La roba (da Novelle rusticane)

La roba


di Giovanni Verga, da Novelle rusticane

La novella ha come protagonista Mazzarò, un uomo che, da bracciante sfruttato, a poco a poco è riuscito a comprare le terre e i beni del suo padrone diventando molto ricco.

Il viandante che andava lungo le stoppie riarse della Piana di Catania, e gli aranci sempre verdi di Francofonte, e i pascoli deserti di Passaneto, se domandava: «Qui di chi è?», sentiva rispondersi: «Di Mazzarò».


E passando vicino a una fattoria grande quanto un paese, coi magazzini che sembrano chiese, e le galline a stormi accoccolate all’ombra del pozzo, e le donne che si mettevano la mano sugli occhi per vedere chi passava: «E qui?». «Di Mazzarò».


E cammina e cammina, mentre la malaria vi pesava sugli occhi, e vi scuoteva all’improvviso l’abbaiare di un cane, passando per una vigna che non finiva più, e il guardiano sdraiato bocconi sullo schioppo levava il capo sonnacchioso, e apriva un occhio per vedere chi fosse: «Di Mazzarò».


Poi veniva un uliveto folto come un bosco, dove l’erba non spuntava mai, e la raccolta durava fino a marzo. Erano gli ulivi di Mazzarò. «Tutta roba di Mazzarò».


Pareva che fosse di Mazzarò perfino il sole che tramontava, e le cicale che ronzavano, e gli uccelli che andavano a rannicchiarsi col volo breve dietro le zolle. Pareva che Mazzarò fosse disteso tutto grande per quanto era grande la terra, e che gli si camminasse sulla pancia.


Invece egli era un omiciattolo che non gli avreste dato un baiocco, a vederlo; e di grasso non aveva altro che la pancia, e non si sapeva come facesse a riempirla, perché non mangiava altro che due soldi di pane.

E sì ch’era ricco come un maiale; ma aveva la testa ch’era un brillante, quell’uomo. Infatti, colla testa come un brillante, aveva accumulato tutta quella roba, dove prima veniva da mattina a sera a zappare, a potare, a mietere; col sole, coll’acqua, col vento.

Egli non beveva vino, non fumava, non usava tabacco, e sì che del tabacco ne producevano i suoi orti lungo il fiume. Non aveva il vizio del giuoco, né quello delle donne. Di donne non aveva mai avuto sulle spalle che sua madre, la quale gli era costata anche 12 tarì, quando aveva dovuto farla portare al camposanto.


Era che ci aveva pensato e ripensato tanto a quel che vuol dire la roba, quando andava senza scarpe a lavorare nella terra che adesso era sua, ed aveva provato quel che ci vuole a fare i tre tarì della giornata, nel mese di luglio, a star colla schiena curva 14 ore. Per questo non aveva lasciato passare un minuto della sua vita che non fosse stato impiegato a fare della roba; e adesso i suoi aratri erano numerosi come le lunghe file dei corvi che arrivano in novembre; e le donne che stavano accoccolate nel fango, per raccogliere le sue olive, non si potevano contare.


Tutta quella roba se l’era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, coll’affaticarsi dall’alba a sera, col logorare i suoi stivali e le sue mule. Egli solo non si logorava, pensando alla sua roba, ch’era tutto quello ch’ei avesse al mondo; perché non aveva né figli, né nipoti, né parenti; non aveva altro che la sua roba. Quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba. Ed anche la roba era fatta per lui, che pareva ci avesse la calamita, perché la roba vuol stare con chi sa tenerla, e non la sciupa come quel barone che prima era stato il padrone di Mazzarò, e l’aveva raccolto per carità nudo e crudo ne’ suoi campi.


Di una cosa sola gli doleva, che cominciasse a farsi vecchio, e la terra doveva lasciarla là dov’era. Questa è una ingiustizia di Dio, che dopo di essersi logorata la vita ad acquistare della roba, quando arrivate ad averla, che ne vorreste ancora, dovete lasciarla!

E stava delle ore seduto sul corbello, col mento nelle mani, a guardare le sue vigne che gli verdeggiavano sotto gli occhi, e i campi che ondeggiavano di spighe come un mare, e gli oliveti che velavano la montagna come una nebbia.


Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: «Roba mia, vientene con me!».

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DENTRO IL TESTO

Mazzarò, il protagonista, vive solo per accumulare terre e ricchezza. Privo di affetti e sentimenti, Mazzarò non ha pietà né amore. Ma anche lui non si concede nulla, ossessionato da un unico pensiero: accumulare. Quando si avvicina la morte, però, il destino di Mazzarò si capovolge: da vincitore si trasforma in vinto. Seduto malinconicamente a guardare le sue terre, con un gesto al tempo stesso tragico e comico, ammazza col bastone le sue bestie.


Nella descrizione delle vicende di Mazzarò c’è un uso frequente delle figure retoriche dell’accumulazione e dell’iterazione, che fanno sembrare Mazzarò il personaggio di una fiaba.

L’accumulazione è l’elencazione di più parole, immagini o aggettivi con lo scopo di trasmettere un’idea o un’immagine complessiva.

L’iterazione è la ripetizione di concetti, parole o frasi.

VERIFICA

Rispondi alle domande


1. Mazzarò è:

  • nato ricco. 
  • diventato ricco.

2. Mazzarò vive:

  • da povero. 
  • da ricco.

3. Nella novella, oltre al protagonista compaiono i lavoratori della campagna. Che tipo di vita fanno?

 


4. Quando Mazzarò capisce che sta per morire, si arrabbia perché:

  • non ha persone accanto a sé che gli vogliono bene. 
  • non può portare con sé le sue ricchezze.

I saperi fondamentali di letteratura - volume 3
I saperi fondamentali di letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento ad oggi