Il piccolo Dombey (C. Dickens)

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Charles Dickens

(Portsmouth 1812-Higham 1870)

Il piccolo Dombey

  • Tratto da Dombey e figlio
  • Titolo originale Dombey and Son, 1846-1848
  • Lingua originale inglese
  • romanzo

Il piccolo Dombey vive con suo padre, ricco e altero impresario del settore dei trasporti, dopo che la madre è morta per le complicazioni seguite al parto. Privato dell’affetto di una simpatica balia, una popolana ingiustamente licenziata, il bambino diventa gracile e cagionevole. Il padre decide così di correre agli estremi rimedi, sottoponendolo a un’educazione che ne tempri l’anima e il corpo.

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Audiolettura

Attraverso lo svezzamento1 ci dobbiamo passare tutti.
Dopo che nella vita del piccolo Dombey quell’aspra
stagione2 fu passata, si fece strada la sensazione
che, malgrado ogni possibile attenzione e cura, un 

5      ragazzo bello florido non lo sarebbe diventato mai.

Nella sua corsa a ostacoli verso la virilità,3 risultò arduo
stare in sella. Ogni dente rappresentò una siepe
da saltare a rotta di collo,4 e ogni pustola del morbillo
un muro di pietre. Un qualche uccello rapace gli si

10    ficcò in gola e ogni attacco di tosse canina lo mandò
gambe all’aria: perfino i cuccioli divenuti aggressivi
– ammesso che ci sia un legame con la malattia
infantile a cui prestano il nome –, lo angosciarono
come fossero feroci molossi.5

15    Crebbe fino ad avere quasi cinque anni. Un tipetto grazioso,
ma con qualcosa di esangue6 e assorto
in viso, che induceva la bambinaia a scuotere sconsolata
la testa, e a dire che sembrava un vecchietto.

Certe volte era allegro come tutti i bambini; ma

20    poi aveva un suo modo strano, bizzarro, riflessivo,
di star seduto a rimuginare7 nella sua poltroncina;
erano le volte che assomigliava nell’aspetto (e nelle
parole) a uno di quegli spaventosi minuscoli Esseri
delle fiabe, che a centocinquanta o duecent’anni 

25    rappresentano fantasticamente i bambini ai quali
si sono sostituiti. L’occasione che infallibilmente
lo sprofondava in questo stato d’animo era quando
– trasferita la poltroncina dabbasso,8 in camera del
padre – sedeva insieme a lui dopo cena accanto al 

30    fuoco.

In una di queste occasioni, erano rimasti entrambi
perfettamente quieti per un bel po’, e Dombey sapeva
che il bambino era sveglio, poiché occasionalmente
gli guardava gli occhi, dove il fuoco luccicava 

35    come un gioiello; a un certo punto il piccolo Paul
interruppe il silenzio a questo modo:

«Papà! cos’è il denaro?».

Dombey si trovò in difficoltà; perché avrebbe voluto
dargli spiegazioni che implicassero termini quali 

40    mezzo di scambio, valuta,9 svalutazione,10 cartamoneta,
lingotti, tasso di cambio,11 valore di mercato
dei metalli preziosi e così via: ma chinando lo sguardo
sulla seggiolina, e vedendo com’era piccola, rispose:
«Oro e argento e rame. Ghinee, scellini, mezzi pence.12 

45    Sai cosa sono?».

«Sì, certo, lo so cosa sono. Non è questo che voglio dire, papà; voglio
dire, cos’è il denaro dopo tutto?».

«Cos’è il denaro dopo tutto!».

«Cos’è che può fare?».

50    «Vedrai che col tempo lo capisci, ometto mio. Il
denaro, Paul, può fare qualunque cosa».

«Non è crudele, vero?».

«No. Una cosa buona non può essere crudele».

«Dato che sei così ricco, se il denaro può fare qualunque 

55    cosa e non è crudele, mi chiedo perché non
mi ha salvato la mamma. E neanche a me mi fa star
bene o mi dà forza. Certe volte sono così stanco e le
ossa mi fanno così male che non so cosa fare!».

Lo strano bambino mise in apprensione Dombey, 

60    il quale conseguentemente decise di mandarlo
a Brighton, accompagnato da sua sorella Florence e da
una bambinaia
, a pensione da una certa Pipchin –
una signora anziana che si era fatta una gran fama
nella “organizzazione e gestione” dell’infanzia; e il 

65    segreto del suo programma stava nel dare ai bambini
tutto quello che detestavano e niente di ciò che
amavano.

Una gran fama, quella di Pipchin, che poggiava
anche sulla sua condizione di vedova di un marito 

70    che si era spaccato il cuore pompando acqua in una
qualche miniera peruviana. Questa, per Dombey,
era una raccomandazione di prim’ordine. Perché
suonava bene. Si era spaccato il cuore nelle miniere
peruviane, meditava Dombey. Beh! un modo più rispettabile 

75    non poteva trovarlo.

La rinomata Pipchin era una vecchia signora decisamente
sgraziata e malandata, con la schiena curva
e la faccia a chiazze come marmo di scarto, un naso
a uncino, duri occhi grigi che sembravano martellati 

80    su un’incudine. Dovevano essere passati almeno quarant’anni
da quando le miniere peruviane avevano
causato la morte del signor Pipchin, ma il suo relitto13
vestiva tuttora di nero, misto lana. Ed era una vecchia
signora talmente esacerbata14 da indurre il sospetto su 

85    un possibile errore nell’applicazione dei macchinari
peruviani, perché pareva che le pompe, più che operare
nelle miniere, avessero prosciugato in lei le acque
della gioia e il latte dell’umana gentilezza.

Il castello dell’Orchessa si trovava in un ripido 

90    vicolo di Brighton, dove i giardinetti sul davanti
delle case esibivano l’inesplicabile proprietà di
produrre a profusione calendule, qualunque fosse
stata la semina; e dove le lumache si abbarbicavano15
con la caparbietà di ventose a portoni e superfici 

95    pubbliche che non era affar loro adornare.

In casa c’erano altri due piccoli pensionanti16
quando Piccolo Dombey (chiamato così la prima
volta da Pipchin
) arrivò. Uno era un certo signorino
Bitherstone venuto dall’India, l’altra una tal signorina 

100 Pankey. Quanto a Bitherstone, contestava a tal
punto il sistema pipchiniano, che, neanche cinque
minuti dopo l’arrivo di Dombey, aveva già chiesto
al giovane gentiluomo se era in grado di fornirgli
qualche indicazione confidenziale sulla via per 

105 tornare in Bengala. Quanto a Pankey, lei non era
in condizione di esprimere alcunché, trovandosi
in isolamento punitivo per aver tirato su col naso
 tre volte in presenza di ospiti. All’una, questa personcina
(un mite scricciolo di bimba con gli occhi 

110 azzurri, che lavavano vigorosamente ogni mattina
rischiando di farla sparire del tutto a furia di strofinare)
fu prelevata dalla reclusione, condotta a
pranzo dall’Orchessa in persona, e messa a parte
della regola che in Paradiso non ci andava in nessun 

115 caso chi tirava su col naso in presenza di ospiti. Quando
questa grande verità le fu inculcata ben bene, le
venne consentito di banchettare con del riso, mentre
tutti gli altri ebbero maiale freddo – tranne Pip­chin,
la cui costituzione necessitava di cibo caldo; 

120 pertanto mangiò fumanti braciole di montone, che
profumavano deliziosamente. Anche all’ora del tè
la costituzione della benevola signora abbisognava
di fette ben calde di pane abbrustolito, mentre gli
altri mangiavano pane e burro.

125 La mattina successiva, dopo colazione, Bitherstone
lesse a voce alta una genealogia17 da Genesi18
(giudiziosamente selezionata da Pipchin), attraversando
l’elenco dei nomi con l’agilità e la destrezza di un giovane
gentiluomo che si inerpicasse su una ruota da mulino 

130 ruzzolando all’insù. Dopodiché Pankey fu allontanata
per il solito lavaggio, e Bitherstone per un qualche
trattamento a base di acqua salata, da cui tornava
ogni volta molto blu e avvilito. Poi c’erano le Lezioni.
Siccome nel sistema educativo di Pipchin dominava 

135 l’idea che la mente di un bambino non andava
incoraggiata a svilupparsi come un bocciolo,19 ma
doveva essere spalancata a forza come un’ostrica, la
morale di tutte le sue lezioni aveva un carattere feroce
e stupefacente: l’eroe – invariabilmente un bambino 

140 cattivo – anche nella più mite delle catastrofi,
finiva fatto a pezzi almeno da un leone o da un orso.


Charles Dickens, Dombey e Figlio, in Readings, a cura di M. Sestito, Marsilio, Venezia 2012

Come continua

La nuova residenza del piccolo Dombey, gestita con pugno di ferro dalla sgradevole vedova, è in tutto simile a una prigione: la signora Pipchin, infatti, si comporta in modo violento e crudele con i suoi educandi, tra cibo di second’ordine e percosse “a fin di bene”. Le condizioni fisiche del piccolo Dombey peggiorano ulteriormente, finché il padre – sempre spinto dall’ottusità e dall’egoismo – lo sposta in una costosa scuola privata, per accelerare la sua crescita e prepararlo a gestire al più presto gli affari di famiglia. Circondato da compagni di scuola alienati e strambi, il giovane si getta in uno studio disperato e frenetico che ben presto gli darà il colpo di grazia.

L’emozione della lettura - edizione gialla - volume A
L’emozione della lettura - edizione gialla - volume A
Narrativa