T5 - L'avventura tra i Ciclopi

T5

L’avventura tra i Ciclopi

  • Tratto da Odissea, libro IX, vv. 212-223, 250-306, 343-414, 437-460 (in traduzione: vv. 290-306, 341-415, 464-562, 592-624)

Mentre Nausicaa fa ritorno a casa per proprio conto, Odisseo giunge al palazzo di Alcinoo, restando colpito dalla bellezza del luogo: ammira, per esempio, il giardino, dove gli alberi non cessano mai di dare frutti. Festosamente accolto dalla regina Arete, cui si rivolge supplice, ottiene l’aiuto che richiedeva, cioè un compagno con il quale tornare a Itaca. Il giorno successivo si svolgono dei giochi in onore dell’ospite. Durante il banchetto serale, tuttavia, Odisseo si commuove ascoltando il canto dell’aedo Demodoco sul cavallo di Troia ed è invitato da Alcinoo a rivelare la sua vera identità e a raccontare il suo viaggio di ritorno da Troia. L’eroe racconta così, in un lungo flashback, tutto ciò che gli è accaduto prima dell’arrivo a Scheria.

Dopo aver saccheggiato Ismaro, in Tracia, capitale del popolo dei Ciconi, Odisseo sbarca nella terra dei Lotofagi, i mangiatori di loto. Questi ultimi offrono agli stranieri il frutto che coltivano, il loto, che causa dimenticanza: Odisseo è così costretto a portare con la forza i compagni alle navi, dimentichi del desiderio di ritorno a casa. L’avventura successiva è quella presso i Ciclopi, esseri mostruosi con un solo occhio sulla fronte, che non coltivano piante e non hanno né leggi né un’organizzazione sociale: vivono ciascuno in una grotta lontana dalle altre e non praticano il commercio. Dopo l’approdo nel porto naturale di un’isola dell’arcipelago, Odisseo attende l’alba insieme ai compagni dormendo sulla riva del mare. Avuta prova del fatto che l’isola vicina è abitata, il giorno successivo fa rotta con la sua nave in direzione di quella, lasciando tutte le altre al sicuro. Giunto in prossimità della costa, nota in lontananza la grotta di un ciclope, Polifemo; ordina così ai compagni di rimanere sulla nave, mentre lui con i dodici più fidati si incammina verso la spelonca, portando con sé un otre di vino di Ismaro e cibo in gran quantità.

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Audiolettura

290 «Un grande otre portai di questo vino

soave, e un sacco pieno di vivande:

perché d’istinto presagì il mio cuore

che dovevamo imbatterci in un uomo

vestito di gran forza, empio, selvaggio

295 e ignaro del diritto e di ogni legge.

Presto giungemmo alla spelonca, e dentro

non lo trovammo: conduceva al pascolo

le mandrie pingui. Entrati nella grotta,

guardavamo ogni cosa con stupore:

300 di formaggi i graticci erano colmi,

e i recinti stipati di capretti,

di agnelli, per età divisi in gruppi:

primi nati di qua, di là mezzani

e i più teneri a parte. Tutti i vasi

305 di latte traboccavano, e le secchie,

le conche ben tornite in cui mungeva».

I compagni propongono a Odisseo di prendere il formaggio dall’antro e fuggire via, ma Odisseo ha il desiderio di mettere alla prova l’ospitalità del Ciclope. Una volta tornato con la mandria, Polifemo chiude l’antro con un macigno, munge le pecore e le capre, fa cagliare metà del latte e lo depone in canestri, mentre mette l’altra metà nei vasi per poterlo bere. Acceso il fuoco, si accorge della presenza degli stranieri.

«Quando poi con premura ebbe sbrigato

queste faccende, allora accese il fuoco,

ci vide, e “Forestieri – urlò – chi siete?

Da dove, per le salse acque, venite?

345 Girate il mondo per affari, o a caso

come i pirati, che qua e là sul mare

vagano e a rischio pongono la vita

per nuocere alle genti d’altre terre?”

Ci assalì lo sgomento a quella voce

350 cavernosa, e l’aspetto gigantesco

del mostro ci spezzò subito il cuore.

Tremavo anch’io, ma gli risposi e dissi:

“Noi da Troia veniamo, Achei sbalzati

da tutti i venti sopra il vasto abisso

355 del mare; e per diverse vie, per altri

cammini deviammo, andando in patria:

certo a Giove così piacque disporre.

Il nostro vanto è d’essere guerrieri

di Agamennone Atride, la cui fama

360 sotto il cielo è vastissima: una tale

città distrusse e molte genti uccise;

qui venuti, gettandoci ai tuoi piedi,

ti preghiamo di offrirci l’accoglienza

che agli ospiti è dovuta o un altro dono.

365 Temi, o fortissimo, gli dèi: noi siamo

supplici a te. Vendicatore è Giove

di supplici e stranieri, l’ospitale

Giove che li accompagna e li fa sacri”.

Dissi; e subito a me, spietato in cuore,

370 quello rispose: “O sciocco sei, straniero,

o arrivi da lontano, se a temere

gli dèi mi esorti, e ad evitarne l’ira:

di Giove egioco e degli dèi beati

non curano i Ciclopi, poiché siamo

375 molto più forti. E per sottrarmi all’ira

di Giove, io non risparmio i tuoi compagni

né te, se non lo vuole il mio capriccio.

Ma parla: giunto qui, dove ancorasti

la bella nave, ad un estremo lembo

380 di terra, o più vicino? Ch’io lo sappia”.

Disse, per raggirarmi; ma il suo gioco

non mi sfuggì (sono del mondo esperto)

e risposi a mia volta, con l’inganno:

“La nave, me l’ha infranta Poseidone,

385 l’Enosigeo, sbattendola tra gl’irti

scogli, ai confini della vostra terra;

contro un dirupo la gettò, dal largo

la spinse il vento, e all’improvvisa morte

scampai con questi io solo”. Dissi; nulla,

390 spietato in cuore, il mostro mi rispose,

ma d’un balzo allungò sui miei le mani

e due ne prese a un tempo e li sbatteva

come cuccioli al suolo; le cervella

sparse qua e là bagnavano il terreno.

395 Li fece a brani, e s’imbandì la cena:

mangiò come un leone di montagna

voracemente, i visceri e le carni

tenere, le ossa e tutte le midolla.

Noi tra il pianto le mani alzammo a Giove

400 sopraffatti, vedendo il crudo scempio.

Il Ciclope, riempito il suo gran ventre

mangiando carne umana e puro latte

tracannatovi sopra, in mezzo al gregge

tutto disteso dentro l’antro giacque.

405 Io pensai nel magnanimo mio cuore

di avvicinarmi e, tratta l’affilata

spada dal fianco, di ferirlo al petto

dove si appoggia il fegato al diaframma,

tastando con la mano; ma un diverso

410 pensiero mi trattenne: anche noi morti

saremmo poi là dentro in modo atroce,

poiché dall’alto ingresso non avremmo

potuto mai spostare il gran macigno

che vi pose davanti. E aspettavamo

415 così, piangendo, la divina Aurora».

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Il giorno successivo Polifemo, dopo aver ucciso e mangiato altri due uomini, conduce le mandrie al pascolo, stando ben attento a chiudere l’ingresso della grotta con lo stesso macigno (v. 413). Odisseo ne approfitta per elaborare un piano: aiutato dai compagni, prende il tronco di un ulivo che Polifemo conservava nella grotta, lo rende liscio e appuntito, indurendo la punta sul fuoco, e quindi lo nasconde. Quando si avvicina la sera, il Ciclope torna di nuovo nella spelonca, dove svolge le sue mansioni rituali, mungendo le pecore e le capre.

«Dopo che con premura ebbe sbrigato

465 queste faccende, egli afferrò di nuovo

due miei compagni e s’imbandì la cena.

Non mi arresi; e, accostandomi al Ciclope,

gli dissi (avevo in mano una gran tazza

di nero vino): “Su, Ciclope, il vino

470 bevi, ora che mangiasti carne umana,

perché della bevanda che il mio scafo

teneva in serbo, la bontà tu sappia.

Avrei voluto offrirtelo, se in patria –

mosso a pietà – mi avessi rimandato:

475 ma vedo che tu sei pazzo furioso.

Crudele, chi dei tanti esseri umani

potrà venire qui da te, in futuro?

Non ti comporti in modo degno!“ Quello

prese la tazza e tracannò d’un fiato,

480 provando tanto gusto a bere il dolce

vino, che me ne chiese un’altra volta:

“Dammene ancora, te ne prego; dimmi

qual è il tuo nome, e ti offro un ospitale

dono, di cui tu possa rallegrarti.

485 Vino la fertile terra ai Ciclopi

produce da grosse uve, e con la pioggia

Giove le nutre: ma un ruscello è questo

di nettare e ambrosia!” Egli diceva:

e di nuovo io gli porsi il rosso vino,

490 gliene diedi e portai tre volte: quello

tre volte bevve, nella sua stoltezza.

Quando il vino alla testa del Ciclope

salì, rivolsi a lui dolci parole:

“Il mio nome è famoso: vuoi saperlo,

495 Ciclope? E io te lo dirò; ma in cambio

dammi il dono ospitale che hai promesso.

Il mio nome è Nessuno; padre e madre,

tutti così mi chiamano: Nessuno”.

Dissi e spietata fu la sua risposta:

500 ”Per ultimo io divorerò Nessuno

tra i suoi compagni, tutti gli altri prima:

e sarà questo il mio dono ospitale”.

Si rovesciò all’indietro, e con la grossa

testa piegata sulla spalla, a terra

505 giacque supino; poi lo vinse il sonno

che tutto doma, e dalla gola interi

pezzi di carne umana e nero vino

ruttando vomitava, ebbro, il Ciclope.

Allora io spinsi il palo sotto un mucchio

510 di brace, al punto che si arroventasse;

tutti i compagni incoraggiai, temendo

che uno, atterrito, si tirasse indietro.

Quando il palo di ulivo, benché verde,

stava nel fuoco ormai per infiammarsi

515 e orrendamente ardeva, io più vicino

lo portai, tràttolo dal fuoco; intorno

mi stavano i compagni: certo il grande

coraggio un dio nell’animo ci infuse.

Quelli, afferrato il palo, tutti insieme

520 la punta aguzza infissero nell’occhio;

premendo dal di sopra, io lo ruotavo

come un uomo che fora asse di nave

col trapano, altri sotto con la cinghia

lo girano, tirando un capo e l’altro;

525 corre il trapano sempre, assiduamente:

così dentro il suo occhio l’infuocato

palo noi ruotavamo, e intorno a quello

che ruotava, colava il sangue caldo.

Tutta intera la palpebra e le ciglia

530 bruciò la vampa; ardeva la pupilla

friggendo, al fuoco, fino alle radici.

E come quando un fabbro una gran scure

o un’accetta, che manda un alto strido,

nell’acqua fredda immerge, per temprarla,

535 e maggiore durezza acquista il ferro:

così strideva l’occhio intorno al palo.

Un lungo urlo lanciò, tremendo: tutta

la roccia ne echeggiava; noi sgomenti

balzammo indietro; ed egli il palo intriso

540 di molto sangue strappò via dall’occhio,

lontano lo scagliò, folle annaspando.

Poi chiamava a gran voce altri Ciclopi

che abitavano intorno, in grotte sparse

su per le ventose balze. Alle sue grida

545 chi di qua, chi di là corsero; e fuori

dall’antro si fermarono, chiedendo

che male lo affliggesse: “O Polifemo,

quale tormento hai tu che nella placida

notte gridi così, ci togli il sonno?

550 Forse qualcuno ha voglia di rubarti

le greggi, e tu non vuoi? Forse qualcuno

con l’inganno ti uccide o con la forza?”

Dall’antro a loro il forte Polifemo

gridava: “Amici, vuole con l’inganno,

555 non con la forza, uccidermi Nessuno”.

“Se nessuno ti offende e tu sei solo –

risposero – non puoi schivare un male

che ti viene dal grande Giove: allora

supplica Poseidone, il re tuo padre”.

560 Dicendo, se ne andarono; e il mio cuore

rise, perché li aveva il falso nome

e la fine ironia tratti in inganno!»

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Una volta accecato il Ciclope, Odisseo mette a punto una soluzione per uscire dall’antro: unisce i montoni a gruppi di tre con lacci di vimini e lega un compagno al sottopancia di quello al centro. Quando Polifemo rimuove il masso che ostruisce l’apertura della grotta per mandare le greggi al pascolo non si accorge dell’inganno, perché accarezza, prima che escano, solo i montoni posti ai lati, senza controllare il ventre dell’animale al centro. Odisseo esce per ultimo, aggrappato al montone più grande.

«Quando la mattutina Aurora apparve

rosea nel cielo, al pascolo i montoni

corsero, e si aggiravano non munte

595 le femmine belando intorno ai chiusi,

con le mammelle turgide di latte.

Vinto da atroci spasimi il padrone

tastava il dorso a tutti i maschi in piedi

davanti a lui: non sospettò, lo stolto,

600 ch’erano i miei legati sotto il ventre

dei lanosi montoni. Ultimo a uscire

s’avviò l’ariete sotto il peso

del suo vello e di me che trepidavo.

Gli disse, allora, il forte Polifemo

605 palpandolo: “Perché quest’oggi, o caro

montone, esci per ultimo dall’antro?

Tu di solito indietro non restavi

dal gregge, ma primissimo tra tutti

con lunghi balzi a pascere correvi

610 le cime tenere dell’erba, primo

giungevi alle correnti acque dei fiumi,

primo alla stalla amavi ritornare

la sera: ed ora invece ultimo vieni.

L’occhio del tuo padrone forse piangi

615 che un malvagio coi suoi vili compagni

gli tolse, e il senno gli domò col vino:

Nessuno, che alla morte, credo ancora

non è sfuggito. Oh il mio pensiero avessi,

parlare tu potessi, e dirmi dove

620 lui tenta di sottrarsi al mio furore:

qua e là per l’antro schizzerebbe in terra

dal cranio fracassato il suo cervello;

e il mio cuore conforto avrebbe ai mali

che Nessuno mi diede, eroe da nulla“».


Omero, Odissea, libro IX, vv. 290-306, 341-415, 464-562, 592-624, trad. di G. Bemporad, Le Lettere, Firenze 1992

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a TU per TU con il testo

L’episodio di Polifemo è tra i più avvincenti e famosi dell’Odissea. Il Ciclope rappresenta infatti il mostro per eccellenza, nella sua dimensione più brutale e antitetica all’umanità. Proviamo a immaginare Odisseo mentre, chiuso nell’antro e senza via di scampo, elabora il piano per cavarsela. Come fare per avere ragione su Polifemo? Cedere alla paura e alla passività oppure lasciarsi tentare dalla strategia della forza? L’azione di Odisseo è una combinazione di ingegno e di coraggio perché mette in conto tutte le possibilità e procede razionalmente all’attuazione della migliore. La sua è la vittoria della civiltà dell’uomo sul mostro, della razionalità sull’animalità, in fin dei conti del Bene sul Male: per questo motivo il gigante sconfitto non suscita compassione, perché rappresenta la violenza bruta e gratuita.

Analisi

L’incontro con il Ciclope mette Odisseo e i suoi compagni di fronte a una realtà nuova e inesplorata, che l’eroe non vuole rinunciare a conoscere. I Ciclopi rappresentano, infatti, l’antitesi del mondo civile conosciuto dai Greci: non conducono vita associata, ignorano le leggi degli dèi e degli uomini, vivono di pastorizia e non praticano l’agricoltura, considerata dagli antichi un’attività più evoluta dell’allevamento, in quanto bisognosa di pianificazione e cura continua.

La prima domanda posta da Polifemo agli stranieri che trova nella sua grotta è tesa a verificare se essi siano dei pirati, categoria temutissima nel Mediterraneo in età arcaica (vv. 343-348). La risposta di Odisseo non è priva di orgoglio (Noi da Troia veniamo, Achei sbalzati / da tutti i venti sopra il vasto abisso / del mare, vv. 353-355); l’eroe soprattutto cerca subito di verificare se può stabilire con il Ciclope un riferimento comune, cioè il culto di Zeus e il rispetto delle leggi dell’ospitalità (Temi, o fortissimo, gli dèi: noi siamo / supplici a te. Vendicatore è Giove / di supplici e stranieri, l’ospitale / Giove che li accompagna e li fa sacri, vv. 365-368).

La speranza di trovare un punto di contatto, però, è mal riposta. I Ciclopi infatti disprezzano le norme della convivenza civile e obbediscono soltanto ai propri capricci (vv. 370-377): il loro atteggiamento è un esempio di hybris, cioè di quella tracotanza che porta gli uomini a ritenersi invincibili e non soggetti all’ordine divino. Alla richiesta interessata di Polifemo di indicargli dove abbiano lasciato la nave, Odisseo risponde prontamente, mentendo, che è andata distrutta in una tempesta (vv. 381-389). La reazione successiva è inaspettata e terrificante: in una scena caratterizzata da dettagli raccapriccianti, il mostro afferra due uomini, li sbatte al suolo, li fa a brandelli e se ne ciba, mangiando come un leone di montagna (v. 396).

A questo punto una risposta violenta e istintiva da parte di Odisseo non avrebbe senso: l’eroe della metis non si lascia trasportare dalla rabbia e subito intuisce che, se anche riuscisse a uccidere il Ciclope, condannerebbe a morte se stesso e i compagni perché non sarebbe in grado di spostare il masso che blocca l’ingresso della spelonca (vv. 405-414). E allora scaltrezza e intelligenza consigliano altre soluzioni: il calcolo razionale lo spinge ad aspettare, comprensibilmente spaventato, fino all’alba.

Quando Polifemo rientra dal pascolo il giorno successivo, Odisseo e i suoi mettono a punto un piano ingegnoso: offrono al Ciclope il vino inebriante di Ismaro contenuto nell’otre. Questi gradisce molto la bevanda e chiede all’eroe di rivelargli il suo nome. Odisseo dichiara allora di chiamarsi Nessuno (vv. 494-498): tale trovata geniale servirà in seguito a vanificare le richieste di aiuto di Polifemo, ridicolizzandolo e punendolo per la sua brutale inospitalità.

Approfittando del sonno in cui cade il Ciclope (vv. 505-508), i Greci afferrano un palo d’ulivo, lo arroventano nel fuoco e con questo trafiggono l’unico occhio che il mostro ha sulla fronte (vv. 509-536). L’urlo di dolore lanciato da Polifemo e soprattutto le sue richieste di soccorso cadono nel vuoto (Amici, vuole con l’inganno, / non con la forza, uccidermi Nessuno, vv. 554-555): contro l’intelligenza, la forza primitiva non può nulla.

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Il lettore non è portato ad avere pietà per Polifemo, esempio di brutalità e di inciviltà. La scena finale, che vede Odisseo uscire dall’antro aggrappato al vello del montone più grosso, mentre il Ciclope si rivolge all’animale chiedendogli come mai esca per ultimo, lui che era solito essere il primo (vv. 605-624), segna il culmine della vendetta e della beffa: l’animale che il Ciclope vorrebbe dotato di parola ha in sé, anzi sotto di sé, la risposta al quesito (Oh il mio pensiero avessi, / parlare tu potessi, e dirmi dove / lui tenta di sottrarsi al mio furore, vv. 618-620).

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Che cosa non trovano Odisseo e i suoi compagni nell’antro del Ciclope? (sono possibili più risposte)

  • A Formaggio. 
    B Frutta. 
  • C Agnelli. 
  • D Latte. 
    E Grano. 
  • F Capretti. 
  • G Oche. 


2. Odisseo e si suoi compagni reagiscono con sgomento (v. 349) alle prime parole che Polifemo rivolge loro. Vuol dire che essi si sentono

  • A turbati. 
    B incuriositi. 
  • C terrorizzati. 
  • D stupiti. 


3. La seguente sintesi dei vv. 352-368 contiene alcune inesattezze. Individuale e correggile nella maniera opportuna.


Odisseo, per nulla intimorito, risponde a Polifemo che lui e i suoi compagni erano Greci che stavano tornando in patria, ma che per volontà di Poseidone erano stati deviati dal loro cammino. Aggiunge che essi erano guerrieri di Atreo, famoso in tutto il mondo, e prega Polifemo di dar loro ospitalità almeno per una notte. Conclude infine il suo discorso ricordando a Polifemo di accoglierli in nome di Zeus, protettore dei pastori e degli agricoltori.


4. Perché i Ciclopi non temono gli dèi?


5. Il primo impulso che ha Odisseo quando vede due dei suoi compagni divorati da Polifemo è quello di uccidere il Ciclope trafiggendolo con la spada, ma poi si trattiene. Per quale motivo?


6. Chi accorre alle grida di dolore di Polifemo, dopo che costui è stato accecato?

ANALIZZARE E INTERPRETARE

7. Quale aspetto è messo in risalto nella descrizione del Ciclope?

  • A L’inciviltà. 
    B La bruttezza. 
  • C La stupidità. 
  • D Il calcolo. 


8. Che cosa traspare dalle prime parole di presentazione di Odisseo al Ciclope (vv. 353-361)?

  • A Orgoglio. 
    B Sfida. 
  • C Commiserazione. 
  • D Modestia. 


9. Polifemo chiede a Odisseo dove è ancorata la sua nave, ma Odisseo, esperto del mondo (v. 382), gli mente e gli dice che è andata distrutta. Perché? Cosa temeva avrebbe potuto fare Polifemo se avesse saputo dove si trovava la nave?


10. La descrizione dell’accecamento di Polifemo è volutamente ricca di particolari a effetto, tanto che il lettore non può non rimanere colpito dal crudo realismo della scena. Tra le sensazioni qui elencate, ce n’è solo una che non appare adeguata al contesto: quale?

  • A Disgusto. 
    B Orrore. 
  • C Ribrezzo. 
  • D Stupore. 
  • E Repulsione. 
  • F Ripugnanza. 


11. Riporta i versi in cui sono descritti i gesti che scandiscono le giornate del Ciclope.


a) Alba:

 


b) Sera:

 


12. Le parole che Polifemo rivolge al suo montone preferito – e sotto il quale si nasconde proprio Odisseo – rivelano umanità e tenerezza inaspettate, ma il Ciclope ritorna immediatamente a essere il mostro che abbiamo conosciuto e chiude il suo discorso con un’ultima, raccapricciante immagine di vendetta. Quale?

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COMPETENZE LINGUISTICHE

13. Proposizioni subordinate implicite ed esplicite. Giunto qui, dove ancorasti la bella nave […]? (vv. 378-379): giunto è un participio passato che svolge in questa frase la funzione di una proposizione subordinata implicita. Se volessimo renderla esplicita (utilizzando cioè un modo finito preceduto da una congiunzione) la forma corretta sarebbe:

  • A Dopo che tu fosti giunto qui. 
    B Dopo che io fui giunto qui. 
  • C Sebbene tu fossi giunto qui. 
  • D Sebbene io fossi giunto qui. 


14. Lessico. Associa al sostantivo della prima colonna l’aggettivo più adatto della seconda.

  • a) scoglio 
  • b) scempio 
  • c) mammella 
  • d) balza 
  • e) greggi 
  • f) spasimi 

1) turgida

2) atroci

3) ventosa

4) pingui

5) crudele

6) irto

PRODURRE

15. Scrivere per raccontare. Mentre Odisseo riesce a scampare al pericolo sull’isola dei Ciclopi, Polifemo, al contrario, piange la sua cecità e la beffa ricevuta da “Nessuno”. Che cosa succederà al Ciclope accecato, dopo la partenza di Odisseo? Racconta il seguito della storia in un breve testo (massimo 10 righe).

LETTERATURA E NON SOLO: SPUNTI DI RICERCA INTERDISCIPLINARE

scienze

Secondo il racconto omerico, Polifemo è un pastore il cui sostentamento si basa solo sulla carne, sul latte e sui formaggi ottenuti dalle proprie greggi. Conosci i processi necessari per trasformare il latte in prodotti caseari? Fai una ricerca sull’argomento.

SPUNTI PER DISCUTERE IN CLASSE

L’episodio di Polifemo dimostra la versatilità dell’ingegno di Odisseo, sempre capace di trovare una soluzione grazie al raziocinio invece che all’istinto. Eppure, questa volta, anche l’astuto Odisseo ha dovuto fare ricorso alla violenza per ottenere la salvezza. Ritieni che il comportamento dell’eroe sia condivisibile o pensi che avrebbe dovuto cercare una via d’uscita meno cruenta? Discutine in classe con l’insegnante e con i tuoi compagni.

L’emozione della lettura - edizione gialla - volume A
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Narrativa