Il “sugo di tutta la storia”

Il “sugo di tutta la storia”


di Alessandro Manzoni, da I promessi sposi

Celebrate finalmente le nozze, Renzo e Lucia si stabiliscono prima presso il paese dove Renzo si era rifugiato scappando da Milano e poi in provincia di Bergamo, dove aprono un filatoio. La coppia trova finalmente la pace tanto desiderata, e inizia a ragionare sul senso da attribuire alle proprie peripezie.

Non crediate però che non ci fosse qualche piccolo fastidio anche lì. 

Dice il nostro anonimo (e già sapete che aveva un gusto un po’ strano in fatto di similitudini; ma passategli [permettetegli] anche questa, che dovrebbe essere l’ultima): l’uomo, fin che sta in questo mondo, è un infermo che si trova su un letto scomodo, e vede intorno a sé altri letti, ben rifatti, piani, a livello: e si immagina che ci si deve stare benone. Ma se gli riesce di cambiare, appena si è accomodato nel nuovo letto, comincia, pigiando [spingendo], a sentire qui una spina che lo punge, lì un bernoccolo che lo preme: siamo insomma più o meno alla storia di prima.


E per questo, soggiunge l’anonimo, si dovrebbe pensare più a fare bene, che a stare bene: e così si finirebbe anche a stare meglio. In fondo ha ragione.


Peraltro, prosegue l’anonimo, dolori e imbrogli come quelli che abbiamo raccontato non ce ne furono più per la nostra buona gente. Fu, da quel punto in poi, una vita delle più tranquille, delle più felici, delle più invidiabili; di modo che, se ve la dovessi raccontare, vi seccherebbe a morte.


Gli affari andavano d’incanto [benissimo]. All’inizio ci fu qualche problema per la scarsità dei lavoranti e per le pretese dei pochi che erano rimasti.

Ma le cose si rincamminarono, perché alla fine bisogna che si rincamminino.


Prima che finisse l’anno del matrimonio venne alla luce una bella creatura; fu una bambina, e le fu messo nome Maria. Ne vennero poi col tempo non so quanti altri, dell’uno e dell’altro sesso. E Agnese affaccendata a portarli di qua e di là, chiamandoli cattivacci, e stampando loro in viso dei bacioni che ci lasciavano il segno per qualche tempo. E furono tutti bene educati; e Renzo volle che imparassero tutti a leggere e scrivere, dicendo che, giacché c’era questa birberia, dovevano almeno approfittarne anche loro.


Il bello era sentirlo raccontare le sue avventure: finiva sempre col dire le gran cose che aveva imparato, per comportarsi meglio in avvenire. Diceva: «Ho imparato a non farmi coinvolgere nei tumulti; ho imparato a non predicare in piazza; ho imparato a guardare la persona con cui parlo; ho imparato a non alzare il gomito». E cento altre cose.


Lucia però, non che trovasse la dottrina di Renzo falsa in sé, ma non ne era soddisfatta; le pareva che ci mancasse qualcosa. 

A forza di sentir ripetere la stessa canzone, e di pensarci sopra ogni volta, disse un giorno al suo moralista: «E io cosa volete che abbia imparato? Io non sono andata a cercare i guai: sono loro che sono venuti a cercare me». Poi aggiunse, sorridendo soavemente: «Se non volete dire che il mio sproposito [errore] sia stato quello di volervi bene, e di promettermi a voi».


Renzo rimase impacciato. Dopo un lungo dibattere insieme, conclusero che i guai vengono spesso perché uno li ha causati; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore.


Questa conclusione, benché trovata da povera gente, ci è sembrata così giusta che abbiamo pensato di metterla qui, come sugo [morale] di tutta la storia. La quale, se non vi è dispiaciuta, vogliate bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata. Ma se invece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete [sappiate] che non lo abbiamo fatto apposta.

 >> pagina 83 
DENTRO IL TESTO

Raccontando del matrimonio di Renzo e Lucia e della loro nuova vita, Manzoni chiude il romanzo con un finale positivo, che tuttavia non è il “lieto fine” delle favole. Il classico “lieto fine”, infatti, sarebbe sarebbe stato in contrasto sia con la concezione cristiana dell’esistenza (per la quale non è possibile sperimentare il paradiso in Terra), sia con gli eventi vissuti da Renzo e Lucia (che hanno sperimentato come non ci sia luogo o comportamento che metta al sicuro dal male).


In questa parte finale del romanzo, il narratore fa sentire molto la sua presenza, utilizzando la sua consueta ironia, e continua il “gioco di specchi” con l’anonimo, fino al saluto finale: «Vogliate bene a chi l’ha scritta [l’anonimo] e un pochino anche a chi l’ha raccomodata [l’autore]».

VERIFICA

Rispondi alle domande


1. Alla fine della loro riflessione, Renzo e Lucia concludono che:

  • non bisogna andarsi a cercare i guai.
  • non si possono tenere lontani i guai.

2. «Renzo volle che i suoi figli imparassero a leggere e scrivere, dicendo che, giacché c’era questa birberia, dovevano almeno approfittarne anche loro.» Secondo te Renzo sa leggere?


3. Il paragrafo finale del libro si rivolge ai lettori; il tono è:

  • didascalico
  • ironico
  • drammatico
  • epico

I saperi fondamentali di letteratura - volume 2
I saperi fondamentali di letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento