LE ETICHETTE E LA LEGGE

  Le etichette e la legge

Lo studio delle etichette rientra nel contesto di una disciplina, la merceologia, che studia le merci sotto tutti i loro aspetti di produzione e commercio, con l’intento di caratterizzarle al meglio anche per difenderle dalle frodi. Per “merce” si intende qualunque bene economico mobile destinato alla vendita. Alimenti e bevande rappresentano ovviamente un tipo di merce molto particolare, soggetto a specifiche normative di settore.

  Che cosa sono le etichette alimentari

Quando si acquista un prodotto alimentare, di rado è possibile esaminarlo direttamente, poiché l’imballaggio lo nasconde alla vista. Ma proprio la confezione rappresenta lo spazio in cui il consumatore può trovare informazioni importanti; su di essa, infatti, sono presenti:

  • diciture di ▶ marketing, che sono ben visibili e fanno parte dell’estetica del prodotto, esaltandone i punti di forza per spingere il consumatore all’acquisto;
  • diciture obbligatorie, meno visibili e ammiccanti, che rappresentano una tutela nei confronti del consumatore e una guida all’acquisto ponderato.

  Diciture particolari

Fino a qualche tempo fa, le diciture come “puro” “extra” o “alta qualità” venivano apposte arbitrariamente dal produttore.

La legge attualmente in vigore, in­ve­ce, pre­vede che questi termini ven­ga­no utilizzati soltanto se il pro­­dot­to ha effettivamente ca­rat­te­ristiche particolari, che ven­go­no controllate dalla Came­ra di Commercio.

La normativa europea

Attualmente a livello comunitario le normative relative all’etichettatura sono raccolte nel Regolamento CE n. 1169/2011. L’Italia si è adeguata provvedendo ad aggiornare nel merito il suo Decreto legislativo n. 109 del 27 gennaio 1992.

In sintesi, la legge stabilisce che l’etichetta deve assicurare al consumatore un’informazione comprensibile, corretta, pertinente e trasparente, tale da non indurlo in errore; in particolare, non deve assolutamente attribuire al prodotto proprietà curative né accennare a proprietà che esso non possiede.

  L’etichettatura dei prodotti preconfezionati

Le etichette dei prodotti preconfezionati devono riportare per legge le seguenti indicazioni obbligatorie:


1. denominazione di vendita;
2. nome aziendale (o marchio);
3. responsabilità legale;
4. elenco degli ingredienti;
5. quantità;
6. scadenza;
7. numero di lotto (o partita);
8. origine o provenienza (ove previsto);
9. modalità di conservazione;
10. istruzioni per l’uso (ove previsto);
11. titolo alcolometrico (per le bevande alcoliche);
12. tabella nutrizionale.

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La denominazione di vendita

Sull’etichetta dev’essere riportata una parola o frase descrittiva, chiamata denominazione di vendita, che informi in modo inequivocabile riguardo al contenuto effettivo della confezione e che non dev’essere confusa con la marca. Deve essere indicato possibilmente anche lo stato fisico del prodotto (in polvere, in grani, concentrato, affumicato, liofilizzato, surgelato eccetera). La denominazione di vendita si colloca generalmente sotto il marchio o come introduzione all’elenco degli ingredienti. Può essere accompagnata, ma non sostituita, dal nome commerciale del prodotto: cioè un termine o un’espressione di fantasia con cui il prodotto alimentare viene riconosciuto sul mercato.

Il nome aziendale (o marchio)

Identificato anche come ragione o denominazione sociale, il nome aziendale è il nome, completato dall’estensione S.p.A., S.r.l. o S.n.c., con il quale l’azienda di produzione risulta iscritta al Registro delle imprese della Camera di Commercio.

Sulle confezioni il nome aziendale spesso si presenta come marchio (in inglese trademark o ™), ossia in una forma grafica brevettata con cui si distingue dalla concorrenza.

Il marchio può essere costituito da:

  • un elemento grafico (per esempio una forma geometrica, un’immagine stilizzata);
  • un logo (abbreviazione di logotipo), costituito dalla veste grafica che un’azienda dà al proprio nome;
  • entrambi gli elementi appena citati.

Spesso il marchio è seguito dal simbolo ®, che ne attesta la registrazione presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi. Rappresenta dunque una sorta di firma o di impronta digitale sull’etichetta: è unico e irripetibile.

Molte grandi aziende oltre ad avere un marchio principale hanno acquisito oppure hanno creato una moltitudine di sottomarche non meno prestigiose: la multinazionale svizzera Nestlé, per esempio, è proprietaria di altri grandi marchi, come Nespresso, Nestea, SanPellegrino, Nesquik, Gelati Motta, Buitoni.

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La responsabilità legale

L’indicazione dello stabilimento di produzione (un tempo obbligatoria) è oggi su base volontaria; fanno eccezione carni e latticini, che devono ancora riportare il codice sanitario, cioè un numero che consente di identificarne la provenienza.

Sull’etichetta deve comunque comparire la ragione sociale con l’indirizzo di un responsabile legale, ovvero di uno stabilimento della filiera a cui fare riferimento per la responsabilità delle informazioni riportate in etichetta (esso può corrispondere all’indirizzo del produttore, dell’importatore, del distributore e così via).


Dicitura introduttiva

Ruolo svolto nella filiera

“Prodotto da…”

stabilimento di produzione

“Confezionato da…”

stabilimento di confezionamento

“Prodotto per…”,

“Prodotto e confezionato per…”

sede di vendita


L’elenco degli ingredienti

L’elenco degli ingredienti comprende tutte le sostanze usate nella preparazione del prodotto, ancora presenti nel prodotto finito. Deve essere sempre stilato in ordine di peso decrescente, ossia dall’ingrediente presente in quantità maggiore a quello presente in quantità minore.

Gli ingredienti composti, ossia formati a loro volta da più ingredienti (per esempio la crema pasticcera presente in un dolce), devono essere seguiti da “sottoelenchi” contenenti la loro composizione fra parentesi.

Quando un ingrediente viene messo in evidenza nella denominazione di vendita (per esempio “torta alle nocciole”) o nell’immagine di presentazione, esso viene definito ingrediente caratterizzante; la quantità dell’ingrediente caratterizzante deve essere esplicitata nell’elenco degli ingredienti, esprimendola in valore percentuale sul peso dell’alimento (per esempio, nella crema spalmabile alla nocciola: “nocciole 30%”). Questa particolare indicazione è definita QUID, acronimo di Quantitative Ingredient Declaration.

Gli ingredienti provenienti da organismi geneticamente modificati (OGM) sono riportati se la loro presenza supera lo 0,9% in peso, di fatto a titolo meramente informativo, dato che non sono considerati pericolosi dalla legge italiana.

L’acqua aggiunta va menzionata solo se resta presente nel prodotto finito in quantità superiore al 5%.

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Aromi, additivi e allergeni
Nell’elenco degli ingredienti principali devono essere citati anche gli eventuali aromi, additivi e allergeni.

  • Gli aromi possono essere estratti da sostanze presenti in natura (aromi naturali) oppure si possono ricavare in laboratorio, pur avendo la stessa composizione chimica di quelli naturali (aromi natural-identici) o avendo una composizione chimica diversa (aromi sintetici).
  • Gli additivi sono sostanze aggiunte appositamente per migliorare alcune caratteristiche del prodotto, come conservabilità, sapore, aspetto, consistenza. Quelli consentiti dall’Unione Europea per l’industria alimentare sono molecole di comprovata innocui­tà, identificati da un numero preceduto dalla lettera E. Occorre indicarne il nome di categoria seguito dal nome specifico o dal relativo numero (per esempio: “conservante: acido lattico”, oppure “conservante: E270”).
  • Gli allergeni sono sostanze che in alcuni individui possono scatenare reazioni allergiche, anche quando sono presenti in quantità minime (vedi Unità 11, Alimentazione e salute, p. 321). Quando sono presenti negli alimenti, tali sostanze devono essere segnalate in etichetta con caratteri e colori particolarmente evidenti. Talvolta, pur non facendo parte degli ingredienti, possono comunque essere presenti in tracce, per esempio qualora l’allergene sia utilizzato nello stesso stabilimento per altri prodotti; in questo caso la dicitura usata è: “può contenere tracce di…”.

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Classificazione degli additivi

da E100 a E199

coloranti

da E200 a E299

conservanti antimicrobici

da E300 a E399

antiossidanti, regolatori di acidità

da E400 a E499

addensanti, gelificanti, stabilizzanti, emulsionanti

da E500 a E599

antiagglomeranti, regolatori di acidità

da E600 a E699

esaltatori di sapidità

da E900 a E999

vari (dolcificanti, schiumogeni, lucidanti, gas da confezionamento)

oltre E1000

additivi che non rientrano nelle categorie precedenti

ALTRE DICITURE OBBLIGATORIE

La quantità
Affinché il consumatore non venga tratto in inganno dalle dimensioni dell’imballaggio, la legge impone di indicare la quantità netta dell’alimento: tale valore, quindi, non deve mai includere il peso dell’imballaggio (tara). La quantità deve essere espressa in unità internazionali di massa per gli alimenti (kg, g, mg) e di capacità (l, cl, ml) per le bevande.

Se l’alimento è immerso in una fase liquida (come la mozzarella, il tonno in olio d’oliva, le olive in salamoia), vicino al peso netto deve essere indicato anche il peso sgocciolato.

Inoltre, quando le confezioni di vendita al dettaglio sono costituite, per esigenze di conservazione, da un insieme di sotto-imballaggi, è necessario indicarne la quantità nominale con diciture del tipo “contiene 4 vasetti”, “contiene 16 bustine” e così via.

La scadenza

La data di scadenza può essere determinata in vari modi:

  • attraverso analisi di laboratorio;
  • per confronto con prodotti simili;
  • consultando apposite guide tecniche.

La “data di scadenza” e il “termine minimo di conservazione” sono indicazioni che ap­paio­no simili ma vengono utilizzate in circostanze ben diverse.

  • La data di scadenza – espressa con la formula “da consumarsi entro il (giorno/mese/anno)” – è usata per gli alimenti ▶ deperibili, come i latticini e tutti quei prodotti che devono essere conservati nei banchi frigo a 4 °C, e non è mai superiore ai 30 giorni. Se consumati dopo la data di scadenza, questi alimenti diventano pericolosi e possono causare disturbi anche seri, dovuti all’eccessiva proliferazione di microrganismi.
  • Il termine minimo di conservazione (TMC) – espresso nella formula “da consumarsi preferibilmente entro…”, seguita dalla data – è impiegato per i prodotti in vendita a temperatura ambiente o nei banchi di surgelazione; se consumati oltre la scadenza indicata, essi non diventano immediatamente pericolosi ma si modificano le loro caratteristiche sensoriali, e la qualità originaria dell’alimento non può essere garantita.

La dicitura del TMC e il conseguente formato della data cambiano leggermente se il prodotto si altera entro 3 mesi dal momento del confezionamento, entro 18 mesi o dopo i 18 mesi. La casistica è riassunta nella seguente tabella (i termini delle date minuscoli tra parentesi non sono obbligatori, quelli maiuscoli sì).


TIPO DI SCADENZA

DICITURA

FORMATO

SCADENZA

Data di scadenza

“Da consumarsi entro il…

G/M/A

entro 30 giorni dalla produzione

Termine minimo di conservazione

“Da consumarsi preferibilmente entro il…

G/M/(a)

entro 3 mesi dalla produzione

“Da consumarsi preferibilmente entro fine…

(g)/M/A

fra i 3 e i 18 mesi dalla produzione

“Da consumarsi preferibilmente entro la fine del…

(g)/(m)/A

oltre i 18 mesi dalla produzione


Non è obbligatorio indicare né la data di scadenza né il termine minimo di conservazio­ne per i seguenti prodotti:

  • panetteria venduta sfusa, in quanto il pane fresco va ritirato dal commercio dopo 24 ore;
  • bevande alcoliche con volume di alcol sopra il 10%, poiché a tale concentrazione l’alcol agisce come conservante naturale;
  • aceto, sale da cucina, zuccheri allo stato solido, caramelle, gomme da masticare e altri alimenti che per loro natura ostacolano la moltiplicazione batterica;
  • prodotti venduti freschi, sfusi e non confezionati come gelati, frutta, verdura, carne, pesce, latticini; in questo caso la sicurezza alimentare è controllata e garantita direttamente dal venditore.

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Il numero di lotto (o partita)
Per lotto si intende «un insieme di unità di vendita di una derrata alimentare prodotte, fabbricate o confezionate in circostanze praticamente identiche» (Decreto legislativo n. 109/1992, art. 13). I termini “lotto” e “partita” sono sinonimi.

Di solito il lotto di appartenenza viene indicato con un numero preceduto da una L, ma talvolta la stampigliatura consiste in un ▶ codice alfanumerico. In altri casi ancora sono riportate la data e l’ora corrispondenti al momento di produzione.

Il numero di lotto è una sorta di “codice fiscale” del prodotto: consente infatti di risalire all’azienda che lo ha realizzato e permette di sapere dove e quando è avvenuta la produzione. È quindi un elemento preziosissimo per la rintracciabilità degli alimenti.

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L’origine o provenienza

Di solito la zona geografica di provenienza viene indicata per quegli alimenti fortemente caratterizzati da uno specifico territorio o contraddistinti da una fattura artigianale (come la pasta di Gragnano, il salmone norvegese, le cipolle di Tropea, la crema di pistacchi di Bronte eccetera).

Ci sono poi alcuni alimenti specifici per i quali la legge impone l’indicazione di provenienza. Si tratta di oli vergini ed extravergini, passate di pomodoro, ortofrutta, miele, uova, latte, pesce, carne bovina, vino.

  L’etichettatura della carne

In seguito agli episodi epidemici che hanno caratterizzato la scena del mercato alimentare europeo negli ultimi decenni (encefalite bovina nel 2000, influenza aviaria nel 2006, influenza suina nel 2009), la carne è stata oggetto di interventi legislativi d’emergenza da parte delle autorità europee. Allo stato attuale, secondo il Regolamento CE n. 1760/2000, la carne bovina in vendita deve riportare il luogo di nascita, di allevamento, di macellazione e di sezionamento dell’animale.

Invece le carni ovinesuine e il pollame, secondo il Regolamento CE n. 1169/2011, sono soggette solo all’indicazione del luogo di allevamento e di macellazione dell’animale; la sua origine potrà apparire, su base volontaria, se la carne è ottenuta da capi allevati e macellati nello stesso Paese. Le diciture da applicare sono “allevato in…” e “macellato in…” se l’animale è stato trasferito da un Paese all’altro, oppure “origine: …” se l’animale è rimasto tutta la vita nel Paese di origine. Per la carne di cavallo e di coniglio non è stata ancora stabilita una regolamentazione.

Le modalità di conservazione
Quando si acquista un alimento confezionato è lecito ritenere che, se non diversamente indicato, esso si manterrà inalterato fino al termine minimo di conservazione semplicemente restando su uno scaffale, a temperatura ambiente ed esposto alla luce.

Quando tali condizioni possono causare un peggioramento delle caratteristiche sensoriali, il produttore è tenuto per legge a indicare sull’etichetta gli accorgimenti da adottare per conservare correttamente il prodotto: leggeremo così scritte come “una volta aperto tenere in frigo e consumare entro 24 ore”, “conservare in luogo fresco e asciutto”, “teme l’umidità”, “tenere lontano da fonti di calore e al riparo dalla luce” eccetera.

Le istruzioni per l’uso
Non tutti gli alimenti o le bevande appena estratti dalla loro confezione possono essere consumati direttamente. Alcuni, come i piatti precucinati o congelati, richiedono necessariamente una preparazione. In questi casi l’azienda produttrice è obbligata a inserire in etichetta alcune informazioni che chiariscano in che modo l’alimento debba essere trattato prima dell’ingestione (“preriscaldare in forno a 180 °C”, “stendere su una teglia unta e lasciar riposare”, “tempo di cottura: 10 minuti”, “scongelare prima dell’utilizzo”, “mettere direttamente il prodotto congelato in padella” e così via).

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Il titolo alcolometrico
Una bevanda è da ritenersi alcolica se contiene più dell’1% di alcol. Per legge, diventa obbligatorio indicarne il tenore alcolico quando l’alcol supera la soglia dell’1,2% del volume totale: l’indicazione viene espressa con la dicitura standardizzata “…% vol”.
La tabella nutrizionale
Le informazioni nutrizionali sono diciture che compaiono sulle etichette alimentari di solito in forma di tabella. Forniscono principalmente due tipi di indicazioni: il peso delle sostanze nutritive presenti nell’alimento e la quantità di energia fornita. La legge stabilisce anche le indicazioni di forma e di contenuto minime da inserire nelle dichiarazioni nutrizionali.

  • I valori nutrizionali devono riferirsi a 100 g (o 100 ml se si tratta di un alimento liquido). In aggiunta è possibile riportare i valori riferiti a singole porzioni.
  • I valori energetici devono essere espressi in chilocalorie (kcal) e in chilojoule (kJ) e devono riferirsi sia ai 100 g di riferimento sia alle eventuali porzioni.
  • Le sostanze nutritive minime da indicare (esprimendo il peso in grammi) sono, nell’ordine: grassi (intesi come lipidi totali), acidi grassi saturi (come sottocategoria dei grassi), carboidrati (intesi come glucidi totali con l’esclusione delle fibre), zuccheri (intesi come somma dei mono e disaccaridi), proteine e sale.
  • È possibile aggiungere alla tabella indicazioni facoltative, per esempio la quantità di fibre, vitamine e sali minerali o la percentuale di ciascun indicatore rispetto al fabbisogno giornaliero.

In precedenza la legge richiedeva l’indicazione dei valori nutrizionali solo nei casi in cui in etichetta comparivano affermazioni relative a qualche vantaggio nutritivo, come “light”, “senza zuccheri”, “senza colesterolo”, “fonte di proteine”, “senza sale”, mentre dal 13 dicembre 2016 è obbligatorio indicare i valori nutrizionali su tutte le etichette alimentari.

fissa il concetto

Indicazioni

unità di misura (riferite a 100 g di prodotto)

obbligatorie

energia

kcal/kJ

lipidi (e acidi grassi saturi) carboidrati (e zuccheri semplici), proteine, sale

g

facoltative

fibre, vitamine e sali minerali

g, mg, µg

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Il codice a barre

Il codice a barre è un rettangolino costituito da linee nere verticali su sfondo bianco che alternano spaziature e spessori variabili, presente in ogni etichetta, utile all’identificazione elettronica delle merci. Ne esistono vari tipi: il più comune, chiamato GTIN-13 (Global Trade Item Number), può essere letto velocemente da lettori ottici che associano al codice una sequenza di 13 numeri (ma esistono anche codici a barre di lunghezze diverse composti da 8, 12 e 14 cifre). Tale sequenza, grazie a un software di cui sono dotati i registratori di cassa, viene automaticamente convertita in descrizione e prezzo del prodotto acquistato, poi stampigliati sullo scontrino.

L’adozione del codice a barre è facoltativa, ma oggi quasi tutte le aziende ne fanno uso, considerata la sua enorme utilità nella gestione logistica delle merci.

  Il Quick Response Code

Attualmente si sta diffondendo un nuovo tipo di codice a barre di origine giapponese chiamato Quick Response Code o QR Code (ossia codice a risposta rapida). Si tratta di un codice a barre bidimensionale. La decodifica (ossia la lettura) avviene inquadrando il codice con la fotocamera di un tablet o di uno smartphone dotato di un apposito software e di connessione Internet. Il Quick Response Code rimanda infatti a un indirizzo web in grado di fornire maggiori informazioni relative al prodotto preso in esame.

Questo codice ha licenza libera, dunque sono gratuiti sia i software per la sua generazione sia quelli per la sua decodifica.

  I CARTELLI PER I PRODOTTI SFUSI

Si definiscono sfusi tutti quei prodotti esposti senza confezione sui banchi di vendita di panetterie, pasticcerie, macellerie, negozi di frutta e verdura, che si vendono nella quantità e nel peso richiesti dall’acquirente.

Per tali prodotti la legge richiede che sia esposto un apposito cartello con:

  • denominazione di vendita;
  • elenco degli ingredienti (quando possibile);
  • modalità di conservazione (quando necessario);
  • data di scadenza (per le paste fresche);
  • titolo alcolometrico e percentuale di glassatura (se alcol e glassatura sono presenti nei prodotti);
  • prezzo (unitario o per unità di peso).

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concetti in mappa

Sapere di alimentazione
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Corso di Scienza degli alimenti per il primo biennio