulle etichette, un’azienda deve rispettare le regole previste dai Regolamenti CE n. 834/2007 e n. 889/2008 e sottoporsi a verifiche periodiche da parte di un organismo di controllo che sia stato autorizzato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MIPAAF). Il nome dell’organismo di controllo deve comparire sull’etichetta.

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  Imballaggi e simboli

Creare un imballaggio adeguato per un alimento non è solo questione di ▶ design ma anche di sicurezza. L’imballaggio, infatti, per quanto destinato alla conservazione di un prodotto, può in alcuni casi esporre il cibo a forme di contaminazione, imponendo al consumatore l’adozione di particolari precauzioni (vedi Unità 2, La contaminazione degli alimenti, p. 43).

Inoltre, in un’epoca in cui i consumatori sono sempre più sensibili alla salvaguardia del­l’ambiente, cresce l’esigenza di impiegare materiali che siano il più possibile riciclabili.

  Le tipologie di imballaggio

Il Regolamento CE n. 1935/2004 ha stabilito per tutti i Paesi membri dell’Unione Europea alcune linee guida che devono essere rispettate al fine di ridurre al minimo i rischi sia per la salute umana sia per l’ambiente.

Si definisce imballaggio alimentare un prodotto di qualsiasi materiale che ha lo scopo di contenere, conservare e proteggere un alimento in modo da consentirne la manipolazione e il trasporto.

Di norma gli imballaggi si distinguono in primari, secondari e terziari:

  • gli imballaggi primari sono concepiti per l’utente finale e per la vendita al dettaglio;
  • gli imballaggi secondari racchiudono uno o più imballaggi primari; contengono spesso unità con lo stesso numero di lotto e il loro scopo è facilitare il rifornimento degli scaffali;
  • gli imballaggi terziari sono studiati specificamente per trasportare più imballaggi secondari in modo protetto e sicuro, facilitandone la movimentazione e la manipolazione attraverso la filiera (da questa categoria sono esclusi i container).

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I requisiti del packaging

Packaging è un termine inglese con cui si indica l’ideazione e la fabbricazione di un imballaggio. Il packaging deve rispondere per legge a tre importanti requisiti:

  • limitare il più possibile il volume e il peso dell’imballaggio;
  • evitare il più possibile l’impiego di sostanze e materiali nocivi nella composizione dell’imballaggio;
  • favorire il riutilizzo o quantomeno il recupero e il riciclo degli imballaggi.

La recuperabilità

Un imballaggio si dice “recuperabile” quando è riciclabile o combustibile o biodegradabile.

Per essere definito riciclabile, deve risultare almeno parzialmente riutilizzabile, per esempio per creare nuovi imballaggi: la percentuale riutilizzabile, calcolata in peso, è variabile a seconda del materiale di cui è composto.

È invece combustibile quell’imballaggio che può essere bruciato negli impianti di ter­movalorizzazione come rifiuto, o più precisamente sotto forma di CDR/RDF (Com­bu­sti­bile Derivato dai Rifiuti, in inglese Refuse Derived Fuel).

Infine, un imballaggio risulta biodegradabile se può subire una decomposizione fisica, chimica, termica o biologica grazie alla quale la maggior parte del compost risultante finisca per decomporsi in CO2, ▶ biomassa e acqua.

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  I simboli

Sulle confezioni alimentari destinate alla vendita si possono riconoscere molti simboli, definiti anche pittogrammi, che forniscono al consumatore utili informazioni circa la natura dell’imballaggio e la sua recuperabilità. Occorre però saperli interpretare correttamente.

Il simbolo della “e metrologica”, detto anche “simbolo di stima”, viene stampato a fianco dell’indicazione del peso o del volume (per esempio: 200 g e, 200 ml e) per indicare che il macchinario che racchiude o inserisce l’alimento nella sua confezione di vendita è stato sottoposto a controllo metrologico e pertanto le quantità dovrebbero mantenersi costanti da un imballaggio all’altro.

Il simbolo “per alimenti”, costituito da un bicchiere e una forchetta stilizzati, indica che il contenitore in oggetto non è un generico involucro, ma è stato progettato appositamente per entrare in contatto con gli alimenti.

Questo simbolo invita il consumatore a non disperdere il contenitore nel­l’ambiente, e dunque a smaltirlo correttamente.

Questo simbolo invita a comprimere la confezione dopo l’uso, in modo da occupare meno spazio nel contenitore per la raccolta dei rifiuti.

Il simbolo “punto verde” è utilizzato nel Nord Europa per certificare il recupero e lo smaltimento degli imballaggi da parte di aziende individuate dal produttore (tuttavia, ciò non significa che l’imballaggio sia riciclabile).

In Italia questo simbolo normalmente non compare perché le aziende sono già tenute per legge ad aderire al CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi), che ritira e poi smaltisce o ricicla tutti gli imballaggi – in acciaio, alluminio, carta, legno, plastica, vetro – prodotti sul territorio nazionale.

Quando il simbolo compare su un prodotto italiano, significa che tale prodotto è venduto anche in 

altri Paesi.

I simboli che riportano lettere incorniciate da un esagono o da un cerchio servono a identificare il materiale che compone l’imballaggio. In questo modo, per il consumatore è più semplice effettuare correttamente la raccolta differenziata dei rifiuti.

Il simbolo con tre frecce spesse che si rincorrono, detto ciclo di Moebius, può indicare che la confezione del prodotto è riciclabile o anche che è composta da materiale proveniente da riciclo; in questo secondo caso la percentuale di materiale riciclato deve essere indicata al centro del simbolo, fra parentesi.

I simboli costituiti da tre frecce nere e sottili che si rincorrono rappresentano una variante specifica del ciclo di Moebius che si riferisce esclusivamente ai materiali plastici. All’interno riportano un numero che può variare da 1 a 7; le plastiche da 1 a 6 sono riciclabili, mentre le plastiche di tipo 7 non lo sono.

I simboli “compostabile” e “biodegradabile” sono presenti su confezioni che si decompongono in tempi molto ridotti rispetto a quelli richiesti in media dalle plastiche. Un imballaggio è considerato idoneo per il compostaggio se si disintegra completamente in meno di 3 mesi, come stabilito dalla Direttiva europea EN 13432. Sono invece definiti biodegradabili i materiali che si decompongono al 90% entro 6 mesi; a livello comunitario non esistono finora certificazioni univoche al riguardo.

Il simbolo “ecolabel” viene assegnato ad aziende particolarmente attente a limitare l’impatto ambientale in tutte le fasi di produzione dei loro prodotti.

Per ottenerlo occorre superare una serie di controlli approfonditi, i quali certificano che l’azienda ha investito impegno e risorse per creare un sistema di produzione rispettoso dell’ambiente.

Tra i vari aspetti considerati vi sono le emissioni di CO2, gli effetti sull’ozono, i rischi di ▶ eutrofizzazione e acidificazione, la tossicità per l’uomo e per l’ambiente, i bilanci nel consumo di materie prime e di energia.

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  I materiali

Gli imballaggi utilizzati in ambito alimentare sono composti da materiali diversi: carta, metalli, alcune plastiche. Ogni materiale ha pregi e difetti peculiari, che lo rendono più o meno adatto a contenere un determinato cibo.

Carta e cartone

I contenitori alimentari di carta o cartone – o comunque a base di cellulosa – sono indubbiamente tra i più pratici e diffusi. Trattandosi di un materiale molto permeabile, la carta è in grado di assorbire ma anche di lasciar filtrare sostanze di vario genere, a partire dagli inchiostri utilizzati per scritte e decori, tanto che la legge impone l’uso di inchiostri specifici, limitandone l’impiego alle sole facce esterne dell’imballaggio, quelle non a contatto con l’alimento.

Il problema della permeabilità della carta viene risolto in modi diversi a seconda dello scopo cui è destinata. Per esempio, per confezionare prodotti da banco (affettati, carni, pesci, formaggi, dolci) si usa carta paraffinata, oleosa o cerata. Il rivestimento impermea­bile attualmente più diffuso è la stearina, una sostanza completamente biodegradabile ottenuta dall’olio di palma.

Per confezionare prodotti liquidi come latte, panna, succhi o sughi si usa invece la carta pluristratificata (Tetra Pak, Tetra Brik), valida alternativa al vetro. Si tratta di carta rivestita da uno strato di polietilene, a volte rinforzata da un ulteriore strato di alluminio.

Sia la carta sia il Tetra Pak possono essere riciclati (per un numero limitato di volte) grazie alla raccolta differenziata.

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Vetro

Il vetro è un solido amorfo (vale a dire una sostanza liquida che, solidificatasi in tempi brevi, non ha costituito un reticolo cristallino).

Normalmente il vetro è costituito da ossido di silicio; ha la caratteristica di essere chimicamente inerte, ossia di non reagire a contatto con altre sostanze chimiche, e per questo si presta molto bene a essere usato come contenitore alimentare. Tuttavia la sua trasparenza può rappresentare un limite per gli alimenti che si alterano quando vengono esposti alla luce solare (definiti fotodegradabili). Per ovviare a questo problema si possono aggiungere sali metallici ai silicati di base, ottenendo vetri variamente colorati e opachi che meglio si addicono alla conservazione, per esempio, del vino in bottiglia.

 Il vetro pyrex

Nelle cucine si usano spesso utensili in vetro (pirofile, bollitori e ciotole) in grado di resistere alle alte (e alle basse) temperature senza deformarsi e senza rompersi.

Il materiale da cui sono costituiti viene frequentemente denominato “vetro pyrex”, anche se il nome corretto è “vetro borosilicato”, poiché è ottenuto sostituendo una parte degli ossidi alcalini del vetro con l’ossido di boro. Avendo una composizione diversa, questo materiale, a differenza del vetro comune, non può essere riciclato con il normale sistema di raccolta differenziata dei rifiuti.

Metalli

Fra i metalli, l’acciaio e l’alluminio sono quelli più comunemente impiegati per contenere gli alimenti.

L’acciaio presenterebbe una seria criticità, in quanto può arrugginire (o meglio ossidarsi) e anche corrodersi a contatto con diverse sostanze normalmente presenti negli alimenti (acqua, acidi, basi). Questo problema viene però risolto con l’impiego della banda stagnata: un foglio di acciaio rivestito su entrambi i lati da uno strato di stagno inerte, a volte ulteriormente rivestito sul lato interno con resine, per impedire cessioni di piombo dai punti di saldatura. Il risultato è la classica lattina o latta alimentare, un contenitore che isola totalmente il cibo dagli agenti esterni ed è adatto per ogni genere di alimento.

L’alluminio, rispetto all’acciaio, presenta il vantaggio di essere decisamente inerte. È quindi un ottimo materiale per le lattine a strappo, destinate a contenere bevande la cui acidità eserciterebbe una forte azione corrosiva su altri metalli.

Plastiche

Dal punto di vista chimico, le plastiche sono lunghe catene di molecole (polimeri) inorganiche ottenute dalla raffinazione del petrolio o del gas naturale. Ne esistono moltissime tipologie, con proprietà assai diverse fra loro. Ad accomunarle è la grande duttilità: si prestano cioè a essere modellate in mille modi diversi, prendendo forme che vanno dalla pellicola sottile di cellophane ai contenitori rigidi e infrangibili.

Il principale difetto della plastica è la scarsissima biodegradabilità. Anche quando viene rifusa per essere riciclata, essa libera sostanze inquinanti per l’ambiente e tossiche per la salute umana.

Per contenere i danni, ormai da tempo si utilizzano, soprattutto per buste e sacchetti, nuovi tipi di plastica, ottenuti a partire da sostanze vegetali, e in particolare dall’amido, anziché dal petrolio. Si tratta di plastiche completamente compostabili, che gradualmente stanno superando i propri difetti, divenendo sempre più competitive sul mercato.

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  Il futuro della plastica

Nell’era dell’“usa e getta”, la non biodegradabilità dei beni rappresenta un problema impellente per la sostenibilità ambientale. I nuovi materiali bioplastici costituiscono una risposta concreta. Attualmente si stanno moltiplicando i brevetti (molti dei quali sono italiani, come il Mater-Bi e il Minerv) per creare plastiche a base di sostanze organiche come la cellulosa, gli oli vegetali, gli amidi e le melasse zuccherine. Questi nuovi materiali, oltre a essere completamente biodegradabili, hanno proprietà sempre più simili a quelle delle plastiche tradizionali. Dovremo presto familiarizzare con nuove sigle come PHA, PHB, PHV, PHH: tutti innovativi polimeri a base organica.

Pregi e difetti dei materiali da imballaggio

PREGI

DIFETTI

Carta

e cartone

  • economicità
  • resistenza (cartone)
  • leggerezza
  • riciclabilità
  • biodegradabilità
  • infiammabilità
  • poca resistenza (carta)
  • permeabilità a gas
  • permeabilità a liquidi
  • ingiallimento

Vetro

  • impermeabilità
  • trasparenza/opacità
  • inerzia chimica ottima (resistenza ad acidi e basi)
  • salubrità (sterilizzabile)
  • riutilizzabilità (lavabile)
  • riciclabilità
  • costi medi
  • trasparenza (in caso di contenuto fotodegradabile)
  • frangibilità
  • pesantezza

Metalli

  • infrangibilità/duttilità
  • leggerezza
  • resistenza
  • impermeabilità
  • salubrità (sterilizzabile)
  • riciclabilità
  • ossidabilità e corrodibilità (salvo l’alluminio)
  • costi medi (alti per l’alluminio)

Plastiche

  • economicità
  • alta duttilità (cioè modellabilità)
  • leggerezza
  • impermeabilità ai liquidi
  • buona inerzia chimica
  • riutilizzabilità (lavabile)
  • riciclabilità
  • fusione a temperature medie
  • parziale permeabilità ai gas
  • resistenza limitata ad alcuni solventi organici
  • resistenza limitata agli agenti atmosferici
  • non biodegradabilità

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Sapere di alimentazione
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Corso di Scienza degli alimenti per il primo biennio