T4 - Autopsicografia (F. Pessoa)

T4

Fernando Pessoa

Autopsicografia

  • Tratto da “Presença”, 1932
  • Lingua originale portoghese
  • Metro tre quartine di versi liberi
L’autore

Fernando Pessoa nasce a Lisbona nel 1888. Orfano di padre dall’età di sette anni, emigra con la famiglia a Durban, in Sudafrica, per poi tornare nella capitale portoghese nel 1905. Qui, abbandonati gli studi, lavora come traduttore e corrispondente commerciale, sfruttando la perfetta conoscenza della lingua inglese. Coltiva svariati interessi: l’economia, la politica, la pubblicità, ma anche l’occultismo, che lo appassiona. Inoltre partecipa a vari circoli letterari, dirige la rivista “Orpheus”, ma pubblica pochissimi versi propri, quasi tutti in inglese. L’unica raccolta poetica edita in portoghese, Messaggio, esce nel 1934. Dopo la morte precoce, avvenuta nel 1935 per cirrosi epatica (Pessoa era un forte bevitore), si scopre nella sua casa un baule contenente ricchissimi materiali. Inizia così l’esplorazione – non ancora terminata – di un’opera poetica vasta e affascinante.

Un’autobiografia condensata in soli 12 versi? Non proprio: Pessoa sostituisce il termine “bio” (vita) con “psico” (mente). In effetti non racconta eventi esteriori, ma i processi mentali che intervengono nell’atto della creazione. Anche fingendo, il poeta riesce a suscitare emozioni in sé e nel lettore.

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Audiolettura

Il poeta è un fingitore.

Finge così completamente

che arriva a fingere che è dolore

il dolore che davvero sente.


5      E quanti leggono ciò che scrive,

nel dolore letto sentono proprio

non i due che egli ha provato,

ma solo quello che essi non hanno.


E così sui binari in tondo

10    gira, illudendo la ragione,

questo trenino a molla

che si chiama cuore.


Fernando Pessoa, Una sola moltitudine, vol. I, trad. di M.J. de Lancastre e A. Tabucchi, Adelphi, Milano 2005

 >> pagina 105 

a TU per TU con il testo

Che cosa chiediamo a un poeta? Innanzitutto di essere sincero, risponderebbero in molti. Di esprimere nel modo più intenso e immediato possibile i moti del suo cuore. Ma nel fare questo una componente di finzione è inevitabile, sostiene Pessoa (teniamo presente che il termine “finzione” deriva dal verbo latino fingere, che significa “creare”, “plasmare”, “immaginare”). Ognuno crea con i materiali a sua disposizione: e come si può pensare che uno, cento o mille versi esauriscano l’infinita complessità dell’animo umano? Leggendo i Canti di Leopardi o ascoltando un album di Vasco Rossi ci facciamo un’idea della loro personalità. Certo saremmo piuttosto sorpresi se qualcuno scoprisse che il poeta di Recanati in realtà è stato uno spensierato mattacchione e il cantautore emiliano un oscuro ragioniere tutto casa e chiesa. Non è così, naturalmente. Ma se mai potessimo conoscerli, presto ci renderemmo conto che solo in parte corrispondono allo stereotipo che ci siamo costruiti leggendo i versi dell’uno o ascoltando le canzoni dell’altro. Il poeta è un fingitore, per necessità: non un bugiardo.

Analisi

Nel corso della sua vita Pessoa inventò innumerevoli eteronimi, personaggi d’invenzione ai quali attribuiva i suoi versi, dotandoli di una precisa biografia (con tanto di data di nascita e di morte), un aspetto esteriore, idee politiche e uno stile personale. Ecco dunque l’ingegnere Álvaro de Campos, fiammeggiante poeta futurista; Ricardo Reis, latinista e medico, cantore della natura; Alberto Caeiro, poeta contadino e filosofo; e ancora Bernardo Soares, António Mora e tanti altri (centotrentasei, secondo i conteggi più accreditati). Tutte maschere, che colgono un aspetto della poliedrica ed enigmatica sensibilità di Pessoa. Ciò vale anche per Autopsicografia, firmata con il suo vero cognome, Pessoa, che del resto in portoghese significa genericamente “persona”, e sembra perciò suggerire l’inesauribile capacità di riplasmarsi del suo possessore. Qualunque cosa scriva, il poeta deve fare appello all’immaginazione. Ma non si tratta di un inganno: tale è il suo trasporto nel processo creativo, che arriva a coinvolgere nella finzione il dolore che davvero sente (v. 4).

Con una sintassi semplice, senza usare termini ricercati, Pessoa descrive il complesso gioco di specchi innescato dalla poesia. La seconda quartina introduce la figura del lettore. Anch’egli è un fingitore. A ben vedere, infatti, non viene a contatto con nessuno dei dolori provati dal poeta (v. 7), quello vero e quello finto, e neppure con il dolore che patisce nella propria vita reale. L’emozione che prova non ha radici nella realtà, ma non per questo è meno intensa. Il lettore prende a prestito stati d’animo attribuiti a qualcun altro, qualcuno magari neppure esistito, e lascia che questi stati d’animo lo investano con la forza di una tempesta. Può capitare così di piangere leggendo versi scritti in un altro tempo, in un’altra lingua, da uno sconosciuto che sentiamo più vicino a noi dei nostri amici più stretti.

Pessoa chiude il componimento sulla parola cuore, ma lo fa senza attribuirgli enfasi. Con affettuosa ironia lo paragona infatti al giocattolo di un bambino: un trenino a molla (v. 11) che gira in tondo all’infinito sui binari, illudendo la ragione (v. 10). Sedotti dalle immagini della poesia, scordiamo le nostre sofferenze, o le riconosciamo in quelle degli altri, alleviando così la solitudine della condizione umana. Come ha scritto un altro scrittore portoghese, il premio Nobel José Saramago, «Fernando Pessoa non riuscì mai a essere davvero sicuro di chi fosse, ma grazie al suo dubbio possiamo riuscire a sapere un po’ di più chi siamo noi».

 >> pagina 106 

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Il poeta finge

  • A di non provare dolore. 
    B di provare un dolore che esiste. 
  • C di provare un dolore che non esiste. 
  • D di essere un poeta. 


2. Quando leggono, i lettori sentono

  • A che il poeta finge il proprio dolore. 
    B il dolore reale del poeta. 
  • C il proprio dolore. 
  • D dolori che non hanno mai provato prima. 


3. Chi o che cosa viene illuso?

  • A Il poeta. 
    B Il lettore. 
  • C La ragione. 
  • D Il cuore. 


4. Qual è il soggetto del verbo gira (v. 10)?

  • A Il poeta. 
    B La ragione. 
  • C Il trenino. 
  • D Il cuore. 

ANALIZZARE E INTERPRETARE

5. Su quale figura retorica è costruita la prima strofa?

  • A Anafora. 
    B Poliptoto. 
  • C Accumulazione. 
  • D Sinestesia. 


Quali parole sono coinvolte?


6. Se il lettore riesce a provare dolori che non ha, quale può essere, allora, la funzione della poesia?


7. Quale rapporto tra cuore e ragione viene delineato nell’ultima strofa?

COMPETENZE LINGUISTICHE

8. Coordinazione e subordinazione. Distingui, tra i numerosi che presenti nel breve componimento, quali sono congiunzione, quali pronome relativo soggetto e quali pronome relativo complemento oggetto.


 

Congiunzione

Pronome relativo soggetto

Pronome relativo complemento oggetto

v. 3 che arriva a fingere

     

v. 3 che è dolore

     

v. 4 che davvero sente

     

v. 5 ciò che scrive

     

v. 7 che egli ha provato

     

v. 8 che essi non hanno

     

v. 12 che si chiama cuore

     

PRODURRE

9. Scrivere per argomentare. Che differenza c’è tra “finzione” e “bugia”? Argomenta la tua opinione con esempi opportuni (massimo 20 righe).


10. Scrivere per argomentare. Secondo l’opinione comune, la poesia è l’espressione diretta e sincera di idee, emozioni e percezioni del poeta: ti sembra che sia la stessa concezione che Pessoa fa emergere in questo componimento? Esponi le tue considerazioni (massimo 15 righe).

L’emozione della lettura - edizione gialla - volume B
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Poesia e teatro