Il vizio dell’omertà (Leonardo Sciascia)

Il vizio dell’omertà


di Leonardo Sciascia, da Il giorno della civetta

Un delitto nella piazza di un paesino siciliano dà avvio alla storia.

L’autobus stava per partire, rombava sordo con improvvisi raschi e singulti. La piazza era silenziosa nel grigio dell’alba, sfilacce [vapori] di nebbia ai campanili della Matrice; solo il rombo dell’autobus e la voce del venditore di panelle, panelle calde panelle, implorante ed ironica. 

Il bigliettaio chiuse lo sportello, l’autobus si mosse con un rumore di sfasciume. L’ultima occhiata che il bigliettaio girò sulla piazza, colse l’uomo vestito di scuro che veniva correndo; il bigliettaio disse all’autista «un momento» e aprì lo sportello mentre l’autobus ancora si muoveva. 

Si sentirono due colpi squarciati: l’uomo vestito di scuro, che stava per saltare sul predellino, restò per un attimo sospeso, come tirato su per i capelli da una mano invisibile; gli cadde la cartella di mano e sulla cartella lentamente si afflosciò.


Il bigliettaio bestemmiò: la faccia gli era diventata colore di zolfo, tremava. Il venditore di panelle, che era a tre metri dall’uomo caduto, muovendosi come un granchio cominciò ad allontanarsi verso la porta della chiesa. Nell’autobus nessuno si mosse, l’autista era come impietrito, la destra sulla leva del freno e la sinistra sul volante. Il bigliettaio guardò tutte quelle facce che sembravano facce di ciechi, senza sguardo; disse «l’hanno ammazzato» si levò il berretto e freneticamente cominciò a passarsi la mano tra i capelli; bestemmiò ancora.

«I carabinieri», disse l’autista, «bisogna chiamare i carabinieri». Si alzò ed aprì l’altro sportello «ci vado», disse al bigliettaio.


Il bigliettaio guardava il morto e poi i viaggiatori. C’erano anche donne sull’autobus, vecchie che ogni mattina portavano sacchi di tela bianca, pesantissimi, e ceste piene di uova; le loro vesti stingevano [emanavano] odore di trigonella, di stallatico, di legna bruciata; di solito lastimavano [si lamentavano] e imprecavano, ora stavano in silenzio, le facce come dissepolte da un silenzio di secoli.

«Chi è?», domandò il bigliettaio indicando il morto. Nessuno rispose. [...]

Vennero i carabinieri, il maresciallo nero di barba e di sonno. L’apparire dei carabinieri squillò come allarme nel letargo dei viaggiatori: e dietro al bigliettaio, dall’altro sportello che l’autista aveva lasciato aperto, cominciarono a scendere. In apparente indolenza [svogliatezza], voltandosi indietro come a cercare la distanza giusta per ammirare i campanili, si allontanavano verso i margini della piazza e, dopo un ultimo sguardo, svicolavano. Di quella lenta raggera di fuga il maresciallo e i carabinieri non si accorgevano. […] 

Il maresciallo ordinò ai carabinieri di fare sgombrare la piazza e di far risalire i viaggiatori sull’autobus: e i carabinieri cominciarono a spingere i curiosi verso le strade che intorno alla piazza si aprivano, spingevano e chiedevano ai viaggiatori di andare a riprendere il loro posto sull’autobus. Quando la piazza fu vuota, vuoto era anche l’autobus; solo l’autista e il bigliettaio restavano.


«E che», domandò il maresciallo all’autista, «non viaggiava nessuno oggi?».

«Qualcuno c’era», rispose l’autista con faccia smemorata.

«Qualcuno», disse il maresciallo, «vuol dire quattro cinque sei persone: io non ho mai visto questo autobus partire, che ci fosse un solo posto vuoto».

«Non so», disse l’autista, tutto spremuto nello sforzo di ricordare, «non so: qualcuno, dico, così per dire; certo non erano cinque o sei, erano di più, forse l’autobus era pieno… Io non guardo mai la gente che c’è: mi infilo al mio posto e via… Solo la strada guardo, mi pagano per guardare la strada».


Il maresciallo si passò sulla faccia una mano stirata dai nervi.

«Ho capito», disse, «tu guardi solo la strada; ma tu», e si voltò inferocito verso il bigliettaio, «tu stacchi i biglietti, prendi i soldi, dài il resto: conti le persone e le guardi in faccia… E se non vuoi che te ne faccia ricordare in camera di sicurezza, devi dirmi subito chi c’era sull’autobus, almeno dieci nomi devi dirmeli… Da tre anni che fai questa linea, da tre anni ti vedo ogni sera al caffè Italia: il paese lo conosci meglio di me…».


«Meglio di lei il paese non può conoscerlo nessuno», disse il bigliettaio sorridendo, come a schermirsi da un complimento.


«E va bene», disse il maresciallo sogghignando, «prima io e poi tu: va bene… Ma io sull’autobus non c’ero, ché ricorderei uno per uno i viaggiatori che c’erano: dunque tocca a te, almeno dieci devi nominarmeli».

«Non mi ricordo», disse il bigliettaio, «sull’anima di mia madre, non mi ricordo; in questo momento di niente mi ricordo, mi pare che sto sognando».

 >> pagina 85 
DENTRO IL TESTO

La prosa di Sciascia presenta lo stile asciutto tipico delle opere realiste, includendo forme e costrutti del linguaggio popolare.

VERIFICA

Rispondi alle domande


1. L’autista, il bigliettaio e i passeggeri hanno un atteggiamento:

  • collaborativo. 
  • omertoso.

2. Il bigliettaio si arrabbia perché:

  • nessuno dei passeggeri reagisce all’uccisione dell’uomo. 
  • sa che verrà coinvolto nelle indagini dei carabinieri.

3. L’espressione “facce che sembravano facce di ciechi, senza sguardo” indica:

  • lo stupore dei passeggeri per l’uccisione. 
  • l’atteggiamento dei passeggeri che non vogliono essere coinvolti.

I saperi fondamentali di letteratura - volume 3
I saperi fondamentali di letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento ad oggi