Il naufragio della Provvidenza

Il naufragio della Provvidenza


di Giovanni Verga, da I Malavoglia

Per cercare di aumentare i pochi guadagni, i Malavoglia comprano dei lupini (dei legumi) per poi rivenderli. Bastianazzo e Menico li caricano sulla Provvidenza per andare a venderli in un paese vicino. Ma durante la notte si scatena una terribile tempesta. Appena si fa giorno, il naufragio dell’imbarcazione diventa una certezza per tutti gli abitanti del paese. A sera anche Maruzza, la moglie di Bastianazzo, comprende, dalle attenzioni e dagli sguardi della comunità, che il marito è morto.

Dopo la mezzanotte il vento s’era messo a fare il diavolo, come se sul tetto ci fossero tutti i gatti del paese, e a scuotere le imposte. Il mare si udiva muggire attorno ai fariglioni che pareva ci fossero riuniti i buoi della fiera di S. Alfio, e il giorno era apparso nero peggio dell’anima di Giuda. Insomma una brutta domenica di settembre, di quel settembre traditore che vi lascia andare un colpo di mare fra capo e collo, come una schioppettata fra i fichidindia.


Le barche del villaggio erano tirate sulla spiaggia, e bene ammarrate alle grosse pietre sotto il lavatoio; perciò i monelli si divertivano a vociare e fischiare quando si vedeva passare in lontananza qualche vela sbrindellata, in mezzo al vento e alla nebbia, che pareva ci avesse il diavolo in poppa; le donne invece si facevano la croce, quasi vedessero cogli occhi la povera gente che vi era dentro.


Maruzza la Longa non diceva nulla, com’era giusto, ma non poteva star ferma un momento, e andava sempre di qua e di là, per la casa e pel cortile, che pareva una gallina quando sta per far l’uovo. Gli uomini erano all’osteria, e nella bottega di Pizzuto, o sotto la tettoia del beccaio, a veder piovere, col naso in aria.

Sulla riva c’era soltanto padron ’Ntoni, per quel carico di lupini che ci aveva in mare colla Provvidenza e suo figlio Bastianazzo per giunta, e il figlio della Locca, il quale non aveva nulla da perdere lui, e in mare non ci aveva altro che suo fratello Menico, nella barca dei lupini.


Sull’imbrunire comare Maruzza coi suoi figliuoletti era andata ad aspettare sulla sciara, d’onde si scopriva un bel pezzo di mare, e udendolo urlare a quel modo trasaliva e si grattava il capo senza dir nulla. La piccina piangeva, e quei poveretti, dimenticati sulla sciara, a quell’ora, parevano le anime del purgatorio. Il piangere della bambina le faceva male allo stomaco, alla povera donna, le sembrava quasi un malaugurio; non sapeva che inventare per tranquillarla, e le cantava le canzonette colla voce tremola che sapeva di lagrime anche essa.


Le comari, mentre tornavano dall’osteria, coll’orciolino dell’olio, o col fiaschetto del vino, si fermavano a barattare qualche parola con la Longa senza aver l’aria di nulla, e qualche amico di suo marito Bastianazzo, compar Cipolla, per esempio, o compare Mangiacarrubbe, passando dalla sciara per dare un’occhiata verso il mare, e vedere di che umore si addormentasse il vecchio brontolone, andavano a domandare a comare la Longa di suo marito, e stavano un tantino a farle compagnia, fumandole in silenzio la pipa sotto il naso, o parlando sottovoce fra di loro. La poveretta, sgomenta da quelle attenzioni insolite, li guardava in faccia sbigottita, e si stringeva al petto la bimba, come se volessero rubargliela.


Finalmente il più duro o il più compassionevole la prese per un braccio e la condusse a casa. Ella si lasciava condurre, e badava a ripetere: «Oh! Vergine Maria! Oh! Vergine Maria!». I figliuoli la seguivano aggrappandosi alla gonnella, quasi avessero paura che rubassero qualcosa anche a loro. Mentre passavano dinanzi all’osteria, tutti gli avventori si affacciarono sulla porta, in mezzo al gran fumo, e tacquero per vederla passare come fosse già una cosa curiosa.

La poveretta che non sapeva di essere vedova, balbettava: «Oh! Vergine Maria! Oh! Vergine Maria!».

Dinanzi al ballatoio della sua casa c’era un gruppo di vicine che l’aspettavano, e cicalavano a voce bassa fra di loro. Come la videro da lontano, comare Piedipapera e la cugina Anna le vennero incontro, colle mani sul ventre, senza dir nulla. Allora ella si cacciò le unghie nei capelli con uno strido disperato e corse a rintanarsi in casa.

«Che disgrazia!», dicevano sulla via. «E la barca era carica! Più di quarant’onze di lupini!».

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DENTRO IL TESTO

All’inizio del capitolo Verga usa metafore dell’immaginario religioso (“il vento

che s’era messo a fare il diavolo”; “il giorno che era apparso nero peggio dell’anima di Giuda”) che anticipano il naufragio della barca.


Verga non narra direttamente la triste sorte della barca e di Bastianazzo, ma la fa intravedere nelle parole e nei gesti degli abitanti del borgo: il narratore infatti descrive la gestualità collettiva e le reazioni del popolo alla tragedia.


Gli abitanti del villaggio pensano soprattutto all’aspetto economico, valutando quasi più prezioso il carico dei lupini che la vita delle persone. Ma c’è anche la manifestazione di una solidarietà “impacciata”, soprattutto verso Maruzza.


Verga non fa di questo episodio la “scena madre” del romanzo, come avrebbe fatto invece uno scrittore romantico, magari rappresentandola con toni epici o patetici. Lo scrittore verista, al contrario, tratta l’argomento con distacco.

VERIFICA

Rispondi alle domande


1. Nel brano viene descritto: 

  • il naufragio della barca Provvidenza.
  • la reazione delle persone al naufragio.

2. Nel brano ci sono molte similitudini (introdotte dall’espressione “che pareva”) che fanno riferimento:

  • al mondo industriale. 
  • al mondo contadino.

3. Alla notizia del naufragio, le persone del villaggio:

  • condannano l’imprudenza di Bastianazzo. 
  • valutano la perdita economica.

I saperi fondamentali di letteratura - volume 3
I saperi fondamentali di letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento ad oggi