1. Tempo e narrazione

1. Tempo e narrazione

Non c’è storia senza tempo

Il tempo è una dimensione essenziale e imprescindibile in qualunque opera narrativa, dal racconto orale al romanzo, dal film alla serie tv e al fumetto. La narrazione, infatti, non è confinata alla letteratura, ma riguarda la maggior parte delle forme di creatività tipiche dell’essere umano. Il forte legame tra tempo e narrazione [#1], nella cultura, nelle arti e nel pensiero, deriva dalla centralità dell’orizzonte temporale nella nostra vita. Nasciamo in un attimo preciso, e da lì in poi viviamo soggetti al fluire inesorabile dei minuti, delle ore e degli anni, che fa da cornice alle nostre percezioni e alle nostre azioni.

In letteratura, il testo narrativo non può fare a meno della temporalità perché i romanzi e i racconti (come pure le poesie) si costruiscono con le parole, e le parole sono legate allo scorrere del tempo. Infatti, nel linguaggio verbale, termini e concetti si dispongono in fila, uno dopo l’altro, tra il “prima” del passato e il “dopo” del futuro. I testi narrativi sono come potenti macchine per viaggiare liberamente tra i secoli: con le parole possiamo evocare il passato, anticipare il futuro, evadere in dimensioni parallele e alternative.

Del resto, la memoria del passato, sia personale sia collettiva, è composta da storie che, continuando a essere raccontate, sopravvivono ai loro protagonisti; inoltre, viaggiare nei mondi della lettura – vivendo le più strane e disparate avventure – può aiutarci a immaginare il nostro futuro, preparandoci meglio ad affrontare le sue sfide.

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La collocazione cronologica

In genere è possibile attribuire alle storie una collocazione cronologica [#2], dipendente dal momento storico in cui esse vengono elaborate e prodotte. Rispetto al tempo in cui un autore scrive, la storia narrata può situarsi:

  • nel passato, quando gli eventi si svolgono in un’epoca precedente rispetto a quella in cui l’autore scrive. Tale passato può essere determinato con maggiore o minore precisione. Per esempio, il romanzo La malora di Beppe Fenoglio (1922-1963), pubblicato nel 1954, racconta una vicenda che si svolge nelle campagne piemontesi del primo Novecento, senza un’indicazione cronologica precisa. Invece il romanzo di Valerio Massimo Manfredi (n. 1943) L’ultima legione è ambientato nel 476, l’anno della caduta dell’Impero romano d’Occidente;
  • nel presente, quando i fatti narrati sono contemporanei all’epoca in cui l’opera viene prodotta. È il caso della Vita agra di Luciano Bianciardi (1922-1971), un romanzo del 1962 che riflette i cambiamenti in atto nella società italiana di allora, in particolare a Milano, cuore del boom economico avvenuto nel secondo dopoguerra;
  • nel futuro, quando le vicende avvengono in un tempo posteriore alla vita dell’autore. Ciò è tipico dei racconti di fantascienza, collocati in un futuro più o meno remoto, come il romanzo 2001: Odissea nello spazio di Arthur C. Clarke (1917-2008) e l’omonimo film diretto da Stanley Kubrick (1928-1999), entrambi usciti nel 1968. Per noi lettori di oggi, il 2001 costituisce il passato; per lo scrittore e il regista, quell’anno proiettava in un domani ancora lontano.

Può capitare infine che la collocazione cronologica risulti difficile o impossibile da individuare perché generica o imprecisata: tale indeterminatezza si manifesta soprattutto nelle favole e nelle fiabe (si pensi all’incipit classico “C’era una volta”) e in molte narrazioni fantastiche, ambientate in un mondo immaginario, diverso da quello reale.

LA SCELTA DEI TEMPi VERBALI

Nella maggior parte delle narrazioni – indipendentemente dalla loro collocazione cronologica –, i fatti si situano nel passato rispetto al tempo in cui vengono raccontati (quindi scritti e letti). Ciò si riflette sulla lingua, attraverso l’uso sistematico di tempi verbali passati. Tale tendenza è valida, per esempio, anche per opere di fantascienza, dove è molto facile imbattersi in frasi del tipo: «L’astronave fu colpita da uno sciame di asteroidi», oppure: «L’alieno salutò con cordialità». Per essere convincente, infatti, un racconto deve riferirsi a eventi tendenzialmente già accaduti, in un tempo anteriore a quello in cui vengono narrati.

Solo in certi casi gli autori optano per l’utilizzo di un tempo diverso dal passato, e tale scelta mira all’ottenimento di particolari effetti: quando essi vogliono creare un effetto di simultaneità e di presa diretta utilizzano il presente, mentre il futuro è adatto ai racconti dal piglio profetico, che ambiscono a prevedere situazioni e avvenimenti non ancora realizzatisi.

Fabula e intreccio

Alla base di ogni racconto sta la distinzione tra fabula e intreccio.

  • La fabula consiste nella successione degli eventi secondo l’ordine logico-cronologico con cui accadono.
    L’ordine si dice “logico” perché riproduce i rapporti di causa-effetto («Sono scivolato sul ghiaccio e mi sono rotto il ginocchio»), e “cronologico” perché obbedisce fedelmente allo sviluppo temporale con cui gli eventi maturano nel tempo («Dopo aver frequentato le scuole, viaggiò a lungo e finì per fermarsi in Lapponia, dove si dedicò alla pesca delle aringhe, aprendo, nel 2004, una piccola attività»).
  • L’intreccio coincide con la successione degli eventi secondo l’ordine con cui vengono presentati nel racconto.
    Riprendendo gli esempi appena esposti, ecco come la fabula può tramutarsi in intreccio. Nel primo caso avremo: «Mi sono rotto il ginocchio. Ieri, sono scivolato sul ghiaccio»; nel secondo: «Nel 2004 aprì una piccola attività in Lapponia, dedicata alla pesca delle aringhe. Negli anni precedenti, aveva viaggiato a lungo per il mondo. Era partito subito dopo aver frequentato le scuole».

Ora leggiamo questo breve testo narrativo, facendo particolare attenzione al suo sviluppo cronologico:

Andreas entrò nel bar con passo pesante, e salutò l’uomo anziano in piedi dietro il bancone. Ordinò un caffè e lo bevve d’un fiato, bruciandosi un poco le labbra. Era arrivato a Jena col primo treno, all’alba. Guardando la stazione da dietro la vetrina, pensava a suo padre, che vent’anni prima aveva abbandonato la famiglia per fare il soldato, senza mai più tornare. E a sua madre: a quando, da bambina, era immigrata nel paese a bordo di un gommone di fortuna. Scrollandosi di dosso una pioggia amara di ricordi, si alzò, pagò il caffè e uscì, incamminandosi verso la torre della televisione. Il giorno prima aveva ricevuto una convocazione d’urgenza dal direttore generale: può darsi, pensava, che ci fosse ancora bisogno di lui.

Il brano riporta una serie di eventi accaduti in diversi momenti, anche a grande distanza di tempo. Come si può notare, il racconto di tali eventi non segue l’ordine logico-cronologico: l’intreccio, dunque, non coincide con la fabula. Nella seguente tabella possiamo cogliere le differenze tra i due ordini:


Intreccio Fabula
1. Andreas entra nel bar, saluta, ordina e beve un caffè. 1. La madre, bambina, immigra nel paese a bordo di un gommone.
2. Andreas arriva a Jena con il treno, al mattino presto. 2. Il padre abbandona la famiglia per fare il soldato.
3. Andreas guarda la stazione dalla vetrina, immerso nei suoi pensieri. 3. Andreas riceve una lettera di convocazione dal direttore generale.
4. Il padre abbandona la famiglia per fare il soldato. 4. Andreas arriva a Jena con il treno, al mattino presto.
5. La madre, bambina, immigra nel paese a bordo di un gommone. 5. Andreas entra nel bar, saluta, ordina e beve un caffè.
6. Andreas si alza, paga, esce e s’incammina verso la torre della televisione. 6. Andreas guarda la stazione dalla vetrina, immerso nei suoi pensieri.
7. Andreas riceve una lettera di convocazione dal direttore generale. 7. Andreas si alza, paga, esce e s’incammina verso la torre della televisione.

L’EFFICACIA ARTISTICA DELL’iNTRECCIO

In pochi casi il testo narrativo segue la fabula: infatti, scombinando l’ordine degli eventi nell’intreccio, l’autore persegue effetti particolari, come la suspense. Basti pensare ai molti libri o film polizieschi, nei quali il delitto avviene all’inizio ma l’identità del colpevole è svelata solo alla fine. Del resto, se gli avvenimenti fossero sempre presentati secondo l’ordine cronologico, verrebbero meno il senso di mistero e il gusto per l’indagine, che porta il lettore a scoprire gradualmente la verità, assumendo il punto di vista dei protagonisti.

La costruzione dell’intreccio non riguarda però solo il giallo ma ogni tipo di testo narrativo: in altri casi, non è la suspense a essere in gioco, ma la necessità di dare profondità al mondo immaginario rappresentato nel testo. Infatti, gli universi narrativi hanno un proprio passato, che spesso viene evocato attraverso i ricordi dei personaggi o le parole del narratore. Le strutture dell’intreccio servono a creare questa profondità, che sarebbe impossibile da ottenere seguendo fedelmente la fabula.

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L’ordine degli eventi

La costruzione dell’intreccio, dunque, si basa sulla violazione dell’ordine logico-cronologico con cui si verificano gli eventi di una storia. Tale violazione avviene attraverso due principali tecniche narrative, il flashback e la prolessi.

  • Il flashback [#3], o analessi (dal greco aná, “di nuovo”, e lêpsis, “il prendere”), consiste nel racconto di avvenimenti accaduti prima del momento in cui si svolge la narrazione principale. Esso è solitamente accompagnato da cambi nel tempo verbale (per esempio, si passa dal passato remoto al trapassato prossimo indicativo), da verbi riferiti all’azione del ricordare (“sovvenire”, “ricordare”, “andare indietro con la memoria” ecc.) e indicatori temporali che trasportano il lettore nel passato (come “ieri”, “due anni fa”, “quando ero un ragazzo”). Ecco un esempio di flashback tratto dall’incipit del racconto di Heinrich Böll (1917-1985) Vai troppo spesso a Heidelberg:

Alla sera, seduto in pigiama sulla sponda del letto, aspettando il notiziario di mezzanotte e fumando ancora una sigaretta, cercava di trovare in retrospettiva il punto in cui quella bella domenica gli era scappata di mano. […] La mattina aveva fatto un’ora e mezzo di bicicletta, su stradicciole di periferia, fra orticelli e terreni industriali, costeggiando campi verdi, pergolati, giardini, poi il grande cimitero fino a giungere ai margini del bosco, già ben fuori di città; su tratti asfaltati aveva aumentato l’andatura, verificando accelerazione e velocità, aveva fatto qualche scatto e aveva trovato che era ancor sempre in forma.

Heinrich Böll, Vai troppo spesso a Heidelberg, in Opere scelte, vol. II, Mondadori, Milano 2001

  • La narrazione principale si apre con il protagonista seduto sul letto, di notte, intento a ripensare alla sua giornata. Successivamente parte un flashback sugli eventi, ormai trascorsi, avvenuti nella bella domenica, iniziata con una scampagnata in bicicletta. Il flashback ha una durata variabile: può estendersi per pagine intere, oppure occupare lo spazio di poche righe. In questo caso esso occupa più della metà del racconto, riporta tutti gli accadimenti della giornata ed è segnalato, a livello dello stile, dalla formula che ci avverte che il protagonista si sta immergendo nei ricordi (cercava di trovare in retrospettiva […] scappata di mano) oltre che dall’uso del trapassato prossimo (era scappata, aveva fatto, aveva aumentato).
  • La prolessi [#4] (dal greco pró, “prima”, e lêpsis, “il prendere”) è un’anticipazione di eventi che accadranno nel futuro rispetto al momento in cui si svolge la narrazione principale. Essa comporta spesso la presenza di indicatori temporali “futuri” (“il giorno dopo”, “alla fine del mese”) e l’uso del condizionale passato (“ancora non sapeva che quella sera avrebbe incontrato l’uomo della sua vita”). Troviamo un esempio di prolessi nel racconto di Jorge Luis Borges (1899-1986), Il giardino dei sentieri che si biforcano:

[…] e appesi il ricevitore. Immediatamente dopo, riconobbi la voce che aveva risposto in tedesco. Era quella del capitano Richard Madden. Madden nell’appartamento di Viktor Runeberg voleva dire la fine dei nostri affanni e – ma questo sembrava molto secondario o così doveva sembrarmi – anche delle nostre vite. Voleva dire che Runeberg era stato arrestato o assassinato. Prima che tramontasse il sole di quel giorno, io avrei conosciuto la stessa sorte.

Jorge Luis Borges, Il giardino dei sentieri che si biforcano, in Finzioni, Adelphi, Milano 2003

  • Il protagonista ci informa attraverso una prolessi che anche lui verrà arrestato o assassinato. Le spie della prolessi sono l’espressione temporale Prima che tramontasse il sole di quel giorno, che trasporta il lettore nel futuro rispetto al presente della telefonata, e il condizionale passato avrei conosciuto, che serve a esprimere la posterità rispetto a un evento accaduto nel passato.

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TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO: L’ACRONiA

Esiste un’altra tecnica che interessa particolarmente l’ordine temporale all’interno della narrazione: l’acronia. Si parla di acronia quando si verifica una confusione tra tempi diversi, come spesso accade nei romanzi sperimentali del Novecento. I tempi si accavallano uno sull’altro, e talvolta non è nemmeno possibile individuare una narrazione principale, perché tutto si mescola in un flusso intricato, opposto alla linearità consequenziale del tempo. In vari casi, tale tecnica serve a rendere il tempo del nostro inconscio, che consiste in un groviglio in cui passato, presente e futuro si sovrappongono di continuo. Vediamo l’incipit di Mrs Dalloway di Virginia Woolf (1882-1941), nel quale si coglie un andirivieni tra il presente della narrazione e la rievocazione di sensazioni ed esperienze passate:

La signora Dalloway disse che i fiori sarebbe andata a comprarli lei.

Poiché Lucy aveva già il suo bel da fare. Bisognava tirar giù le porte dai cardini: venivano gli operai di Rumpelmayer. Eppoi, pensò Clarissa Dalloway, che mattinata!… limpida, come per farne dono ai bimbi su una spiaggia. Che delizia! Che tuffo! Sempre, infatti, le aveva fatto questo stesso effetto, a quei tempi, allorquando, spalancata la porta finestra – con un lieve cigolio dei cardini, che ancora le pareva di udire – lei si tuffava nell’aria aperta, a Bourton. Com’era fresca, là, com’era calma – e più silenziosa che qui, ovviamente – l’aria del primo mattino: come il frangersi di un’onda; il bacio di un’onda; fresca e pungente eppure (per una ragazza di diciott’anni, quale era lei allora) solenne – poiché essa sentiva, in piedi presso la finestra aperta, che qualcosa di tremendo stava per accadere; e guardava quei fiori, quegli alberi che sbucavano tra lievi spirali di bruma, le cornacchie levarsi, planare; stava là immota a guardare… quand’ecco Peter Walsh che le dice: «Stiamo a meditare sugli ortaggi?» – fu così che le disse? – «Io, per me, preferisco le persone ai cavolfiori»… le disse così?

Virginia Woolf, Mrs Dalloway, Newton Compton, Roma 2004

La mattinata limpida genera una dirompente irruzione di ricordi nella mente della protagonista, Clarissa Dalloway, e il risultato è la confusione tra il presente della narrazione e il passato in cui la donna aveva diciott’anni. Si veda anche l’oscillazione tra i tempi verbali: a poca distanza abbiamo un imperfetto (stava là immota a guardare), un presente (quand’ecco Peter Walsh che le dice), e un passato remoto (fu così che le disse?).

La durata

Dopo l’ordine degli eventi, la durata è il secondo parametro fondamentale per descrivere il trattamento del tempo all’interno delle opere narrative. La durata riguarda il rapporto tra due particolari dimensioni che compongono il testo narrativo:

  • il tempo della storia, che costituisce l’orizzonte temporale entro il quale si svolgono gli eventi narrati;
  • il tempo del racconto, ossia lo spazio (in numero di parole, di righe, di pagine) che l’autore dedica a determinati avvenimenti o descrizioni.

Queste due dimensioni non coincidono quasi mai perfettamente, anzi, spesso sono del tutto sfasate: accade così che eventi della durata di molti anni siano riassunti in poche righe o che, al contrario, azioni brevissime occupino numerose pagine. Per esempio, un romanzo può dedicare interi capitoli alla descrizione di una cena, arricchita di minimi dettagli e di lunghissimi flashback, per poi liquidare in pochi paragrafi ciò che accade ai commensali negli anni successivi. Oppure, l’autore può concentrarsi su alcuni episodi dell’infanzia del protagonista, per esempio la sua vita di strada come orfanello, e successivamente saltare in un baleno agli anni della maturità, quando magari ha già formato una famiglia o è diventato un famoso esploratore.


I principali fenomeni di durata, che riportiamo di seguito, riguardano i diversi rapporti che si possono creare tra il tempo della storia e quello del racconto.

  • Ellissi: il tempo del racconto si ferma, mentre quello della storia continua a procedere; l’autore sorvola infatti su alcuni eventi, di cui non viene detto nulla, anche se si presuppone che accadano lo stesso. Abbiamo così, per esempio tra un capitolo e l’altro, vuoti narrativi, riferiti a un arco temporale giudicato superfluo ai fini della narrazione, oppure brevi formule come “molti anni dopo” o “dopo mesi di felicità” che servono a imprimere un brusco salto temporale, omettendo fatti accaduti in un certo periodo. Un esempio di ellissi si trova in questo brano tratto dalla Cripta dei cappuccini di Joseph Roth (1894-1939), in cui il protagonista, un sottotenente austriaco, viene fatto prigioniero in battaglia e deportato in Siberia:

Delle vie traverse e diritte per le quali arrivammo in Siberia non sto a raccontare. Vie diritte e traverse s’intendono da sé. Dopo sei mesi arrivammo a Wiatka.

Wiatka è nell’interno della Siberia, sul fiume Lena. Il viaggio durò circa sei mesi. I giorni li avevamo scordati durante questo itinerario, si susseguivano innumerevoli e senza fine. Chi conta i coralli di una collana a sei fili? Sei mesi circa durò il nostro trasporto. In settembre era cominciata la nostra prigionia, quando arrivammo era marzo.

Joseph Roth, La cripta dei cappuccini, Adelphi, Milano 1974

  • Sommario: il tempo della storia scorre più velocemente del tempo del racconto. Nel sommario, eventi che coprono un determinato arco cronologico vengono riassunti in una porzione di testo che, in proporzione, è molto minore. Per esempio, un’intera giornata viene condensata in una frase, oppure un piccolo paragrafo serve a descrivere, sinteticamente, ciò che nella storia occupa invece un paio d’anni. Leggiamo la parte finale dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni (1785-1873), in cui finalmente Renzo e Lucia, dopo mille peripezie, approdano al lieto fine; il felice esito del loro matrimonio viene condensato in poche righe:

Prima che finisse l’anno del matrimonio, venne alla luce una bella creatura; e, come se fosse fatto apposta per dar subito opportunità a Renzo d’adempire quella sua magnanima promessa, fu una bambina; e potete credere che le fu messo nome Maria. Ne vennero poi col tempo non so quant’altri, dell’uno e dell’altro sesso: e Agnese affaccendata a portarli in qua e in là, l’uno dopo l’altro, chiamandoli cattivacci, e stampando loro in viso de’ bacioni, che ci lasciavano il bianco per qualche tempo. E furon tutti ben inclinati; e Renzo volle che imparassero tutti a leggere e scrivere, dicendo che, giacché la c’era questa birberia, dovevano almeno profittarne anche loro.

Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Rizzoli, Milano 2014

  • Scena: il tempo della storia e quello del racconto coincidono, in quanto la narrazione riporta in presa diretta gli eventi. Tale coincidenza si verifica nelle scene dialogate, in cui più personaggi discorrono fra loro, oppure anche quando il narratore riporta in modo minuzioso e senza omissioni un particolare evento. La scena che proponiamo è tratta dalle Avventure di Pinocchio di Collodi (1826-1890); il burattino, braccato dagli assassini, bussa disperatamente alla porta della Fata Turchina:

Avvedutosi1 che il bussare non giovava a nulla, cominciò per disperazione a dare calci e zuccate2 nella porta. Allora si affacciò alla finestra una bella Bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un’immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto, la quale senza muover punto3 le labbra, disse con una vocina che pareva venisse dall’altro mondo:

«In questa casa non c’è nessuno; sono tutti morti».

«Aprimi almeno tu!», gridò Pinocchio piangendo e raccomandandosi.4

«Sono morta anch’io».

«Morta? e allora che cosa fai costì5 alla finestra?».

«Aspetto la bara che venga a portarmi via».

Appena detto così, la Bambina disparve e la finestra si richiuse senza far rumore.

«O bella Bambina dai capelli turchini», gridava Pinocchio, «aprimi per carità! Abbi compassione di un povero ragazzo inseguito dagli assass…».

C. Collodi, Pinocchio, Giunti, Firenze 2002

  • Analisi: il tempo della storia scorre più lentamente del tempo del racconto. In questo caso si crea un effetto di rallentamento, per cui lo spazio dedicato alla narrazione di un evento si allarga ben più del necessario, per via di minuziose descrizioni o di divagazioni di altro tipo. Si genera così una sproporzione tra la durata degli eventi (nel tempo della storia) e lo spazio che l’autore vi dedica (nel tempo del racconto). Nel quinto capitolo di Gita al faro (1927) di Virginia Woolf, la protagonista prova un calzerotto a suo figlio, perché vuole donarlo a un bambino, figlio del guardiano del faro, che ha pressappoco la stessa taglia. Tale semplice azione occupa ben cinque pagine, poiché viene inframezzata a più riprese da lunghe digressioni, che per lo più seguono il flusso di pensieri della signora Ramsay. Riportiamo l’inizio del capitolo, in cui emerge l’alternanza fra l’atto di provare il calzerotto e i pensieri della signora Ramsay, distratta da una coppia di amici, di passaggio proprio in quel momento:

«Dovesse non fare bello domani», disse Mrs Ramsay, sollevando lo sguardo su William Bankes e Lily Briscoe mentre passavano, «sarà per un altro giorno. E ora», proseguì, pensando che il fascino di Lily risiedesse nei suoi occhi cinesi, obliqui in quel suo viso bianco e scarno, ma che ci sarebbe voluto un uomo abile per accorgersene, «e ora alzati che devo misurarti la gamba», perché non era da escludere che andassero al Faro, e lei voleva controllare che i calzerotti non avessero bisogno di essere allungati di un centimetro o due.

Sorridendo per una brillante idea che le era balenata proprio in quel momento – William e Lily avrebbero dovuto sposarsi – prese il calzerotto color d’erica e lo misurò sulla gamba di James.

Virginia Woolf, Gita al faro, Dalai, Milano 2012

  • Pausa: il tempo della storia si ferma mentre quello del racconto procede. Ciò avviene in presenza di commenti del narratore, descrizioni o digressioni: l’azione si arresta per lasciare spazio alle parole del narratore, che invece di procedere con la sequenza degli eventi indugia sui luoghi o sui personaggi, magari attraverso flashback o prolessi. Nel racconto L’andata di Beppe Fenoglio (1922-1963), alcuni partigiani impegnati in un’azione di guerriglia raggiungono Treiso, un paese vicino alla città di Alba. A questo punto, il tempo della storia viene momentaneamente sospeso per lasciare il posto a una descrizione spaziale:

Intorno a Treiso e dentro non trovarono nemmeno un borghese. Partigiani non se n’aspettavano, perché dalla caduta di Alba il paese mancava di guarnigione. Si fermarono nel mezzo della piazzetta della chiesa e stettero a gambe piantate larghe a guardare ciascuno il suo punto cardinale. Colonnello, che man mano che s’avvicinava ad Alba si sentiva crescere dentro un certo mal di pancia, corrugò la fronte e letteralmente si mandò giù dalla spalla il moschetto.6 Da quella piazzetta si domina un po’ di Langa a sinistra e a destra le colline dell’Oltretanaro dopo le quali c’è la pianura in fondo a cui sta la grande città di Torino. I vapori del mattino si alzavano adagio e le colline apparivano come se si togliesse loro un vestito da sotto in su.

Beppe Fenoglio, I ventitre giorni della città di Alba, Einaudi, Torino 2015

EmozionArti
Il tempo dell’artista

Un tavolo e due donne che si guardano… La donna con il vestito rosso è l’artista Marina Abramović (n. 1946), attiva dagli anni Settanta e protagonista di performance (“azioni artistiche”) che indagano il rapporto tra l’artista e il pubblico e la capacità del corpo di superare i propri limiti. La fotografia documenta la performance The Artist is Present (L’artista è presente), svoltasi al MoMA di New York. Per tutta la durata della mostra (14 marzo-31 maggio 2010), nei giorni e negli orari di apertura del museo (7 ore al giorno consecutive per 6 giorni alla settimana), la Abramović è rimasta seduta immobile e in silenzio su una sedia. Di fronte a lei una sedia vuota dove i visitatori potevano accomodarsi e sostare quanto volevano. L’artista dona a chi lo richieda la sua presenza, il suo silenzio, il suo sguardo e… il tempo, un tempo lento, protratto ai limiti della resistenza fisica, che si impone con grande contrasto in un mondo veloce e denso di azioni.

EmozionArti
Il tempo della memoria

La persistenza della memoria o Gli orologi molli di Salvador Dalí (1904-1989) è una delle opere più note sul tema della percezione del tempo. Per Dalí l’orologio, simbolo di un tempo misurabile e oggettivo, diventa molle (per rappresentarlo l’artista si ispira alla mollezza del formaggio camembert). Il tempo della memoria, del mondo interiore è liquido… Nei nostri ricordi e nella nostra percezione il tempo assume altri valori: anni possono correre veloci come secondi e una sola ora durare un’eternità.

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La frequenza

L’ultima categoria legata al tempo nella narrazione è la frequenza, che riguarda la distinzione tra eventi unici ed eventi iterativi. Un evento unico avviene, com’è ovvio, una sola volta, in una porzione di tempo ben definita («L’anno scorso, caddi da cavallo durante una gita in campagna»). Al contrario, un evento iterativo si verifica più volte, senza che si possa inquadrare un lasso di tempo circoscritto («L’anno scorso andavo sempre al lavoro in automobile»). Nello studio dei testi narrativi distinguiamo tra frequenza singolativa e iterativa.

  • Frequenza singolativa: il testo descrive eventi unici e avvenuti in un determinato momento del tempo. Questo genere di frequenza è spesso reso attraverso il passato remoto. Leggiamo l’incipit del romanzo La chimera di Sebastiano Vassalli (1941-2015), in cui l’unicità dei fatti narrati viene rafforzata dalla precisione delle indicazioni temporali:

Nella notte tra il 16 e il 17 gennaio 1590, giorno di Sant’Antonio abate, mani ignote deposero sul torno cioè sulla grande ruota in legno che si trovava all’ingresso della Casa di Carità di San Michele fuori le mura, a Novara, un neonato di sesso femminile, scuro d’occhi, di pelle e di capelli: per i gusti dell’epoca, quasi un mostro. […] Il mostro visse. Venne battezzato due giorni dopo il suo ritrovamento (era domenica), nella chiesetta medioevale di San Michele, annessa alla Pia Casa, e si chiamò Antonia Renata Giuditta Spagnolini.

Sebastiano Vassalli, La chimera, Einaudi, Torino 1992

  • Frequenza iterativa [#5]: il testo rappresenta eventi iterativi, cioè abituali o ripetuti nel tempo. Tale frequenza viene spesso marcata dall’uso dell’imperfetto, adatto a esprimere azioni che non si lasciano confinare in un singolo momento. Nella seguente descrizione tratta dal romanzo Il potere del cane di Don Winslow (n. 1953), Adán, futuro spietato boss della droga, ricorda con nostalgia le estati della sua infanzia, passate in una località di montagna in mezzo ai contadini:

Adán amava le serate estive più di ogni altra cosa, quando le famiglie si riunivano, le donne cucinavano, sciami di bambini correvano dappertutto ridendo allegramente, e gli uomini sorseggiavano birra fredda, parlando dei raccolti, del tempo e del bestiame. Poi sedevano tutti insieme alle grandi tavole imbandite sotto le antiche querce, e subito calava il silenzio, perché mangiare era una faccenda seria. Una volta placata la fame, il chiacchiericcio ricominciava.

Don Winslow, Il potere del cane, Einaudi, Torino 2014

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2. La struttura narrativa

Le fasi

L’architettura di un testo narrativo è come lo scheletro di un essere vivente: sostiene l’organismo, funziona da intelaiatura per il corpo, protegge i centri vitali. Per individuare la struttura è necessario soffermarsi su alcuni schemi ricorrenti nella costruzione delle storie. Narrazioni anche molto diverse tra loro, infatti, possono essere scomposte in una serie di fasi costanti o simili, che riflettono i processi della vita reale: le storie di finzione hanno un inizio, uno svolgimento e una fine, proprio come gli esseri viventi, i cieli, le stelle e probabilmente l’intero universo.

È possibile suddividere la struttura della fabula, cioè qualsiasi narrazione intesa in successione logico-cronologica, in quattro fasi:

1. situazione iniziale;

2. esordio;

3. peripezie;

4. scioglimento.

  • 1. Situazione iniziale: il racconto presenta i luoghi, i personaggi e la loro condizione. È il punto di partenza della fabula, che può coincidere con uno stato di equilibrio o con una condizione conflittuale: pensiamo per esempio a una fiaba che comincia in un reame felice oppure a un romanzo che si apre nel bel mezzo di una guerra.
  • L’incipit della narrazione può coincidere con l’inizio della fabula. In tal caso, il lettore viene subito informato sulla situazione iniziale: gradualmente, il testo ci guida alla scoperta di luoghi, spazi e personaggi, preparandoci a seguire i successivi sviluppi della trama. Ciò accade, per esempio, nella pagina iniziale della Montagna incantata di Thomas Mann (1875-1955):

Un semplice giovanotto era partito nel colmo dell’estate da Amburgo, sua città natale, per Davos-Platz nel Canton Grigioni.7 Andava in visita per tre settimane. […] Hans Castorp (così si chiamava il giovane), con una valigetta di coccodrillo, dono del suo tutore e zio, il console Tienappel (per dire subito anche questo nome), col suo cappotto invernale, che oscillava appeso a un gancio, e la coperta di viaggio arrotolata, si trovava solo sui cuscini grigi di un piccolo compartimento.

Thomas Mann, La montagna incantata, Corbaccio, Milano 2012

  • Altre volte, invece, il testo comincia in medias res (in latino, “nel mezzo dei fatti”), aprendosi d’improvviso su un’azione già in corso, senza fornire le informazioni preliminari sugli avvenimenti, che verranno invece offerte successivamente tramite l’analessi. Leggiamo l’incipit del racconto fantastico Metallo urlante di Valerio Evangelisti (n. 1952):

La prima orda di guerrieri uscì urlando dal tempio di pietra che chiudeva l’accesso alla caverna Kitum. Il frastuono fu tale che Clarisse Lévy dovette coprirsi le orecchie, per quanto glielo permettevano le dita d’oro che avevano preso il posto di quelle rose dal virus. Il binocolo le cadde sul petto, ma non c’era alcun bisogno di ingrandire la visione per coglierne tutto l’orrore. I giganti neri e luccicanti scaturiti dalle grotte avevano ben poco di umano, e i rari tratti di pelle scura che conservavano si confondevano con l’acciaio brunito bioattivo8 da cui erano avvolti.

Valerio Evangelisti, Metallo urlante, Einaudi, Torino 2010

  • 2. Esordio: è la fase della fabula che interviene a modificare la situazione iniziale. Sia che alteri l’equilibrio di partenza, sia che intensifichi ulteriormente un conflitto già in opera, l’esordio dà il via allo sviluppo della narrazione, mettendo in moto la catena degli eventi. Eccone un esempio nelle Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll (1832-1898). La protagonista si annoia mentre si trova all’aria aperta, insieme a sua sorella, quando, tutt’a un tratto, compare un coniglio parlante; Alice ne è talmente colpita che inizia a seguirlo, dando così avvio alla sua avventura in un “altro mondo”:

Così andava considerando nella propria mente (per quanto le era possibile, perché la calura del giorno l’assonnava e l’istupidiva) se lo svago di comporre una ghirlanda di pratoline9 valesse la pena di alzarsi a raccoglierle, allorché improvvisamente un Coniglio Bianco con gli occhi rosa le passò di corsa a fianco. Non c’era nulla di tanto notevole in ciò; né parve ad Alice poi tanto fuori dall’ordinario udire il Coniglio che diceva tra sé: «Povero me! Povero me! Arriverò troppo tardi!» (quando in seguito ci ripensò, le passò per la testa che avrebbe dovuto meravigliarsene, ma sul momento le sembrò del tutto naturale); però quando il Coniglio veramente trasse un orologio dal taschino del panciotto10 e, guardatolo, si affrettò, Alice balzò in piedi, perché le balenò in mente che mai prima di allora aveva visto un coniglio dotato di taschino da panciotto e d’orologio da trarre fuori da quello; e, fremente di curiosità, lo rincorse attraverso il campo, facendo appena in tempo a vederlo cacciarsi dentro a una gran tana da conigli sotto la siepe.

Lewis Carroll, Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie e Al di là dello Specchio, Einaudi, Torino 2003

  • 3. Peripezie: i protagonisti vivono avventure di vario genere, in cui la loro condizione, esposta ad alterne fortune, può migliorare o peggiorare. Gli eroi viaggiano per mare sulle tracce di una mostruosa balena; lo scaltro detective si impegna per risolvere il delitto perfetto; il prigioniero, fuggito da una terribile prigione, deve tornare a casa, percorrendo una lunga distanza a piedi… Al termine di queste vicissitudini (o, appunto, peripezie) si giunge al culmine dell’intreccio, chiamato con la parola tedesca Spannung, che costituisce il momento di massima tensione. Prendiamo un brano tratto dalla Chiave a stella di Primo Levi (1919-1987). Il protagonista, di nome Faussone, è un abile montatore alle prese con un lavoro complicato e pericoloso: piazzare un derrick, un’enorme torre d’acciaio per la perforazione dei pozzi petroliferi, in mezzo al mare, in Alaska. Dopo molteplici disavventure, la torre inizia finalmente a salire:

In cabina di comando c’era l’ingegnere col binocolo e il cronometro, davanti ai comandi radio, e lì è incominciata la cerimonia. Sembrava di essere davanti alla televisione quando si toglie l’audio. Luis schiacciava dei bottoni uno per uno, come dei campanelli, ma non si sentiva niente, solo noi che respiravamo, ma respiravamo in punta di piedi. E a un certo punto si è visto il derrick che cominciava a pendere, come un bastimento quando sta per andare a fondo […]. Pendeva sempre di più, la piattaforma di sopra si sollevava, finché facendo una gran schiuma si è messo in piedi, è disceso ancora un poco e si è fermato netto, come un’isola, ma era un’isola che l’avevamo fatta noi.

Primo Levi, La chiave a stella, Einaudi, Torino 1991

  • 4. Scioglimento: siamo all’epilogo del racconto, che mette fine alle peripezie. In caso di lieto fine, l’esito coincide con il ripristino della situazione iniziale, o con l’ottenimento di una condizione ancora migliore di quella da cui si era partiti. La fabula però può concludersi anche con una catastrofe, per esempio la morte o il fallimento del protagonista. Un’altra possibilità è rappresentata dal finale aperto, che non presenta un esito definitivo della vicenda: può essere che molte cose siano lasciate in sospeso, oppure che la storia faccia presagire ulteriori sviluppi, magari svolti diffusamente in un seguito.
    Come esempio di scioglimento catastrofico, riportiamo la conclusione di Vecchio Blister, un racconto di Beppe Fenoglio, incluso nella raccolta I ventitre giorni della città di Alba (1952). All’epoca della Resistenza contro il nazismo, un partigiano di nome Blister si rende colpevole di furto ai danni di una famiglia: i suoi compagni decidono di giustiziarlo, ma Blister, dal canto suo, crede fino all’ultimo si tratti di una finta esecuzione, messa in piedi solo per spaventarlo. Comprende l’amara verità solo alla fine, quando ode il rumore di una zappa e si accorge che qualcuno, poco lontano, gli sta scavando la fossa. Il racconto si chiude sui primi colpi sparati dai partigiani:

Morris tendeva l’orecchio al castagneto, sentiva venirne il picchio della zappa di Pietro, faceva un rumore dolce. Guardò Blister per capire se anche lui sentiva quel rumore, ma dalla faccia sembrava di no e allora Morris si disse che Blister era veramente vecchio.

Invece Blister afferrò quel rumore e capì ed emise un mugolio di quelli che fanno gli idioti che han sempre la bocca spalancata. Poi urlò: «Raoul…!» con una voce che fece drizzar le orecchie a tutti i cani nella lunga valle, e corse incontro a Set che era apparso in fondo al corridoio.11 Corse avanti colle mani protese come a tappar la bocca dell’arma di Set e così i primi colpi gli bucarono le mani.

Beppe Fenoglio, I ventitre giorni della città di Alba, Einaudi, Torino 2015

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Le sequenze

Un metodo fondamentale per analizzare i testi narrativi è quello di dividerli in sequenze. La sequenza è una porzione di testo che possiede caratteristiche omogenee: un particolare dialogo tra due personaggi, la descrizione di un avvenimento o di un luogo, la riflessione di un personaggio sul senso delle proprie sventure, l’emersione di un ricordo di gioventù e via dicendo. Se il testo narrativo fosse una costruzione Lego, le sequenze sarebbero i mattoncini: il risultato finale è ottenuto dall’incastro di molti pezzi diversi tra loro, ciascuno con la sua funzione all’interno della struttura globale.

Le sequenze sono caratterizzate dalla presenza degli stessi personaggi e dal permanere della stessa unità di tempo e di luogo. Se viene introdotto sulla scena un nuovo personaggio oppure si verifica un salto temporale o un cambiamento di luogo, è certo che siamo in una nuova sequenza. Per esempio, durante la dettagliata descrizione di un maniero abbandonato, d’improvviso il protagonista viene sorpreso e terrorizzato dalle urla di un fantasma: la descrizione e il fantasma appartengono a due sequenze diverse.

È possibile distinguere le sequenze a seconda della funzione che svolgono nel testo. Utilizziamo come modelli brani tratti dal racconto di Edgar Allan Poe (1809-1849) Lo scarabeo d’oro.

  • Sequenze descrittive: delineano le caratteristiche di luoghi e personaggi. Si tratta di sequenze statiche, perché con esse si verifica una pausa, cioè una temporanea sospensione della progressione degli eventi (il tempo della storia si ferma):

Aveva preso dimora sull’isola di Sullivan, non lontano da Charleston, Carolina del Sud. È questa un’isola assai singolare. Offre poco più che sabbia marina, ed è lunga circa tre miglia. In nessun punto la sua ampiezza eccede un quarto di miglia. La disgiunge dalla terra ferma un fiumiciattolo a mala pena riconoscibile, e che defluisce in mezzo ad un disordinato folto di canne e fango, prediletta dimora della gallinella d’acqua. La vegetazione, naturalmente, è rada, rattrappita. Non si scorgono alberi imponenti.

Edgar Allan Poe, Lo scarabeo d’oro, in I racconti, Einaudi, Torino 2009

  • Sequenze narrative: riportano azioni e accadimenti. Tali sequenze, di tipo dinamico, sono decisive per la progressione dell’intreccio, cioè per l’evolversi e l’avvicendarsi delle situazioni narrative (il protagonista intraprende un viaggio, incontra una persona, riceve una telefonata, scala una montagna ecc.):

Poco prima del tramonto, mi feci strada attraverso i sempreverdi fino alla capanna del mio amico, che da varie settimane non vedevo […]. Giunto alla capanna bussai, come ero solito fare, e non ottenendo risposta cercai la chiave dove la sapevo nascosta, apersi la porta ed entrai. Nel focolare era acceso un bel fuoco: cosa inconsueta, e davvero gradevole. Mi tolsi il cappotto, accostai una scranna alla legna scoppiettante, e pazientemente attesi il ritorno dei miei ospiti.

Edgar Allan Poe, Lo scarabeo d’oro, cit.

  • Sequenze dialogate: registrano i dialoghi dei personaggi. Si tratta di sequenze dinamiche, perché grazie a esse si verifica una progressione del tempo della storia:

Raggiungendo il molo, notai una falce e tre badili, tutti evidentemente nuovi, gettati in fondo alla barca che ci aspettava.

«Che significano queste cose, Jup?», domandai.

«È la sua falce, signore, e i badili».

«Lo vedo, ma che ci fanno qui?».

«La falce e i badili che Massa Will mi ha detto di comprargli in città, e io li ho pagati un sacco di quattrini».

«Ma, nel nome di tutti i misteri, che ci vuol fare Massa Will con falce e badili?».

«Questo davvero non so, e il diavolo mi porti se lui ne sa qualcosa di più; ma viene tutto dallo scarabeo».

Edgar Allan Poe, Lo scarabeo d’oro, cit.

  • Sequenze riflessive: sono le porzioni di testo in cui vengono riportati pensieri e riflessioni dei personaggi o del narratore. Tali sequenze sono di tipo statico, cioè non comportano un avanzamento dell’azione ma svolgono un ruolo fondamentale per mettere in luce l’interiorità e la psicologia dei personaggi:

Nel tono di quel biglietto c’era qualcosa che mi metteva a disagio. Lo stile non era quello consueto di Legrand. Che aveva in mente? Quale inedita stravaganza s’era impadronita del suo cervello irrequieto? E quali «faccende della massima importanza» poteva mai avere per le mani? Il racconto di Jupiter non prometteva nulla di buono. Temevo che la continuata vessazione12 della sventura avesse alla fine del tutto stravolto la ragione del mio amico.

Edgar Allan Poe, Lo scarabeo d’oro, cit.

  • Sequenze miste: può capitare infine di incontrare sequenze che presentano elementi riconducibili a due o più tipologie, mescolate insieme. In questo caso si parla di sequenze miste, divise per esempio tra dialogo e narrazione, oppure tra dialogo e riflessione. Di seguito un esempio tratto dal racconto di fantascienza Villaggio incantato di Alfred Elton Van Vogt (1912-2000), in cui si intrecciano elementi narrativi, riflessivi e descrittivi:

Quando arrivò ai piedi della montagna, le sue vettovaglie erano finite da un pezzo. Delle quattro borse gommate piene d’acqua, glien’era rimasta soltanto una, e anche questa era così vicina ad essere vuota ch’egli si limitava a inumidirsi le labbra screpolate e la lingua enfiata13 solo quando la sete diventava intollerabile. Bill Jenner si era già arrampicato di parecchio, allorché si accorse che questa volta non si trattava di un’altra duna sabbiosa. Si fermò e guardando la montagna che torreggiava inaccessibile sopra di lui sentì la sua dura volontà vacillare: per un istante sentì tutta la disperata inutilità di quella corsa affannosa senza meta… Tuttavia, riuscì a giungere sulla vetta. E vide ai suoi piedi una depressione chiusa da monti alti come quello su cui era giunto. E annidato nella conca, un villaggio.

Alfred Elton Van Vogt, Villaggio incantato, in Le meraviglie del possibile, Einaudi, Torino 1992

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Il ritmo

Dalla scelta e dal montaggio di sequenze appartenenti alle diverse tipologie appena elencate dipende il ritmo [#6] di un testo narrativo. L’uso di sequenze dinamiche tende ad accelerare il ritmo, mentre il ricorso a quelle statiche lo rallenta, fermando il corso degli eventi per descrivere oggetti concreti o realtà immateriali, come la vita interiore dei personaggi. Come in una sinfonia musicale, l’autore alterna lentezza e velocità, raggiungendo un equilibrio di volta in volta particolare, conforme alle esigenze del genere letterario e ai suoi gusti personali. Infatti, i romanzi d’avventura, polizieschi o di fantascienza sono più inclini all’impiego di sequenze dinamiche, che permettono di sviluppare intrecci elaborati e pieni di colpi di scena. D’altra parte, generi come il romanzo sentimentale o quello introspettivo fanno largo uso di sequenze statiche, utili per restituire emozioni e pensieri dei personaggi. Ma attenzione, le distinzioni non sono mai troppo rigide: possiamo trovare lunghe sequenze statiche, magari riflessive, nei romanzi d’avventura, oppure una rapida serie di sequenze dinamiche in un racconto d’amore.

Anche la durata gioca un ruolo cruciale nel rendere il ritmo più o meno vivace. La pausa e l’analisi tendono a rallentare; la scena e il sommario producono al contrario un effetto ritmico di velocità. L’ellissi, a sua volta, determina una forte accelerazione. Omettendo porzioni più o meno estese di tempo, l’autore può concentrarsi sui punti salienti dell’intreccio, creando anche dei vuoti che il lettore può colmare a piacimento. Infatti, nulla vieta di immaginarci “privatamente” ciò che l’autore ha preferito tacere: come musicisti che eseguono una partitura, anche noi – durante la lettura – partecipiamo attivamente alla costruzione dell’intreccio e alla tenuta del ritmo.

L’emozione della lettura - edizione gialla - volume A
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Narrativa