a TU per TU con l’autore
Leggere Ungaretti è come leggere il Novecento: il secolo che il poeta attraversò con entusiasmo sin da quando lasciò l’Egitto, dov’era nato da un’umile famiglia emigrata in cerca di fortuna, per imbarcarsi su una nave diretta in Europa. Era il 1912: di lì a poco Ungaretti si ritrovò a discutere e scherzare con gli artisti, scrittori, intellettuali che gremivano i bistrot di una frizzante Parigi. Ma roso dall’inquietudine, quando scoppiò la Grande guerra abbandonò anche loro, arruolandosi nell’esercito italiano per mescolarsi come soldato semplice al popolo contadino, nel fango delle trincee. Qui nacque la sua grande poesia. Versi brevi, di eccezionale intensità, che colpiscono il lettore costringendolo a fermarsi, riflettere, mettersi in gioco. Non serve conoscere a fondo la tradizione letteraria per capire il primo Ungaretti: L’allegria non ha bisogno di lunghe avvertenze per l’uso. Basta lasciarsi trascinare dalla magia della sua parola lirica, capace di sublimare il trauma di un umile soldato che scopre ed esalta la luce dell’esistenza umana. Proprio quando e dove regnano morte e tenebre, l’io minacciato sa così riconoscersi «docile fibra dell’universo», immerso in una sorta di miracolosa armonia cosmica.
È la poesia di un uomo che affronta la guerra senza odio, e capisce quanto la vita sia un dono fragile e prezioso. Questa consapevolezza accompagnò Ungaretti a Parigi, a Roma, in Brasile, in tutte le tappe della sua irrequieta esistenza. Impulsivo, curioso, estroverso, negli ultimi anni Ungaretti fece in tempo addirittura a seguire da vicino le proteste giovanili esplose nel Sessantotto. Come amava ripetere egli stesso, scherzando, non aveva ottant’anni, ma era quattro volte ventenne.