1. La questione omerica

1. La questione omerica

Giacomo Leopardi, il maggior poeta dell’Ottocento italiano, sosteneva che tutto si è perfezionato da Omero in poi, tranne la poesia. L’Iliade e l’Odissea, tradizionalmente considerate opera di un solo autore, di nome Omero, rappresentano il monumento letterario più ricco e antico dell’identità europea, il cui valore non risiede solo nella bellezza poetica, ma anche – e soprattutto – nella loro funzione di archetipo: ogni scena di duello, seduzione, spionaggio, battaglia deve fare i conti con il modello omerico, che per questa ragione può essere considerato – ancora oggi, a distanza di secoli – una vera e propria sorgente della narrazione.

Ma chi fu Omero? Lo storico Erodoto di Alicarnasso, vissuto nel V secolo a.C., lo identificava con un poeta vissuto circa quattrocento anni prima di lui. Da allora non si è mai smesso di discutere intorno all’esistenza e all’attività di questa figura: nonostante i progressi delle ricerche linguistiche e archeologiche, essa resta ancora oggi avvolta nel mistero. Per gli antichi Greci Omero era un aedo, un cantore cieco con il dono della creatività poetica (secondo una discussa etimologia il termine greco hómeros significherebbe, infatti, “cieco”). Alcuni sostenevano che fosse discendente di Orfeo, mitico poeta della Tracia che avrebbe avuto il potere di piegare e incantare al suono della sua lira ogni essere animato e ogni elemento della natura.

Dopo Erodoto si iniziò presto a mettere in dubbio che un solo uomo avesse potuto comporre due opere così diverse tra loro per contenuto e stile: l’Iliade, infatti, è il poema della guerra, l’Odissea il poema del viaggio e dell’avventura. Nell’età ellenistica – il periodo storico seguito alla morte di Alessandro Magno, caratterizzato dal fiorire di studi letterari sugli autori e le opere del passato – si fecero strada le prime ipotesi separatiste, accreditate da alcuni commentatori (detti khorízontes, appunto “separatori”), che suffragavano l’esistenza di due autori distinti, uno per ciascuna opera. Da questo momento, e poi soprattutto in età moderna, divampò la cosiddetta “questione omerica”, vale a dire il complesso dei dibattiti e delle teorie che riguardano l’esistenza effettiva di un poeta di nome Omero, la relazione tra questo e i due poemi epici a lui attribuiti. Dopo secoli di discussioni, oggi la critica sembra propensa a cogliere un’unità culturale comune a Iliade e Odissea, che sarebbero il frutto dell’elaborazione di un materiale poetico tramandatosi oralmente per secoli; allo atesso tempo, tuttavia, alla luce delle differenze stilistiche tra i due poemi, si tende ad attribuirne la composizione a due distinte individualità.

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2. Tra mito e storia

L’individuazione di una lunga tradizione poetica precedente ha portato a considerare i poemi omerici come il deposito dei valori di un’intera società. In un’epoca in cui non c’era la televisione e l’informazione non viaggiava sulla rete, la poesia epica assolveva una funzione che non era solo di intrattenimento, ma anche di trasmissione culturale. Come ha scritto lo studioso inglese Eric Havelock (1903-1988), i poemi omerici condensavano un patrimonio di conoscenze che non era solo poetico o mitologico, ma abbracciava tutti gli ambiti della realtà, dalla navigazione alla falegnameria, fino al modo in cui tenere un discorso davanti a un’assemblea. Di qui la fortunata definizione dell’epica come un’enciclopedia tribale: i poemi sarebbero serviti anche a insegnare la morale e a trasmettere conoscenze in ogni ambito.

Una delle questioni ricorrenti degli studi omerici è quale società e quale epoca storica siano rappresentate nell’Iliade e nell’Odissea.

Gli antichi, basandosi sui calcoli dello studioso greco Eratostene (III-II secolo a.C.), facevano tradizionalmente risalire la guerra di Troia al decennio che va dal 1194 al 1184 a.C., mentre la critica contemporanea la colloca in genere a cavallo tra il XIII e il XII secolo a.C., ovvero alla fine della civiltà micenea, sopraffatta dall’invasione dei Dori attorno al 1200 a.C. Gli Achei, o Micenei, insediati in Grecia a partire dal 2000 a.C., avevano creato una civiltà fiorente, che conosceva l’uso della scrittura (la lineare B), aveva eretto rocche superbe come quelle di Micene, Tirinto e Pilo nel Peloponneso e seppelliva i morti in tombe a thólos (“cupola”), tra cui quella di Agamennone a Micene. Al mondo miceneo la poesia omerica guarda come a un passato mitico, ormai trascorso.

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L’Iliade e l’Odissea, tuttavia, documentano anche una realtà storica successiva, che è quella dei cosiddetti “secoli bui” del Medioevo ellenico, il periodo compreso tra il XII e il IX secolo a.C., così chiamato a causa del forte declino politico ed economico della Grecia che seguì al crollo della civiltà micenea. L’epoca in cui vive Omero o, meglio, l’epoca in cui inizia la redazione scritta dei poemi, cioè l’VIII secolo a.C., è però di qualche secolo posteriore alla fine dei regni micenei e non coincide neppure con il Medioevo ellenico, rispetto al quale presenta una significativa novità: l’introduzione in Grecia della scrittura alfabetica, originaria della Fenicia.

Questo significa che in quel lungo periodo, compreso tra il XII e l’VIII secolo a.C., i poeti continuarono a cantare le stesse gesta conservandone aspetti arcaici ormai desueti. Tra questi ricordiamo, per esempio, l’uso del bronzo invece del ferro, introdotto successivamente, e l’impiego del carro da guerra, che nell’Iliade serve solo a condurre il guerriero sul luogo dello scontro, mentre in età micenea era un mezzo essenziale della battaglia.

Tuttavia, nonostante la generale tendenza della poesia orale, greca e non solo, a conservare temi e forme tradizionali, in virtù del prestigio conferito dalla loro arcaicità, spesso le informazioni storiche ricavabili dai poemi sono riferibili più utilmente al Medioevo ellenico che all’età micenea: la relativa modestia della casa di Odisseo a Itaca, per esempio, dimostra un notevole regresso economico rispetto allo splendore dei palazzi micenei.

Pertanto, in genere oggi si tende a riconoscere la coesistenza di tre diversi livelli storici e culturali nei poemi omerici, ciascuno a suo modo documentato: l’età micenea, il Medioevo ellenico e l’VIII secolo a.C., l’epoca in cui sarebbe vissuto Omero.

3. Iliade e Odissea a confronto

Due mondi diversi

Già agli antichi non erano sfuggite le molte differenze riscontrabili tra Iliade e Odissea. Per spiegarle, un critico vissuto in età romana, l’anonimo autore del trattato Sul sublime, indicava nell’Iliade l’opera della giovinezza di Omero, nell’Odissea quella della maturità.

In primo luogo nei due poemi cambiano i temi e la rappresentazione della società. L’Iliade è il poema della guerra, trattata in ogni suo aspetto, dalle strategie di attacco e di difesa alle assemblee dei guerrieri, fino alla descrizione delle armi (come lo scudo di Achille nel libro xviii) e a quella delle onoranze funebri, importante rituale sociale e religioso. L’Odissea è il poema del viaggio per antonomasia, ma affronta anche temi favolistici, legati a racconti diffusi nell’area del Mediterraneo, e motivi di vita civile e politica, come il governo di Itaca durante l’assenza di Odisseo.

Anche per la sua prevalente intonazione bellica, inoltre, l’Iliade rappresenta una società con tratti più arcaici di quella che traspare dall’Odissea. Nell’Iliade gli strati sociali inferiori godono di scarso spazio in un mondo aristocratico impegnato in una guerra decennale, mentre nell’Odissea la relativa pace in cui si svolgono le vicende permette una maggiore attenzione alla vita di pastori, porcari e artigiani. Infine, anche sul piano religioso l’Odissea mostra una maggiore maturità. In entrambi i poemi, gli dèi sono rappresentati simili agli uomini nel fisico e nei comportamenti (antropomorfismo), ma nell’Odissea il ruolo di Zeus, per esempio, acquista una più profonda dimensione etica, confacente al suo ruolo di protettore degli stranieri e degli umili.

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Le tecniche della narrazione

Il verso dell’epica greca è l’esametro, cosiddetto perché formato da 6 metra (“unità di misura”), di un’estensione variabile da 12 a 17 sillabe. Per la sua lunghezza e duttilità esso si prestava a una poesia narrativa, solenne e recitata, come quella dei due poemi. Anche il modo di esecuzione, il recitativo (cioè una recitazione intonata e accompagnata da uno strumento), doveva essere adatto a performance orali di una certa durata.

L’aspetto stilistico fondamentale dell’epica omerica è individuabile nella formularità. I nessi formulari più tipici sono costituiti da nomi associati a:

  • epiteti, cioè attributi o apposizioni ricorrenti che qualificano un termine o un personaggio (le parole fugaci, Achille piè veloce, Atena occhi azzurri);
  • patronimici, ovvero attributi che indicano il padre di un personaggio, per esempio: il Pelìde Achille è Achille, figlio di Peleo; Agamennone e Menelao sono gli Atrìdi, i figli di Atreo.

Esistono, però, anche formule più estese, che marcano momenti della giornata, come l’aurora (quando mattutina apparve Aurora dalle rosee dita) o il coricarsi alla sera (poi si distesero ed ebbero il dono del sonno), oppure l’alternarsi delle battute in un dialogo (per esempio: e disse ricambiando il potente Agamennone, e ricambiandolo Achille piede rapido disse).

Sul piano espressivo, l’epica omerica, gremita di battaglie, duelli, atti eroici (aristíe) e morti strazianti, si distingue per la straordinaria oggettività. Il narratore conserva una impeccabile imparzialità nel riferire le vicende, senza concedersi alcun tipo di commento o lasciarsi andare emotivamente. I rari casi in cui questa “norma” viene infranta acquistano, pertanto, particolare rilevanza (per esempio, nell’Iliade, in occasione della morte di Patroclo).

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Un’altra caratteristica essenziale di entrambi i poemi è l’uso delle similitudini, le figure retoriche più frequenti. Esse conferiscono profondità ai personaggi e alle vicende, creando dei ponti tra dimensioni diverse del reale, come la guerra e il mondo animale, l’uomo e la natura, in virtù di un aspetto in comune tra i due termini confrontati.

L’Odissea, d’altra parte, si segnala per il maggiore realismo, a causa della sua apertura al mondo dell’avventura, della famiglia, del lavoro. Illuminante a questo proposito è, nel libro XXIII, la descrizione del talamo nuziale costruito da Odisseo stesso sul tronco di un ulivo, ricca di dettagli sorprendenti. Ed è realistico anche il ritratto di Polifemo, o quello delle Sirene: nel momento in cui la narrazione rifugge dal fantastico e dal magico, sceglie una via piuttosto verosimile e razionale, anche a costo di recuperare singoli elementi tratti dall’esperienza per realizzare descrizioni inconsuete, come quelle dei mostri incontrati da Odisseo nel suo viaggio. È stato dimostrato, per esempio, che il personaggio di Polifemo, ciclope con un solo occhio al centro della fronte, dovette essere suggerito alla mitologia greca e omerica dal ritrovamento dei resti fossili di elefanti nani, dotati di un’ampia cavità nasale che facilmente poteva essere confusa con l’orbita di un unico, gigantesco, occhio.

Conseguente al maggiore realismo è nell’Odissea l’attenzione rivolta al mondo dei sentimenti, che l’Iliade sacrifica sull’altare dell’onore e della guerra, nonostante singoli momenti di grande pathos emotivo, come l’incontro di Ettore e Andromaca e la supplica di Priamo ad Achille per la restituzione del corpo di Ettore.

Da questo punto di vista l’Odissea vede la rivincita dei personaggi femminili: Calipso, Nausicaa, Circe, Penelope non sono più semplici pretesti per un litigio, come le ancelle dell’Iliade, ma acquistano un preciso significato e un valore profondo nell’itinerario esistenziale di Odisseo.

4. L’Iliade

La trama

L’Iliade, il più antico dei poemi omerici, trae il suo nome da Ilio, altra denominazione della città di Troia, fulcro della lunga guerra che secondo il mito avrebbe visto scontrarsi Greci e Troiani a seguito del rapimento, da parte del principe troiano Paride, della moglie del re di Sparta Menelao, Elena. Il poe-ma inizia in medias res, quando il conflitto è entrato nel suo decimo anno. Nel campo greco è scoppiata una pestilenza a causa dell’offesa recata dal re greco Agamennone a un sacerdote di Apollo, il troiano Crise, che ha chiesto invano il riscatto della figlia Criseide, fatta prigioniera. Agamennone dapprima si rifiuta di restituire la fanciulla, ma poi – su consiglio dell’indovino Calcante – acconsente a condizione di prendere per sé Briseide, schiava di Achille. Indignato per la prevaricazione e accecato dall’ira, Achille si ritira dalla guerra, pur consapevole di determinare enormi perdite tra i suoi compagni. Gli scontri proseguono con esiti alterni, ma – com’è prevedibile – a sfavore dei Greci. Una svolta decisiva è determinata dall’uccisione di Patroclo, sceso in battaglia con le armi dorate del compagno Achille, da parte dell’eroe troiano Ettore. Achille, colmo di dolore e mosso da una furia omicida, torna a combattere per vendicare la morte dell’amico e uccide in duello Ettore, infierendo sul suo cadavere intorno alle mura di Troia.

A questo punto l’eroe greco onora la memoria di Patroclo con lo svolgimento di giochi funebri. La restituzione del corpo di Ettore al padre Priamo e la celebrazione dei suoi solenni funerali sono gli ultimi fatti narrati nel poema.

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I temi

Nel proemio il poeta indica un tema preciso del suo canto, cioè l’ira di Achille. Essa, in effetti, percorre tutta l’Iliade, tanto che alcuni libri sono dedicati al tentativo degli altri eroi greci di far desistere Achille dalla sua rabbia (e dal conseguente rifiuto di combattere) e altri libri alla cessazione dell’ira stessa.

Connesso al tema dell’ira è quello dell’onore, valore fondante di una società che è stata definita dagli antropologi “civiltà di vergogna”, in contrapposizione alla nostra, basata sul senso di colpa. Gli eroi sono chiamati a compiere imprese valorose per conquistare l’onore e la considerazione della comunità, ma anche una fama duratura dopo la morte. L’impressione è che gli eroi sentano sempre concentrati su di sé gli occhi dei loro cari viventi, degli antenati e dei loro discendenti, che ne canteranno le gesta, mentre ignorano il travaglio della coscienza tipico della nostra civiltà. La massima vergogna per un eroe omerico consiste, perciò, nella perdita della pubblica stima, nella fama di codardo e di vigliacco.

La dimensione degli affetti, invece, sembra secondaria, affidata soprattutto alle figure femminili e agli anziani. È il pensiero del padre anziano Peleo, per esempio, a far commuovere Achille durante l’incontro con Priamo (libro XXIV). Anche Ettore dimostra sentimenti profondi per la moglie Andromaca e il figlioletto Astianatte (libro VI), pur assegnando la priorità al proprio dovere di guerriero a difesa della patria.

Un altro tema è il rapporto problematico con gli dèi, comuni a Greci e Troiani, che si comportano non diversamente dagli uomini. L’Iliade, infatti, rappresenta il mondo divino secondo una concezione antropomorfica: le divinità sono una sorta di “uomini potenziati”, di cui riproducono al massimo grado vizi e virtù. Anch’essi partecipano alla guerra, intervenendo spesso in aiuto di qualche eroe. Vi è tuttavia una forza cui non possono sfuggire, il Fato, i cui piani sono imperscrutabili e immutabili.

Pur secondario rispetto alla dura realtà della guerra, è presente nell’Iliade il motivo politico: sia i Greci sia i Troiani evidenziano in guerra gli stessi rapporti vigenti all’interno della propria società. Il mondo delle istituzioni, per esempio, non differisce sostanzialmente tra i due schieramenti. I cittadini troiani si riuniscono in assemblea, come accade tra i guerrieri greci, per discutere problemi di interesse collettivo; nell’assemblea tutti hanno diritto di parola. Al di sopra di essa sono il consiglio degli anziani e la figura del re (basiléus), che amministra la giustizia, guida l’esercito e presiede le funzioni religiose, ma non ha ancora i poteri assoluti di un monarca. Agamennone, per esempio, capo dell’armata greca, non esercita un potere coercitivo nei confronti degli altri sovrani partecipanti: il suo ruolo è piuttosto quello di un primus inter pares (“primo tra pari”).

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le tecniche narrative
Fabula e intreccio Fabula e intreccio sostanzialmente coincidono, perché la vicenda segue l’ordine cronologico degli avvenimenti.
Fanno eccezione alcune profezie, anticipazioni e rapide digressioni su eventi passati. Il flashback più lungo è quello presente all’inizio del poema.
Spazio La vicenda si svolge sulla pianura tra le mura di Troia e il mare.
Della città sono ricordate le mura poderose e invalicabili, le porte Scee (dove avviene l’incontro di Ettore e Andromaca), il tempio di Atena, il palazzo reale.
Viene tratteggiato anche l’ambiente dell’accampamento greco, con le tende dei comandanti e le navi.
Tempo Gli eventi narrati si collocano nel decimo anno di guerra e sono compresi in un arco temporale di cinquantuno giorni, dall’inizio della pestilenza scatenata da Apollo ai funerali di Ettore.
Narratore Il narratore è esterno, onnisciente e oggettivo: racconta i fatti in terza persona, conosce tutte le vicende dei protagonisti, il loro destino e il loro futuro.
Anche se presenta fatti e personaggi senza esprimere giudizi e senza partecipazione emotiva, il narratore lascia trasparire la sua visione del mondo esaltando valori quali l’aspirazione alla gloria, la difesa dell’onore, la necessità del riconoscimento pubblico.
Stile • Ripetitività e formularità (epiteti, patronimici, scene tipiche).
• Oggettività epica.
• Ricorso alle similitudini.

5. L’Odissea

La trama

L’Odissea tratta del ritorno di Odisseo (o Ulisse), reduce dalla guerra di Troia, all’isola natia, Itaca; il poema vuol dunque essere la storia di un uomo celebre per la sua proverbiale intelligenza: le innumerevoli prove cui il lungo viaggio sottopone l’eroe ne hanno fatto il simbolo di chi sa reagire a ogni situazione e affrontare insidie e difficoltà.

Nel pellegrinaggio che lo tiene lontano dalla patria per dieci anni per volere di dèi avversi, Odisseo affronta numerose peripezie, dalle quali sopravvive sempre grazie al suo ingegno multiforme: tra esse vanno almeno ricordate l’avventura nella terra dei Ciclopi (dove incontra e uccide Polifemo), l’incontro con la maga Circe, la discesa nell’Ade, l’attraversamento dello stretto tra Scilla e Cariddi e il superamento indenne degli scogli delle Sirene, il lungo soggiorno nell’isola di Ogigia tra le braccia della ninfa Calipso. Solo e stremato, Odisseo naufraga infine sull’isola dei Feaci dove, per volere della dea Atena, sua protettrice, viene trovato da Nausicaa, figlia del re Alcinoo: questi, dopo aver sentito la storia dell’eroe – da lui stesso narrata con un lungo flashback – lo fa accompagnare a Itaca.

Finalmente in patria, Odisseo, trova la sua reggia invasa dai Proci, aristocratici del luogo che spadroneggiano da anni, vessando sua moglie Penelope perché scelga uno di loro come sposo. Assunte le sembianze di mendicante per non farsi riconoscere, incontra il figlio Telemaco e con lui prepara la vendetta contro gli usurpatori, uccidendoli uno dopo l’altro. L’ultima prova che Odisseo deve affrontare è il riconoscimento da parte di Penelope: questa infatti, dopo tanta attesa, non riconosce subito il suo sposo; solo dopo la prova definitiva della sua identità, la donna si scioglie in lacrime e lo abbraccia. L’Odissea si conclude con la riunione dell’eroe con il vecchio padre Laerte.

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I temi

L’Odissea deve la sua ricchezza narrativa al fatto che fonde temi della tradizione letteraria, quali il mito della guerra di Troia e del ritorno in patria degli eroi greci, con alcuni motivi della novellistica popolare, come quello dell’agnizione o riconoscimento. A ben vedere, infatti, la trama disegna uno sviluppo piuttosto convenzionale. Un uomo ritorna a casa dopo un lungo periodo di assenza e deve affrontare una serie di prove per ristabilire l’ordine, sconfiggere i pretendenti della moglie, che aspirano anche al suo patrimonio e al suo ruolo in società, e farsi riconoscere nonostante i mutamenti nell’aspetto fisico.

Un elemento fondamentale dell’Odissea è la componente avventurosa: storie di marinai, ricche di elementi fantastici e mostruosi, sono il sostrato narrativo del poema, poi rielaborato e raffinato dall’attività di generazioni di aedi. A questo proposito bisogna precisare che, sebbene sia popolata di personaggi appartenenti al mondo del meraviglioso (come Polifemo, le Sirene, Scilla e Cariddi), dall’Odissea traspare generalmente un atteggiamento razionalistico, caratteristico della civiltà greca sin dalle sue origini: ne è un esempio la ricchezza della descrizione che permette di immaginare tutto ciò che viene narrato. Si spiega così come la stessa Circe sia anzitutto una dea, esperta delle proprietà delle droghe naturali, piuttosto che una maga, termine di origine persiana entrato nella lingua greca solo nel V secolo a.C., che comunemente le si attribuisce.

È da considerare, inoltre, l’aspetto didascalico ed enciclopedico che aveva per l’intera comunità un’opera fondata sul valore straordinario di un uomo eccezionale. Per quanto possegga doti fuori dal comune, Odisseo rimane pur sempre un essere umano, non un dio: la sua esperienza può essere proposta a tutti come modello di comportamento in una varietà infinita di circostanze. Non a caso l’Odissea contiene molte informazioni utili per il suo pubblico, relative ai campi più disparati, dalla navigazione alla falegnameria. Il libro V, per esempio, ospita una sezione cospicua dedicata alla costruzione della zattera con cui Odisseo da Ogigia sarebbe arrivato all’isola dei Feaci: in un’epoca in cui la poesia epica è depositaria dell’intero patrimonio di conoscenze di una comunità, un brano di questo tipo condensa un sapere tecnico estremamente prezioso.

La società che emerge da questi quadri di vita quotidiana è quella di un mondo aristocratico, nella quale la dimensione del lavoro affiora con maggiore incisività rispetto all’Iliade: Laerte, padre di Odisseo, ormai vecchio, si dedica alla cura del suo frutteto, le donne tessono e filano, la giovane Nausicaa va al fiume a lavare i panni con le ancelle. Rispetto all’Iliade, infatti, l’assetto politico e sociale è sensibilmente mutato: la regalità, molto indebolita, deve ora misurarsi con un’aristocrazia più agguerrita, che interviene spesso nelle decisioni, limitando di fatto i poteri del sovrano. Ne è una prova la condizione subalterna in cui viene a trovarsi Telemaco, erede di Odisseo, messo in seria difficoltà dagli altri aristocratici dell’isola.

Coerente con la rivalutazione del lavoro, inoltre, è l’apertura al mondo degli umili, verso i quali l’autore dimostra una notevole sensibilità umana e morale, impensabile nell’Iliade. Prova di questo è la figura di Eumeo, un semplice allevatore di maiali, che ospita con generosità Odisseo nelle vesti di mendicante, prima ancora di riconoscerne l’identità.

Al maggiore realismo dell’Odissea contribuisce, infine, il ruolo più autonomo delle figure femminili, emancipate dalla quasi esclusiva condizione di mogli o ancelle che avevano nell’Iliade: la regina dei Feaci Arete, Penelope, Calipso, Nausicaa, Circe, Euriclea incarnano diversi aspetti della femminilità in varie fasi della vita e in ambiti sociali differenziati.

le tecniche narrative
Fabula e intreccio Non vi è coincidenza tra fabula e intreccio. La storia inizia in medias res e presenta vari ­flashback, il più lungo dei quali è nei libri IX-XII (racconti di Odisseo ad Alcinoo); dal libro XIII la narrazione ritorna lineare.
Spazio Il viaggio di Odisseo si svolge nel mar Mediterraneo, da Troia fino all’estremo Occidente secondo alcuni, ma è difficile definire con precisione la geografia dei luoghi visitati. Gli ambienti che ricorrono come scenario dei fatti narrati sono:
• il mare, visto nella sua pericolosità a causa di creature meravigliose e mostri;
• la terra sconosciuta, che per chi viaggia in mare è spesso assimilabile a un’isola, intesa come luogo insidioso da esplorare (isola di Circe) oppure come luogo ameno e ospitale (Ogigia);
• Itaca, la patria, che all’inizio Odisseo stenta a riconoscere.
Tempo La narrazione copre un periodo di quaranta giorni, ma gli eventi narrati si estendono su un arco di dieci anni.
Narratore Il narratore è esterno, onnisciente e oggettivo. Racconta i fatti in terza persona, conosce tutte le vicende dei protagonisti, il loro destino e il loro futuro.
Cede la parola a un narratore interno di secondo grado, Odisseo, nei libri dal IX al XII, il che conferisce un pathos maggiore al racconto.
Stile • Ripetitività e formularità.
• Ricorso alle similitudini.
• Realismo.

Verifica delle conoscenze

1. Che cosa si intende con “questione omerica”?

2. È corretto affermare che Iliade e Odissea sono ambientate nel Medioevo ellenico?

3. Quali sono le principali differenze tra Iliade e Odissea?

4. Quali aspetti stilistici accomunano i due poemi omerici?

5. Che cosa si intende con l’espressione “civiltà della vergogna”?

6. In che cosa si manifesta il realismo dell’Odissea?

L’emozione della lettura - edizione gialla - volume A
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Narrativa