T2 - L’infinito (G. Leopardi)

T2

Giacomo Leopardi

L’infinito

  • Data di composizione 1819
  • Tratto da Canti, 1831
  • Metro endecasillabi sciolti
L’autore

Giacomo Leopardi nasce a Recanati nel 1798. Il padre, il conte Monaldo, è un uomo colto di ideologia reazionaria, mentre la madre, Adelaide Antici, possiede un carattere freddo e autoritario. L’istruzione del giovane viene inizialmente affidata a un precettore religioso, ma già dal 1812 Leopardi comincia un percorso da autodidatta, lanciandosi in uno «studio matto e disperatissimo» che gli conferisce una smisurata cultura, a prezzo, tuttavia, di pesanti ripercussioni sulla salute. Si dedica alla lettura di autori antichi e moderni, e approfondisce disparate discipline, tra cui l’astronomia, la filosofia, la filologia e le lingue. In questi anni avvia una ricca produzione letteraria e, intorno al 1819, in seguito a una crisi depressiva e a un tentativo fallito di fuggire da Recanati, sviluppa una matura consapevolezza esistenziale, che si traduce nella composizione di capolavori poetici come L’infinito. Nel 1822 lascia per la prima volta il borgo natale e soggiorna a Roma, da cui però rimane profondamente deluso. Nel 1830 decide di stabilirsi a Firenze dove trascorre il periodo più felice, anche grazie all’amicizia di Antonio Ranieri, un intellettuale napoletano. Nel 1831 escono i Canti, raccolta della sua produzione poetica che unisce un insuperabile talento poetico a una lucida e tormentata ricerca speculativa. Tra i suoi capolavori vanno però ricordati anche le Operette morali (1824), una serie di testi in prosa d’argomento filosofico, e lo Zibaldone, raccolta di appunti che documentano lo sviluppo del suo pensiero. Nel 1833 Leopardi si trasferisce a Napoli, dove muore nel 1837.

Il poeta contempla il panorama da una collina solitaria, ma una siepe ostruisce il suo sguardo. Provando a immaginare ciò che è nascosto ai suoi occhi, finisce preda di una vorticosa esperienza mentale, che lo porta a smarrirsi nell’immensità dell’infinito.

 Asset ID: 60593 (let-audlet-linfinito-g-leopardi80.mp3

Audiolettura

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,

e questa siepe, che da tanta parte

dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati

5      spazi di là da quella, e sovrumani

silenzi, e profondissima quiete

io nel pensier mi fingo; ove per poco

il cor non si spaura. E come il vento

odo stormir tra queste piante, io quello

10    infinito silenzio a questa voce

vo comparando: e mi sovvien l’eterno,

e le morte stagioni, e la presente

e viva, e il suon di lei. Così tra questa

immensità s’annega il pensier mio:

15    e il naufragar m’è dolce in questo mare.


Giacomo Leopardi, Canti, in Poesie e prose, vol. I, a cura di M.A. Rigoni, Mondadori, Milano 1987

 >> pagina 188 

a TU per TU con il testo

Secondo un consolidato e distorto luogo comune, L’infinito – una delle poesie italiane più famose in assoluto – sarebbe da mettere in relazione con l’esasperata sensibilità di Leopardi che, pessimista inguaribile, compensava sofferenze e dolori esistenziali con la genialità delle sue intuizioni. In realtà, questa lirica rappresenta ben di più: dimostra il bisogno, insito in chi l’ha scritta, di spaziare con l’immaginazione per godere di un’esperienza capace di offrirgli un “dolce” piacere fisico.

Proprio di questo si parla: il poeta non allude a un viaggio mistico, ma a un benessere reale provato dalla sua mente. Per questo fa riferimento a un “naufragio”: una sensazione che nasce da un’illusione creata dal pensiero (io nel pensier mi fingo, scrive) e che sa coinvolgere tutti i sensi oltrepassando la ristrettezza del mondo reale. Per quanto paradossale possa sembrarci, è proprio la coscienza della limitatezza della vita a costituire per Leopardi una possibilità di cui approfittare: non accontentarsi di una visuale ristretta e tentare di superare i confini che l’esistenza, la natura e la nostra imperfezione ci impongono è una sfida ambiziosa che dovrebbe animare tutti noi e che forse, inconsapevolmente, affrontiamo quando fantastichiamo a occhi aperti dinanzi alle angustie e ai vincoli del presente. L’intelligenza e la sensibilità sono le doti che abbiamo a disposizione per spingerci all’estremo confine delle nostre facoltà razionali, vincere le paure e ampliare la conoscenza di noi stessi e del mondo. Potremo così vivere un’esperienza meravigliosa, anche senza avere la capacità di descriverla come Giacomo Leopardi.

Analisi

Linfinito si apre con la brevissima descrizione di una collina e di una siepe che, ci viene detto al primo verso, l’io lirico ha particolarmente a cuore. Il luogo coincide nella realtà con il monte Tabor, una collina che sorge non lontano dalla dimora familiare di Recanati: l’avverbio Sempre (v. 1) lascia intendere che il soggetto protagonista lo abbia frequentato a lungo, sicuramente più di una volta. E lo frequenti ancora, come suggeriscono, a livello lessicale, gli aggettivi dimostrativi questo/quella. Da questo punto di osservazione (il colle) e grazie a un confine (la siepe) che delimita tale osservazione, impedendo la vista di buona parte dell’orizzonte, il poeta si lancia verso l’infinito, allontanandosi da una sensazione reale e sensibile per immergersi in un’immensità che si può percepire senza poterla abbracciare.

 >> pagina 189 

È la congiunzione avversativa Ma, collocata all’inizio del v. 4, a marcare lo stacco tra spazio circoscritto e spazio indefinito: la siepe sollecita l’io lirico a fantasticare; essa rappresenta una barriera con il mondo esterno, capace di innescare la fantasia e attivare un percorso mentale che porta a valicare i confini dello spazio, in luoghi senza fine, oltre i limiti umani. Non a caso, in questi versi, lo stile è estremamente movimentato ed evocativo: abbiamo, così, un uso sistematico dell’enjambement, l’impiego di parole lunghe (interminati, v. 4; profondissima, v. 6), una forte anastrofe con i complementi oggetto spazi (v. 5), silenzi e quiete (v. 6) anteposti in prolessi all’io che li immagina (io nel pensier mi fingo, v. 7). In questo improvviso vortice di immagini, il soggetto prova un senso di inebriante smarrimento, raggiungendo un piacere sconfinato, al limite della vertigine (per poco / il cor non si spaura, vv. 7-8).

Il v. 8, spezzato a metà dal punto fermo e dalla successiva congiunzione E, divide il componimento, aprendo la seconda parte della lirica. Che cosa succede? Mentre il poeta contempla l’infinito spaziale, a un certo punto viene distratto dallo stormire delle fronde. Tale sensazione – non più visiva ma uditiva – innesca una nuova esperienza interiore, riguardante la dimensione del tempo. Il frusciare del vento riporta il poeta alla realtà e alla riflessione sulle cose terrene, che nascono e muoiono. Allo stesso tempo, però, come la siepe gli aveva suggerito l’idea dell’infinito spaziale, così il passaggio da una sensazione acustica reale (come il vento / odo stormir, vv. 8-9) a un’altra indeterminata (infinito silenzio, v. 10) gli suscita l’idea dell’eternità, cioè di un infinito temporale, che grava sul presente e lo annulla (e mi sovvien l’eterno, / e le morte stagioni, e la presente / e viva, e il suon di lei, vv. 11-13).

Il poeta vive in tal modo uno stato d’animo lontano da ogni aggancio logico con la realtà: quasi dissolvendo la propria identità, egli è pronto ad “annegare” in un infinito che spegne la sua coscienza individuale, concedendogli al tempo stesso uno stato di grande, seppur breve, beatitudine. Non si tratta di un approdo religioso quanto piuttosto di un’esperienza mentale che coinvolge le facoltà sensoriali, immergendole nel mare (v. 15) degli spazi siderali dell’universo e dell’eternità. Per questa ragione il naufragar è dolce (v. 15): il pensiero umano non può abbracciare il tutto, ma ne è completamente soverchiato, come se fosse un nuotatore disperso nell’oceano e prossimo all’annegamento. Gli ultimi due aggettivi dimostrativi questa/questo non si riferiscono più, quindi, a dati oggettivi, come all’inizio della lirica, ma alla conquista del paesaggio irreale, di quell’appagante sensazione di annullamento in un’immensità percepita come una dimensione presente e vicina.

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. In tutto il componimento ci sono solo tre oggetti che l’io lirico è in grado di vedere concretamente: tutto il resto appartiene all’immaginazione. Quali sono questi oggetti?


2. Con quale espressione metaforica il poeta indica il passato?


3. La prima sensazione che l’io lirico prova immaginando l’infinito è di

  • A gioia. 
    B ansia. 
  • C terrore. 
  • D smarrimento. 


4. Dopo la prima immersione nel pensiero dell’infinito, il poeta è richiamato alla realtà dal

  • A frusciare delle foglie. 
    B fischio del vento. 
  • C verso degli uccelli. 
  • D rumore del mare. 


5. La sensazione della completa immersione nell’infinito è

  • A uno spaventoso annegamento. 
    B un mortale abbandono. 
  • C un gioioso sprofondamento. 
  • D un dolce naufragio.

 >> pagina 190 

ANALIZZARE E INTERPRETARE

6. Elenca tutti gli elementi che rendono piacevole l’esperienza del naufragio nell’immensità.


7. La sensazione dell’infinito nasce anche dalla percezione di ciò che è vicino e di ciò che è lontano. Individua nel testo gli aggettivi questo e quello: che cosa l’io lirico sente lontano o vicino? Esponi le tue considerazioni.


8. Il componimento potrebbe essere diviso in tre momenti distinti, così riassumibili: vista (esperienza reale) → immaginazione → riflessione. In quale verso, e con quale espressione, comincia il processo immaginativo? E dove inizia invece il momento della riflessione?


9. Qual è la sensazione che più di ogni altra spaura (v. 8) il cuore del poeta?

  • A L’immaginazione di uno spazio infinito. 
    B L’immaginazione di un tempo interminabile. 
  • C L’immaginazione di un silenzio sovrannaturale. 
  • D L’immaginazione di una morte imminente.

COMPETENZE LINGUISTICHE

10. Coordinazione e subordinazione. I vv. 11-13 (…e mi sovvien […] e il suon di lei) sono caratterizzati dall’uso ripetuto della congiunzione e. Questo espediente, utilizzato di norma per rallentare il ritmo del verso, è una figura sintattica che si chiama

  • A polisindeto. 
    B asindeto. 
  • C poliptoto. 
  • D asintoto. 


11. Prefissi. La preposizione (e avverbio) sopra- e la sua variante sovra- trovano largo impiego nella nostra lingua come prefissi per la formazione di numerose parole composte (verbi o sostantivi), con molteplici significati. Nell’aggettivo sovrumano (vv. 56, sovrumani silenzi) quale tra questi significati suggerisce il prefisso?

  • A Che è posto sopra l’umano. 
    B Che è molto umano. 
  • C Che trascende, che va al di là dell’umano. 
  • D Che è compreso in tutto ciò che è umano.

PRODURRE

12. Scrivere per esprimere. Quali sensazioni suscita in te il pensiero dell’infinito? Ci sono stati dei momenti o delle situazioni in cui ti è parso di “naufragare dolcemente” con la mente? Ricordali in un testo di massimo 20 righe.

SPUNTI PER DISCUTERE IN CLASSE

Le esigenze della vita moderna sono numerose, tassative, pressanti. Quali spazi restano alla riflessione?

L’emozione della lettura - edizione gialla - volume B
L’emozione della lettura - edizione gialla - volume B
Poesia e teatro