T4 - Congedo del viaggiatore cerimonioso (G. Caproni)

T4

Giorgio Caproni

Congedo del viaggiatore cerimonioso

  • Tratto da Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee, 1965
  • Metro versi liberi, prevalentemente settenari e ottonari, raggruppati in nove strofe di diversa lunghezza. I versi sono legati da rime e assonanze senza uno schema fisso. La poesia è chiusa da un verso isolato, in rima con il precedente
L’autore

Giorgio Caproni nasce nel 1912 a Livorno, città la cui atmosfera marina ritornerà in molte sue poesie. Nel 1922 la famiglia si trasferisce a Genova: qui Caproni lavora come commesso, impiegato e, dopo il diploma magistrale, come maestro elementare, rinunciando alla carriera di violinista nell’orchestra del Teatro Regio di Torino. Nel 1936 muore la fidanzata Olga Franzoni, a pochi giorni dalle nozze. La crisi che ne segue viene superata grazie a Rina (Rosa Rettagliata), che Caproni sposa nel 1938. Sono di questi anni le prime raccolte: Come un’allegoria (1936) e Ballo a Fontanigorda (1938). Dopo l’8 settembre 1943 aderisce alla Resistenza e si unisce ai partigiani operanti sui monti fra l’Emilia e la Liguria. Nel frattempo escono presso l’editore Vallecchi di Firenze le poesie di Cronistoria (1943). Nel dopoguerra si stabilisce a Roma dove lavora, oltre che come maestro, come traduttore, specie dal francese, e collabora con giornali e riviste letterarie. I versi della sua fase matura sono raccolti in Il passaggio d’Enea (1956), Il seme del piangere (1959), (1965). Le sue ultime raccolte sono Il muro della terra (1975), Il franco cacciatore (1982), Il conte di Kevenhüller (1986) e, postuma, Res amissa (1991). Caproni muore a Roma nel 1990.

Il testo è forse la più celebre poesia di Caproni: un monologo di un viaggiatore che, giunto quasi alla fine di un lungo viaggio in treno, saluta i compagni. O, meglio, un monologo di un attore che, prima dell’uscita di scena, si accomiata dalla vita e dagli amici, tracciando un bilancio della propria esistenza.

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Audiolettura

Amici, credo che sia

meglio per me cominciare

a tirar giù la valigia.

Anche se non so bene l’ora

5      d’arrivo, e neppure

conosca quali stazioni

precedano la mia,

sicuri segni mi dicono,

da quanto m’è giunto all’orecchio

10    di questi luoghi, ch’io

vi dovrò presto lasciare.


Vogliatemi perdonare

quel po’ di disturbo che reco.

Con voi sono stato lieto

15    dalla partenza, e molto

vi sono grato, credetemi,

per l’ottima compagnia.


Ancora vorrei conversare

a lungo con voi. Ma sia.

20    Il luogo del trasferimento

lo ignoro. Sento

però che vi dovrò ricordare

spesso, nella nuova sede,

mentre il mio occhio già vede

25    dal finestrino, oltre il fumo

umido del nebbione

che ci avvolge, rosso

il disco della mia stazione.

Chiedo congedo a voi

30    senza potervi nascondere,

lieve, una costernazione.

Era così bello parlare

insieme, seduti di fronte:

così bello confondere

35    i volti (fumare,

scambiandoci le sigarette),

e tutto quel raccontare

di noi (quell’inventare

facile, nel dire agli altri),

40    fino a poter confessare

quanto, anche messi alle strette

mai avremmo osato un istante

(per sbaglio) confidare.


(Scusate. È una valigia pesante

45    anche se non contiene gran che:

tanto ch’io mi domando perché

l’ho recata, e quale

aiuto mi potrà dare

poi, quando l’avrò con me.

50    Ma pur la debbo portare,

non fosse che per seguire l’uso.

Lasciatemi, vi prego, passare.

Ecco. Ora ch’essa è

nel corridoio, mi sento

55    più sciolto. Vogliate scusare.)


Dicevo, ch’era bello stare

insieme. Chiacchierare.

Abbiamo avuto qualche

diverbio, è naturale.

60    Ci siamo – ed è normale

anche questo – odiati

su più d’un punto, e frenati

soltanto per cortesia.

Ma, cos’importa. Sia

65    come sia, torno

a dirvi, e di cuore, grazie

per l’ottima compagnia.


Congedo a lei, dottore,

e alla sua faconda dottrina.

70    Congedo a te, ragazzina

smilza, e al tuo lieve afrore

di ricreatorio e di prato

sul volto, la cui tinta

mite è sì lieve spinta.

75    Congedo, o militare

(o marinaio! In terra

come in cielo ed in mare)

alla pace e alla guerra.

Ed anche a lei, sacerdote,

80    congedo, che m’ha chiesto se io

(scherzava!) ho avuto in dote

di credere al vero Dio.


Congedo alla sapienza

e congedo all’amore.

85    Congedo anche alla religione.

Ormai sono a destinazione.


Ora che più forte sento

stridere il freno, vi lascio

davvero, amici. Addio.

90    Di questo, sono certo: io

son giunto alla disperazione

calma, senza sgomento.


Scendo. Buon proseguimento.


Giorgio Caproni, Poesie 1932-1986, Garzanti, Milano 1995

 >> pagina 196 

a TU per TU con il testo

Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, durante il cosiddetto “boom economico”, con il complessivo miglioramento dei servizi, il viaggio in treno diventa esperienza di massa. Per lavoro o per turismo, gli spostamenti degli italiani si fanno sempre più comuni e i treni si trasformano in luoghi di socializzazione. Passeggeri di provenienze varie, di differenti estrazioni e professioni, di diverse età si incontrano e stanno molte ore insieme creando così una comunità momentanea, basata su conversazioni e confidenze. Alla fine del viaggio, però, in un’epoca in cui la tecnologia ancora non favorisce i rapporti a distanza, a chi scende si dà, quasi sempre, un addio definitivo. La poesia prende spunto, con una singolare mescolanza di garbo, ironia e tristezza, da questa ordinaria situazione: il banale commiato di un ossequioso viaggiatore che, giunto alla sua destinazione, è pronto per scendere, diventa, però, qualcosa di più complesso. Il lettore si chiede: dove è veramente arrivato? E a chi sta veramente dicendo addio? Non lo sappiamo noi né il personaggio ce lo dice: l’unica certezza è l’angoscia sottile e l’inesprimibile inquietudine che si insinuano in noi e ci portano a riflettere sul significato simbolico di questo viaggio, così reale e, nello stesso tempo, così misterioso.

Analisi

La poesia dà il titolo alla raccolta da cui è tratta che, oltre al Congedo, contiene “altre prosopopee”. Questo termine deriva dal greco e indica, in letteratura, la figura retorica della personificazione: si fa parlare, come se fosse presente, qualcuno che è morto o non è mai esistito, o qualcosa di astratto e inanimato. In effetti, in questo testo il discorso non viene pronunciato, come normalmente accade nella poesia lirica, da un soggetto che esprime e confessa direttamente il proprio sentire: l’io lirico tradizionale è assente e abbiamo, al posto suo, una controfigura, un alter ego, una persona interposta tra chi scrive e chi legge. Il viaggiatore si presenta in tal modo alla stregua di un vero e proprio personaggio: come nella narrativa, o nel teatro, egli prende direttamente la parola e si rivolge al pubblico in un articolato monologo.

Ma attenzione: siamo veramente noi l’uditorio? Sono rivolti direttamente a noi lettori tutti i convenevoli e le cerimonie dell’uomo che sta per scendere dal treno? Non lo possiamo veramente dire: all’interno della finzione scenica, infatti, egli si rivolge agli astanti, i compagni di viaggio che, benché non parlino, si immaginano presenti. Abbiamo, infatti, un dottore (v. 68), una ragazzina (v. 70), un soldato (militare, v. 75), un prete (sacerdote, v. 79), con i quali il personaggio rievoca i momenti positivi e negativi del percorso effettuato insieme.

 >> pagina 197 

La poesia può essere letta secondo il suo senso letterale: il treno è veramente un treno, il disco (v. 28) della stazione è effettivamente il segnale di fermata, la valigia è il reale bagaglio del viaggiatore e nello scompartimento si trova un certo numero di passeggeri, benché tutti anonimi. Tuttavia c’è molto che non torna: perché, per esempio, il viaggiatore dovrebbe sprecare tante parole, per di più così emotivamente enfatiche, in una situazione tanto ordinaria? Com’è possibile che egli non sappia dove sta andando né conosca l’orario dell’arrivo? La costernazione (v. 31) che avverte nel salutare i compagni è dovuta solo alla sua gentilezza un po’ affettata o manifesta un’inquietudine più grave? Insomma, un’atmosfera di grande indeterminatezza avvolge – come il nebbione (v. 26) fuori dai finestrini – questo enigmatico viaggio.

È naturale dunque che, fin dai primi versi, abbiamo come l’impressione di essere di fronte a qualcosa di simbolico. Siamo, infatti, al cospetto di una lunga allegoria, il parlar figurato che, come dice l’etimologia greca, indica una cosa e ne significa un’altra. Il viaggio, come spesso accade in letteratura, va inteso come metafora della vita e la sua conclusione allude chiaramente alla morte. Molti segni del testo accreditano tale interpretazione: l’espressione Il luogo del trasferimento / lo ignoro (vv. 20-21) si riferisce ai dubbi sul destino umano dopo la conclusione dell’esistenza terrena; la valigia pesante (v. 44) è il bagaglio di esperienze e vicissitudini che ciascuno porta con sé; il saluto ai personaggi che hanno accompagnato il viaggiatore somiglia a un addio alle cose importanti della vita, come la sapienza (v. 83), l’amore (v. 84) o la religione (v. 85), ma anche la sensualità e la guerra. Che cosa lo attende dopo l’ultima stazione? Non c’è alcuna risposta sicura: rimangono solo il rimpianto di non poter più intrattenere relazioni con gli altri (Ancora vorrei conversare / a lungo con voi, vv. 18-19) e la certezza che è inutile opporsi al destino, al quale non ci si può che rassegnare (Ma sia, v. 19), in una disperazione / calma, senza sgomento (vv. 91-92).

Con il suo impianto fortemente teatrale, la poesia richiama alle nostre orecchie un’aria d’opera: i versi sono brevi, cantabili, sapientemente ritmati e, soprattutto verso la fine, fitti di anafore. D’altra parte, il tono è volutamente colloquiale e il lessico, discorsivo e quasi burocratico (luogo del trasferimento, v. 20, e nuova sede, v. 23, appartengono, per esempio, al linguaggio della pubblica amministrazione), è ironicamente ricco di stereotipate formule di cortesia.

Tali scelte formali, che conferiscono alla poesia un’atmosfera leggera e quasi disimpegnata, entrano però in conflitto, man mano che ci inoltriamo nella lettura, con il significato sempre più chiaramente drammatico del testo. In questa contrapposizione, tra l’agile scioltezza dell’espressione e la grave serietà del contenuto, risiede uno degli elementi di maggior fascino del componimento.

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Oltre al viaggiatore che pronuncia il lungo monologo del congedo, quali sono gli altri personaggi della scena narrata? Rispondono ai saluti del viaggiatore o rimangono in silenzio?


2. Quale oggetto scorge nella nebbia il viaggiatore, grazie al quale capisce di essere giunto alla sua stazione di arrivo?


3. Quale sentimento prova il viaggiatore al momento del congedo?

  • A Un forte rimpianto. 
    B Un grande dispiacere. 
  • C Una leggera afflizione. 
  • D Un’incontenibile gioia. 


4. Che cosa ripone il viaggiatore nel corridoio, per sentirsi più sciolto (v. 55)?


5. Il passeggero ricorda con piacere le conversazioni avute con i suoi compagni durante il viaggio, anche se esse non sono state prive di qualche aspra discussione, frutto di opinioni diverse: da quali versi desumiamo queste informazioni? Qual è la parola usata dal testo per indicare un’“aspra discussione”?


6. In che momento il viaggiatore si rende conto che è arrivato il momento dell’addio definitivo ai suoi compagni?

  • A Quando sente il fischio del capostazione. 
    B Quando sente più forte lo stridìo dei freni del treno. 
  • C Quando vede nella stazione il cartello che indica il nome della località di arrivo. 
  • D Quando vede alzarsi dai loro posti altri viaggiatori che scendono alla sua stessa stazione.

 >> pagina 198 

ANALIZZARE E INTERPRETARE

7. Il testo è costituito da un lungo monologo con il quale il passeggero di un treno si congeda dai suoi compagni di viaggio prima di scendere alla sua stazione di arrivo. Se il viaggio va inteso come metafora della vita, come va completata questa tabella di corrispondenze?


Significato letterale Significato metaforico
viaggio vita
valigia pesante  
compagni di viaggio  
compagni di viaggio  
compagni di viaggio  
nebbione  

8. A quali personaggi, precedentemente evocati nel testo, vanno rispettivamente associati la sapienza, l’amore e la religione da cui si congeda il viaggiatore ai vv. 83-85? Quale personaggio, anch’egli evocato nel testo, non compare invece in questa associazione simbolica?


9. Quale tra questi aggettivi non corrisponde al tono utilizzato dal viaggiatore nel pronunciare il suo congedo?

  • A Lieve. 
    B Malinconico. 
  • C Drammatico. 
  • D Colloquiale. 


10. Il viaggiatore scende dal treno senza alcun turbamento, in preda solo a una disperazione calma (vv. 91-92). Questo suggestivo accostamento di due termini che esprimono concetti opposti è una figura retorica che si chiama

  • A iperbole. 
    B ossimoro. 
  • C metafora. 
  • D sinestesia. 


11. Quali sono i motivi per cui il viaggiatore è dispiaciuto di dover scendere? Se il viaggio è da intendere allegoricamente come la vita, quali aspetti di essa il viaggiatore ama?


12. Quale rapporto con la religione ha il viaggiatore? È possibile affermare che il congedo dalla vita del viaggiatore è totalmente laico?

 >> pagina 199 

COMPETENZE LINGUISTICHE

13. Subordinazione. Le proposizioni concessive. Anche se non so bene […] e neppure conosca […] sicuri segni mi dicono (vv. 4-8). Questi versi contengono due proposizioni concessive introdotte dalla locuzione anche se, che di norma richiede l’indicativo; la seconda forma (e neppure conosca), quindi, non segue le regole della grammatica tradizionale. Le subordinate concessive – che esprimono un fatto o una circostanza in parziale contrasto con quanto affermato dalla reggente – sono seguite dal congiuntivo quando sono introdotte, in forma esplicita, dalle congiunzioni sebbene, benché, nonostante, malgrado, quantunque e da alcuni locuzioni congiuntive come per quanto, nonostante che, ecc. Scrivi quattro frasi che contengano una proposizione subordinata concessiva esplicita, due delle quali introdotte da anche se + indicativo e due da sebbene (o altra congiunzione) + congiuntivo.

PRODURRE

14. Scrivere per descrivere. Descrivi, in massimo 8 righe ciascuno, i personaggi da cui il viaggiatore prende congedo, facendo attenzione a inserire degli elementi dell’aspetto, dell’abbigliamento e dell’atteggiamento che li ricolleghino al corrispettivo significato allegorico.

SPUNTI PER DISCUTERE IN CLASSE

Ti sembra efficace l’immagine del viaggio in treno come allegoria della vita umana? E che cosa pensi del congedo del viaggiatore? Prepara una breve esposizione orale (circa due minuti).

Se ti è piaciuto…

Treni e canzoni

Caproni mette insieme le due più frequenti rappresentazioni del treno: una perfetta metafora del viaggio della vita e il migliore scenario per un addio. Ma se il viaggiatore cerimonioso si congeda lasciando uno scompartimento, nelle canzoni di solito qualcuno resta a terra e si dispera vedendo l’amato allontanarsi. Da questo punto di vista un classico della canzone italiana come Binario (1959) di Claudio Villa è del tutto simile a un grande successo dell’americano Bru­ce Springsteen, Downbound Train (1984).

La ferrovia ha inoltre una straordinaria capacità di evocare luoghi esotici, come nei Treni di Tozeur (1984) di Franco Battiato, in cui un villaggio del deserto tunisino situato nei pressi di un lago salato diventa un magnifico miraggio per chi si sente a disagio nella civiltà occidentale moderna.

Ma il treno ci può riportare anche a tempi lontani: una delle più amate canzoni di Francesco Guccini, La locomotiva (1972), racconta per esempio del gesto di un ferroviere anarchico, che nel primo Novecento lancia contro un treno di lusso la sua macchina a vapore, che per fortuna viene deviata su un binario morto.

L’emozione della lettura - edizione gialla - volume B
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Poesia e teatro