1. Al servizio degli ideali

1. Al servizio degli ideali

Il campo della poesia si estende ben al di là della lirica, oltrepassa cioè l’espressione dei sentimenti personali. I versi non rappresentano infatti soltanto stati d’animo, speranze e dolori soggettivi, ma spesso rivestono un ruolo fondamentale nel modellare e promuovere valori e obiettivi politici, civili e sociali. Molti poeti hanno affrontato esplicitamente le principali questioni della vita collettiva, svelando i meccanismi del potere, denunciando vizi e pregiudizi dominanti, indicando i rischi e i traguardi del progresso, o facendo sentire la loro voce in occasione di guerre, ingiustizie, minacce alla libertà.

Grazie alla sua forza espressiva, infatti, la poesia è uno straordinario strumento di “impegno” e “militanza”. Questi due termini sono entrati in uso nel Novecento: il primo traduce l’espressione francese engagé, utilizzata nel secondo dopoguerra per designare la volontà dell’intellettuale di confrontarsi con i problemi del proprio tempo; il secondo rimanda alla scelta di mettere la propria arte al servizio di un’ideologia, in genere politica. Ma in realtà un approccio di questo tipo non è una novità del nostro tempo: da sempre gli scrittori si sono serviti dei versi per veicolare le proprie idee sulla società con l’obiettivo di convincere i lettori ad adottarle. A questo scopo la poesia civile impiega una vasta gamma di generi e toni, sfruttando volentieri a supporto della ragione le armi del pathos, cioè della passione e dell’emozione: dalla preghiera accorata alla narrazione di un episodio esemplare, dall’invettiva iraconda alla satira divertita, dalla celebrazione di un evento alla meditazione pensosa, dalla denuncia indignata all’incitamento all’azione.

Si sente spesso ripetere, con aria di sufficienza, che la poesia non può cambiare il mondo. Presa alla lettera, questa affermazione è senz’altro vera. Non si è mai visto, per esempio, un dittatore restituire ai cittadini la libertà dopo avere letto dei versi. Eppure, come recita un vecchio proverbio, «ne ammazza più la penna che la spada». La poesia può avere infatti un impatto potente, è in grado di cambiare il pensiero [#1], conquistare le menti delle persone, influenzare i loro comportamenti. Non si spiegherebbe altrimenti la costanza con cui il potere da sempre bersaglia i poeti, impedendo la circolazione delle loro opere, esiliandoli lontano dai propri cari e dalla patria, incarcerandoli, e nei casi più gravi addirittura assassinandoli. Già duemila anni fa il poeta romano Ovidio fu costretto all’esilio dall’imperatore Augusto – per motivi ancor oggi sconosciuti – in un’inospitale località sul Mar Nero; nel 1301 Dante Alighieri, allora priore di Firenze, fu cacciato dalla città dai concittadini che militavano nell’opposta fazione politica. Troviamo numerose vittime della repressione politica anche nel Novecento: ricordiamo per esempio Federico García Lorca, fucilato dai franchisti durante la guerra civile spagnola, e il russo Osip Mandel’štam, spedito da Stalin in uno spaventoso campo di lavoro, dove ha trovato la morte. E ancora, negli ultimi anni sono stati perseguitati il filippino Ericson Acosta, il sierraleonese Syl Cheney-Coker, il cinese Zhu Yufu, il palestinese Ashraf Fayadh, il qatariota Mohammed al-Ajami, e tanti altri poeti. Nomi spesso sconosciuti al grande pubblico, che hanno testimoniato con la loro arte e la loro tenacia quanto sia temuto, ancora oggi, il potere della poesia.

 >> pagina 208 

2. La storia del genere

In età antica argomento privilegiato dai poeti, al di fuori della sfera dei sentimenti amorosi, era la guerra. Tanto nell’epica quanto nelle odi, gli eventi bellici venivano raccontati o per esortare i lettori a versare il sangue per la patria oppure per ricordare e celebrare le imprese dei caduti.

Nel dominio della poesia civile ricadono anche le satire, dove la società del tempo è dipinta a tinte vivaci, e i poemi didascalici, tesi spesso a cantare la prosperità raggiunta in tempo di pace dall’uomo laborioso (il termine “didascalico” discende dal verbo greco didasco, “insegnare”). Ne sono un esempio suggestivo le Georgiche, dove il poeta latino Virgilio (70-19 a.C.) illustra le tecniche di coltivazione dei campi e di allevamento del bestiame per esaltare i benefici apportati dalla politica agricola con cui Ottaviano cercava di restaurare l’economia a seguito di una sanguinosa serie di conflitti.

 >> pagina 209 

Se guardiamo alla letteratura italiana nel suo insieme, facilmente ci accorgiamo di come quasi tutti i grandi maestri della nostra poesia abbiano scritto versi civili. Del resto a molti di loro – Dante e Petrarca per primi – vennero affidati importanti incarichi in campo politico. Non stupisce allora constatare come la Divina Commedia affronti spesso argomenti legati alla realtà cittadina di Firenze o alla condizione della Chiesa e dell’Impero, e il Canzoniere presenti, tra le altre, una canzone come Italia mia, nella quale si decanta il glorioso passato della penisola e si condannano le lotte intestine tra i principi italiani.

Certo non sempre il poeta è capace di conservare autonomia, salvaguardando lo spirito critico e la libertà di giudizio e di pensiero: possiamo così comprendere, nella nostra tradizione letteraria, lo sviluppo di una poesia cortigiana, che si accontenta di osannare i potenti e il loro dominio. Nel Rinascimento e in epoca barocca questa pratica dilagò, mentre si fece sempre più rigido il controllo della censura esercitato dalle istituzioni pubbliche e religiose, soprattutto a seguito della Controriforma, che impose la condanna – attraverso organismi quali il tribunale dell’Inquisizione – degli intellettuali considerati eretici, cioè contrari all’ortodossia cattolica.

Nel Settecento il diffondersi delle idee illuministe diede nuovo impulso alla satira rivolta contro i ceti nobiliari ed ecclesiastici – come nel poema Il Giorno di Giuseppe Parini (1729-1799) – ma anche ai poemi didascalici volti a celebrare le conquiste della scienza, come l’elettricità, o a discutere di riforme. Frutto straordinario di questa stagione è il carme Dei Sepolcri, nel quale Ugo Foscolo (1778-1827), in polemica con l’editto napoleonico di Saint-Cloud del 1804 che sanciva l’eguaglianza delle sepolture, esalta il valore civile e storico delle tombe dei grandi uomini, come custodi della grandezza e della libertà della patria.

Proprio Foscolo, anch’egli costretto all’esilio, rappresentò nell’Ottocento l’emblema del poeta libero, in lotta contro il regime austriaco, che dopo l’età napoleonica sottomise buona parte dell’Italia settentrionale imponendo alle voci della cultura il silenzio o l’adulazione servile. In questo periodo le lotte per la liberazione dell’Italia dal dominio straniero innescarono l’ispirazione dei migliori scrittori nell’intento di svegliare la coscienza nazionale [#2]. L’onda lunga della poesia bellica risorgimentale parte da Marzo 1821 di Alessandro Manzoni (1785-1873) e dalla canzone All’Italia di Giacomo Leopardi (1798-1837), tocca l’attuale inno nazionale, composto da Goffredo Mameli (1827-1849) dopo la Prima guerra d’indipendenza, e arriva sino alle odi celebrative di Giosue Carducci (1835-1907), composte durante e dopo la conquista dell’Unità italiana.

 >> pagina 210 

Nel Novecento lo sguardo dei poeti si abbassa per illuminare le esistenze delle persone comuni, anche di quelle più anonime, magari nel remoto mondo di un piccolo villaggio sperduto: è questa l’operazione compiuta da Edgar Lee Masters (1868-1950) che nell’Antologia di Spoon River raccoglie gli epitaffi immaginari degli abitanti di una cittadina americana, svelando adulteri, tradimenti e segreti di un’intera comunità ( T1, p. 212).

Ma anche i poeti che scrivono di guerra abbandonano i resoconti di gesta gloriose, spostandosi da eroi e generali alla massa dei soldati semplici e alla popolazione civile: insomma a quel «volgo disperso che nome non ha» (come lo definì Manzoni nell’Adelchi) e che vede cambiare le dominazioni ma non il suo destino di sofferenza. Non più gloria, ma sangue, sudore e polvere. Il disincanto esplode nella poesia europea in corrispondenza delle due guerre mondiali: sul versante italiano è evidente, per esempio, nei versi di Giuseppe Ungaretti (1888-1970), testimone diretto della tragedia della Grande guerra, e in quelli di Salvatore Quasimodo (1901-1968), che nella raccolta Giorno dopo giorno propone un drammatico quadro dell’Italia durante l’occupazione nazista ( T2, p. 219).

Anche le dittature attirano l’attenzione dei poeti decisi a ritrarre senza sconti la propria epoca. Il più feroce nemico di Hitler, in quest’ambito, è senz’altro il tedesco Bertolt Brecht (1898-1956) che, costretto dal 1933 a un lungo soggiorno all’estero, continua a bersagliare i deliri del regime nazista. Non troppo diverso è il destino del cileno Pablo Neruda (1904-1973), forzato all’espatrio nel 1948, quando il regime autoritario di Gabriel González Videla ne minaccia l’incolumità. Oltre a numerosi componimenti di sostegno alla lotta per la democrazia, negli anni successivi Neruda scrive versi in lode di oggetti umili e situazioni quotidiane, come un semplice «grazie» ( T3, p. 223), nella convinzione che l’impegno non coincida necessariamente con la polemica, e che la poesia debba coinvolgere il popolo, piuttosto che le élite.

 >> pagina 211 

Nei lunghi decenni di pace seguiti al 1945, i poeti occidentali si sono concentrati soprattutto sull’avvento della società di massa, evidenziandone le conseguenze negative sul piano della mentalità e delle abitudini. In Italia si guadagna fama come “fustigatore di costumi” Pier Paolo Pasolini (1922-1975), che nelle sue raccolte vagheggia una società estranea ai valori della borghesia dominante, fonte a suo parere di un irreversibile deterioramento dei rapporti umani. Dopo di lui sono stati in molti a puntare il dito sulla condizione di spettatore, utente, consumatore dell’uomo moderno, in balia delle esigenze del mercato, che lo plagia a scopo di lucro. Originali interpretazioni di questo tema si devono in anni recenti a Valerio Magrelli (n. 1957), che ha insistito sui condizionamenti causati dai mass media ( T4, p. 227).

Verifica delle conoscenze

1. Che cosa si intende per “impegno” civile dei poeti?

2. Perché così spesso la poesia civile attira le forbici della censura?

3. Che cosa rischiano i poeti che si oppongono ai governanti?

4. In che modo la poesia civile può influire sull’immaginario collettivo?

5. Quale fu in epoca antica l’argomento privilegiato dai poeti civili?

6. Che cosa si intende per poema didascalico?

7. Su quale argomento si concentrarono i poeti civili italiani nell’Ottocento?

8. Com’è cambiata la poesia civile dopo il 1945 e perché?

L’emozione della lettura - edizione gialla - volume B
L’emozione della lettura - edizione gialla - volume B
Poesia e teatro