T3 - La donna ridotta a merce (M. Volpe)

T3

Matteo Volpe

La donna ridotta a merce

  • Articolo

Nelle società di stampo patriarcale il dominio maschile continua a fare danni, discriminando le donne e giustificando i maltrattamenti nei loro confronti. La situazione non è ottimale neppure in Occidente, dove pure i passi in avanti rispetto a quanto accadeva un secolo fa sono evidenti. Ma quand’anche si riuscisse a debellare la violenza, i problemi per le donne non sarebbero finiti. Oggi l’esibizione ossessiva del corpo nudo femminile è un mezzo sempre più diffuso per adescare i consumatori. Una forma di dominazione meno cruenta ma pericolosa, secondo il giornalista Matteo Volpe, in quanto finisce col ridurre la donna a merce.

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La pubblicità di qualche anno fa di una nota marca italiana di moda alludeva a uno
stupro di gruppo su una donna stesa a terra. La pubblicità suscitò, comprensibilmente,
l’ira delle femministe. Si tratta dell’ennesima prova del maschilismo della
società che attua ancora oggi sulla donna una dominazione di tipo patriarcale – che 

5      giustifica la violenza ed esalta la virilità del maschio – unico vero ostacolo alla completa
emancipazione femminile?

La questione, in realtà, non è così semplice. Bisogna però essere chiari. La discriminazione
sessuale è una realtà storica, non un’invenzione, come una reazione a
un certo femminismo estremista tenderebbe a pensare. Dire “la donna in realtà ha 

10    sempre comandato” è una forma di negazionismo storico. In Italia era un’usanza
accettata, fino almeno agli anni Sessanta, rapire la donna, violentarla e poi chiedere
alla famiglia il “matrimonio riparatore”, che la famiglia accettava per non perdere
“l’onore”. Fino al 1981 la legge italiana ammetteva l’esistenza del matrimonio
riparatore. In particolare, le donne delle classi inferiori lavoravano tutto il giorno 

15    per occuparsi delle faccende domestiche, della cura dei figli, della cucina e di tante
altre mansioni. Non esistevano giorni di riposo, le festività dispensavano l’uomo
ma non la donna dal suo lavoro domestico, un lavoro massacrante, per il quale non
esistevano quei diritti che gli uomini proprio in quegli anni stavano faticosamente
ottenendo. Molte donne erano soggette a violenze, fisiche o psicologiche, da parte 

20    del marito, del padre o di altri familiari, senza avere la possibilità di rivalersi in alcun
modo.

L’oppressione patriarcale ha tenuto per secoli le donne sotto il suo giogo, in
un contesto familiare piramidale con al vertice la figura del padre-marito-padrone.
Questa oppressione veniva esercitata in tutte le classi sociali, anche se con effetti 

25    forse un po’ meno dolorosi nelle famiglie più agiate. Tuttavia bisogna riconoscere
che la dominazione patriarcale dagli anni Settanta ha cominciato a sgretolarsi e che
ormai sta per essere spazzata via dalla storia. Ovviamente ciò non vuol dire che essa
non esista più, che non esistano tutt’ora episodi di violenza, di sottomissione della
donna, di discriminazione e di sofferenza fisica o psichica inflitta agli individui di 

30    sesso femminile. Ma questi episodi non riguardano il nuovo corso storico, sono dei
retaggi, delle incrostazioni del passato, anche se, forse, ci vorranno ancora decenni,
o magari secoli, prima che anch’essi scompaiano del tutto.

È stato lo sviluppo del capitalismo ad abolire il patriarcato. Nella società “solida”
(per usare l’espressione di Bauman1) incentrata sulla produzione, c’era bisogno di 

35    braccia per lavorare e l’economia non poteva permettersi di lasciare inattiva la metà
della popolazione. Inoltre l’evoluzione tecnologica faceva diventare sempre più obsoleto2
il ricorso alla forza muscolare e pertanto rendeva le donne idonee a tutti i
tipi di lavoro quanto gli uomini. Ma questo non fu sufficiente a permettere un totale
superamento della dominazione patriarcale. Solo con la trasformazione “liquida” 

40    della società la necessità di sviluppare un sistema di vita attorno al consumo ha
richiesto di porre fine alle inibizioni e alla “sobrietà” che precedentemente caratterizzavano
i costumi femminili. La donna doveva diventare consumatrice, quindi
doveva bere e fumare come gli uomini, quindi doveva mostrare e non nascondere
il proprio corpo, doveva divertirsi e godersi la vita senza sensi di colpa e gli uomini 

45    dovevano accettarlo. Ormai la donna non ha restrizioni nell’esprimersi, in nessun
ambito; ma ciò non significa che possa dirsi finalmente liberata; non significa che
una volta superata la dominazione patriarcale, per lei si aprano le porte dell’emancipazione
autentica.

La società dei consumi ricorre alla sessualità della donna come attrattiva per sedurre 

50    i consumatori e per esserne sedotta. Il corpo della donna è ormai linguaggio
pubblicitario privilegiato per rivolgersi alle pulsioni consumistiche. Alla donna non
viene più intimato di coprirsi, ma, al contrario, di spogliarsi, per una marca, per
“essere libera”, per beneficenza, per il proprio uomo, “per se stessa”, persino per
un’università, come avvenuto di recente con le foto di alcune ragazze che “sponsorizzavano” 

55    il proprio ateneo attraverso la rete. Esiste una forma di dominazione
patriarcale, in questo? No, ne è anzi l’esatta negazione e ne testimonia la completa
distruzione. Il moderno oppressore delle donne non è il patriarcato, che non esiste
più se non come “rudere” archeologico, è il capitale, che esercita direttamente il suo
dominio. La donna diventa una merce, una merce che è la chiave per tutte le altre 

60    merci. Certo, si tratta di una dominazione forse meno cruenta della precedente, ma
non meno efficace. Eppure, in alcuni casi, non è escluso che possa servirsi dei retaggi
patriarcali, mantenendoli artificialmente in vita, come dimostra il caso dello spot
della marca di moda sopraccitato.

Che strizzi l’occhio a vecchi stereotipi o che la esorti a denudarsi e a concedersi 

65    senza inibizioni, il nuovo potere esercitato sulla donna non prevede divieti, repressioni,
moralismi, ma l’inserimento in un circuito di scambi attraverso l’esposizione
disinibita e persino narcisistica di sé, spacciata come “libertà”.


Matteo Volpe, Ripensare la questione femminile, www.lintellettualedissidente.it, 27 gennaio 2016 (con tagli)

 >> pagina 560 

Laboratorio sul testo

1. Quale delle seguenti definizioni di negazionismo (r. 10) è corretta?

  • A Atteggiamento filosofico che, negando l’esistenza di qualsiasi valore o verità, svaluta il senso stesso del vivere. 
    B Tendenza a modificare o a negare la veridicità di tesi storiografiche correnti o dominanti, sulla base di diverse interpretazioni. 
  • C Ideologia fondata sulla negazione dell’esistenza di Dio. 
  • D Attitudine a cogliere gli aspetti negativi delle cose giudicandole dal loro lato peggiore, senza avere alcuna fiducia nel futuro. 


2. Fino a quale anno è stato previsto dalla legge italiana il cosiddetto “matrimonio riparatore”?

  • A 1891. 
    B 1931. 
  • C 1981.
  • D 1991. 


3. Volpe afferma che la dominazione patriarcale (r. 26), e cioè il rapporto di subordinazione imposto storicamente dall’uomo alla donna, si sta sgretolando a partire dagli anni Settanta. Intende dire che questa dominazione è completamente scomparsa o che ne esistono ancora delle tracce? Rispondi facendo precisi riferimenti al testo.


4. Quale fenomeno ha contribuito ad abolire il patriarcato e ha, di conseguenza, consentito alle donne maggiore libertà di espressione all’interno della società?

  • A Lo sviluppo del capitalismo. 
    B La conquista, da parte delle donne, del diritto di voto. 
  • C L’abolizione del cosiddetto “matrimonio riparatore”. 
  • D Il progresso in campo tecnologico e scientifico. 


5. Secondo Volpe, la maggiore libertà di espressione delle donne si è concentrata su un unico aspetto dell’identità femminile, diventato ormai pervasivo nella società moderna: quale?

  • A La raffinatezza dei modi. 
    B L’idea rassicurante della maternità.  
  • C L’intraprendenza e l’ostinazione nel raggiungere i propri obiettivi. 
  • D La bellezza e l’attrattiva sessuale. 


6. Qual è il nuovo oppressore delle donne, sostituitosi, secondo Volpe, al patriarcato?


7. Che cosa significa l’espressione “strizzare l’occhio” (r. 64)?

  • A Approvare. 
    B Disapprovare. 
  • C Guardare con sospetto. 
  • D Guardare con curiosità. 


8. Volpe è convinto che, nella società moderna, la donna è ridotta a merce da consumare; tra i seguenti brani tratti dal testo, quale ti sembra che contenga in maniera chiara questa idea?

  • A In particolare, le donne delle classi inferiori lavoravano tutto il giorno per occuparsi delle faccende domestiche, della cura dei figli, della cucina e di tante altre mansioni. Non esistevano giorni di riposo, le festività dispensavano l’uomo ma non la donna dal suo lavoro domestico, un lavoro massacrante, per il quale non esistevano quei diritti che gli uomini proprio in quegli anni stavano faticosamente ottenendo. 
    B Che strizzi l’occhio a vecchi stereotipi o che la esorti a denudarsi e a concedersi senza inibizioni, il nuovo potere esercitato sulla donna non prevede divieti, repressioni, moralismi, ma l’inserimento in un circuito di scambi attraverso l’esposizione disinibita e persino narcisistica di sé, spacciata come “libertà”. 
  • C La questione, in realtà, non è così semplice. Bisogna però essere chiari. La discriminazione sessuale è una real­tà storica, non un’invenzione, come una reazione a un certo femminismo estremista tenderebbe a pensare
  • D L’oppressione patriarcale ha tenuto per secoli le donne sotto il suo giogo, in un contesto familiare piramidale con al vertice la figura del padre-marito-padrone. Questa oppressione veniva esercitata in tutte le classi sociali, anche se con effetti forse un po’ meno dolorosi nelle famiglie più agiate.

L’emozione della lettura - edizione gialla - volume A
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Narrativa