Luigi Pirandello

      luigi pirandello

La vita

Luigi Pirandello nasce ad Agrigento nel 1867. Compie gli studi liceali a Palermo e nel 1887 si iscrive all’Università di Roma, da dove, a causa di un contrasto con un professore, si trasferisce a Bonn per laurearsi nel 1891 in Filologia romanza.


Nel 1893 torna a Roma e vi si stabilisce definitivamente: collabora con prestigiose riviste letterarie, insegna all’Istituto Superiore di Magistero e scrive il suo primo romanzo: L’esclusa. Nel 1894 sposa Antonietta Portulano, da cui avrà tre figli. Quando l’attività del padre di Pirandello subisce un tracollo, Antonietta entra in una spirale di follia ossessiva da cui non uscirà più.


Pirandello si immerge totalmente nell’attività letteraria, pubblicando nel 1904 Il fu Mattia Pascal, romanzo scritto di getto e suo capolavoro. Nel saggio L’umorismo (1908) espone la sua poetica, centrata sul concetto di umorismo inteso come «sentimento del contrario» (nel comico si può vedere un risvolto tragico e viceversa).


Negli anni che precedono la guerra pubblica altri romanzi, raccolte di novelle e i primi lavori teatrali. Dal dopoguerra in poi la sua fama di scrittore e di  drammaturgo di successo, ricercato dai teatri d’Europa e d’America, sono in continua crescita. Nel 1934 riceve il premio Nobel per la letteratura e due anni dopo muore a Roma.

i temi

Pirandello, autore fra i più significativi della letteratura mondiale del Novecento, ha affrontato nelle sue opere narrative e teatrali l’incertezza della vita quotidiana, non riducibile a un’unica, confortante dimensione.

La poetica dell’umorismo 

Alla base della poetica pirandelliana c’è una precisa concezione dell’umorismo, espressa soprattutto nel saggio L’umorismo del 1908, basata sull’idea che la realtà non è solo quello che appare ma ha un lato nascosto (a volte doloroso) percepibile solo attraverso la riflessione. Compito dell’arte è svelare questa duplicità.
Da queste premesse Pirandello elabora la definizione dell’umorismo come «sentimento del contrario», che è la capacità di vedere il lato tragico di una situazione comica e, il contrario, l’aspetto ridicolo di una vicenda drammatica.

 >> pagina 46 

La vita e la pazzia 

Nella visione di Pirandello, la vita si manifesta in “forme” sempre differenti, mai uguali a sé stesse.
Le convenzioni sociali inducono l’individuo a fissare delle identità, dei ruoli che sono però finti e illusori.
Questi ruoli sono maschere che si indossano per recitare una parte che risponda alle attese della società.
Ma per Pirandello le istituzioni sociali, come la famiglia o il lavoro, sono delle «trappole», e in tutta la sua opera mostra un’insofferenza profonda verso i ruoli imposti dalla società. L’unica soluzione possibile è porsi fuori dagli schemi sociali, in un altrove fantastico o nella follia.

L’io diviso 

Nel pensiero comune, il nome proprio rappresenta l’unicità e l’identità dell’individuo. Ma Pirandello smonta questa convinzione illusoria e giunge alla frantumazione totale del soggetto. 

Nell’opera pirandelliana lo specchio è elemento centrale da cui spesso scaturisce la crisi dell’identità individuale: nel riflesso dello specchio, infatti, l’uno diventa doppio e non si riconosce più.

La civiltà moderna e l’alienazione 

Il rapporto di Pirandello con la civiltà moderna è caratterizzato da un atteggiamento di rifiuto che deriva dall’originario radicamento dell’autore nella società contadina e da una diffidenza nei confronti della civiltà industriale. Al culto futurista delle macchine [vedi pag. 54] Pirandello contrappone una lucida consapevolezza dei risvolti negativi della celebrazione del nuovo. Al centro della civiltà moderna si  erge la “macchina” (i macchinari in senso ampio), prodotto della tecnologia che dovrebbe aiutare l’uomo ma che in realtà ha il carattere minaccioso di un essere vampiresco, che si ribella all’uomo per sostituirlo.

 >> pagina 47 

Teatro: tra realtà e finzione 

Pirandello arriva a scrivere per il teatro solo dopo i 45 anni, anche se da tempo aveva realizzato che il palcoscenico era il luogo adatto per rappresentare il conflitto tra realtà e finzione che è alla base della sua poetica.
Pirandello realizza il superamento del  teatro borghese ottocentesco attraverso fasi successive: dagli inizi del teatro in lingua dialettale (ancora in parte legati al Verismo), alla stagione grottesca in cui si applicano i principi umoristici, fino alla trilogia  metateatrale.

le opere

Pirandello pubblica nel 1922 Novelle per un anno, una raccolta che non ha una struttura unitaria, quasi volesse riflettere la sua visione del mondo come insieme caotico e disgregato; l’influenza del Verismo è ancora evidente nelle ambientazioni, ma i personaggi sono maschere grottesche.


Fra il 1893 e il 1915 scrive sei romanzi (L’esclusa, Il turno, Il fu Mattia Pascal, I vecchi e i giovani, Suo marito, Quaderni di Serafino Gubbio operatore) e, dopo una pausa di 10 anni in cui si dedica solo al teatro, pubblica nel 1926 il suo romanzo “testamentario”: Uno, nessuno, centomila, la storia di Vitangelo Moscarda, personaggio in preda a una crisi esistenziale da cui esce totalmente annientato.


La produzione teatrale è lo sbocco naturale dell’arte di Pirandello, che concepisce la realtà come una grande, tragica recita. Le tematiche chiave della solitudine, dell’incomunicabilità, del doppio, della follia trovano nelle sue opere teatrali un’espressione sempre più forte e originale. Gli elementi caricaturali diventano un elemento tipico del teatro pirandelliano, e danno vita al teatro grottesco esemplificato dall’opera Il giuoco delle parti.


La fase del metateatro è rappresentata dalla cosiddetta trilogia del “teatro nel teatro” (Sei personaggi in cerca d’autore, 1921; Ciascuno a suo modo, 1924; Questa sera si recita a soggetto, 1930). In queste opere viene eliminata la soglia invisibile che separa il palcoscenico dalla platea, e il teatro stesso diventa il protagonista della rappresentazione.

 >> pagina 48 

il fu mattia pascal

Il fu Mattia Pascal è il compimento della critica al romanzo naturalista e il protagonista, Mattia Pascal, è l’incarnazione dell’umorismo pirandelliano: un eroe tragicomico, orfano di ogni certezza, protagonista di una vicenda inverosimile.


Mattia Pascal conduce un’esistenza triste, divisa tra il lavoro in biblioteca e una convivenza familiare litigiosa. Si allontana dunque per alcuni giorni finché legge su un giornale che i suoi parenti lo hanno riconosciuto nel cadavere di un suicida. La notizia, gli suggerisce l’idea di sfruttare la sua presunta morte per cominciare una nuova vita.


Mattia non ritorna al suo paese ma, assunto il nome di Adriano Meis, gira per l’Europa per stabilirsi poi a Roma in una stanza affittata nella casa di Anselmo Paleari, un bizzarro personaggio. Qui inizia a provare inquietudine per la precarietà della sua situazione, di cui si rende conto quando si innamora della figlia del padrone di casa, che vorrebbe chiedere in sposa, ma non lo può fare perché non è Mattia e non è in verità neanche Adriano.
Per uscire dalla “trappola” in cui si è cacciato, decide allora di inscenare un secondo suicidio, quello della sua nuova identità (Adriano Meis), e di tornare al paese e farsi riconoscere pubblicamente.


Al paese però lo attende una sorpresa: la moglie si è risposata e ha avuto una figlia dal nuovo marito. Ora Mattia è davvero “il fu Mattia Pascal”: si ritira nella biblioteca per scrivere le sue memorie (come lo abbiamo trovato in apertura di romanzo, nelle vesti di narratore) e ogni tanto va al cimitero a deporre un fiore sulla propria tomba.

I saperi fondamentali di letteratura - volume 3
I saperi fondamentali di letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento ad oggi