T2 - La vita nel lager

T2

La vita nel lager

  • Tratto da Se questo è un uomo, 1947
  • memorialistica

Per non soccombere entro pochi giorni dall’arrivo al campo, bisogna imparare tempestivamente le complesse e insensate norme che ne regolano la vita. Il brano, tratto dal secondo capitolo del libro, intitolato Sul fondo, descrive la topografia di Auschwitz e presenta l’inumana routine di privazioni e immani fatiche cui sono quotidianamente sottoposti i deportati.

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Audiolettura

Abbiamo ben presto imparato che gli ospiti del Lager1 sono distinti in tre categorie:
i criminali, i politici2 e gli ebrei. Tutti sono vestiti a righe, sono tutti Häftlinge,3 ma i
criminali portano accanto al numero, cucito sulla giacca, un triangolo verde; i politici
un triangolo rosso; gli ebrei, che costituiscono la grande maggioranza, portano 

5      la stella ebraica,4 rossa e gialla. Le SS5 ci sono sì, ma poche, e fuori del campo, e si
vedono relativamente di rado: i nostri padroni effettivi sono i triangoli verdi, i quali
hanno mano libera su di noi, e inoltre quelli fra le due altre categorie che si prestano
ad assecondarli: i quali non sono pochi.

Ed altro ancora abbiamo imparato, più o meno rapidamente, a seconda del 

10    carattere di ciascuno; a rispondere «Jawohl»,6 a non fare mai domande, a fingere
sempre di avere capito. Abbiamo appreso il valore degli alimenti; ora anche noi
raschiamo diligentemente il fondo della gamella7 dopo il rancio,8 e la teniamo sotto
il mento quando mangiamo il pane per non disperderne le briciole. Anche noi
adesso sappiamo che non è la stessa cosa ricevere il mestolo di zuppa prelevato dalla 

15    superficie o dal fondo del mastello,9 e siamo già in grado di calcolare, in base alla
capacità dei vari mastelli, quale sia il posto più conveniente a cui aspirare quando
ci si mette in coda.

Abbiamo imparato che tutto serve; il fil di ferro, per legarsi le scarpe; gli stracci,
per ricavarne pezze da piedi; la carta, per imbottirsi (abusivamente) la giacca contro 

20    il freddo. Abbiamo imparato che d’altronde tutto può venire rubato, anzi, viene
automaticamente rubato non appena l’attenzione si rilassa; e per evitarlo abbiamo
dovuto apprendere l’arte di dormire col capo su un fagotto fatto con la giacca, e
contenente tutto il nostro avere, dalla gamella alle scarpe.

Conosciamo già in buona parte il regolamento del campo, che è favolosamente 

25    complicato. Innumerevoli sono le proibizioni: avvicinarsi a meno di due metri dal
filo spinato;10 dormire con la giacca, o senza mutande, o col cappello in testa; servirsi
di particolari lavatoi11 e latrine12 che sono “nur für Kapos”13 o “nur für Reichs­deutsche”;14
non andare alla doccia nei giorni prescritti, e andarci nei giorni non
prescritti; uscire di baracca con la giacca sbottonata, o col bavero15 rialzato; portare 

30    sotto gli abiti carta o paglia contro il freddo; lavarsi altrimenti16 che a torso nudo.

Infiniti e insensati sono i riti da compiersi: ogni giorno di mattino bisogna fare
“il letto”, perfettamente piano e liscio; spalmarsi gli zoccoli fangosi e repellenti con
l’apposito grasso da macchina, raschiare via dagli abiti le macchie di fango (le macchie
di vernice, di grasso e di ruggine sono invece ammesse); alla sera, bisogna sottoporsi 

35    al controllo dei pidocchi e al controllo della lavatura dei piedi; al sabato
farsi radere la barba e i capelli, rammendarsi o farsi rammendare gli stracci; alla
domenica, sottoporsi al controllo generale della scabbia17 e al controllo dei bottoni
della giacca, che devono essere cinque.

Di più, ci sono innumerevoli circostanze, normalmente irrilevanti, che qui diventano 

40    problemi. Quando le unghie si allungano, bisogna accorciarle, il che non si
può fare altrimenti che coi denti (per le unghie dei piedi basta l’attrito delle scarpe);
se si perde un bottone bisogna saperselo riattaccare con un filo di feltro;18 se si va
alla latrina o al lavatoio, bisogna portarsi dietro tutto, sempre e dovunque, e mentre
ci si lavano gli occhi, tenere il fagotto degli abiti stretto fra le ginocchia: in qualunque 

45    altro modo, esso in quell’attimo verrebbe rubato. Se una scarpa fa male bisogna
presentarsi alla sera alla cerimonia del cambio delle scarpe: qui si mette alla prova la
perizia19 dell’individuo, in mezzo alla calca incredibile bisogna saper scegliere con
un colpo d’occhio una (non un paio: una) scarpa che si adatti, perché, fatta la scelta,
un secondo cambio non è concesso.

50    Né si creda che le scarpe, nella vita del Lager, costituiscano un fattore d’importanza
secondaria. La morte incomincia dalle scarpe: esse si sono rivelate, per la
maggior parte di noi, veri arnesi di tortura, che dopo poche ore di marcia davano
luogo a piaghe dolorose che fatalmente si infettavano. Chi ne è colpito, è costretto
a camminare come se avesse una palla al piede (ecco il perché della strana andatura 

55    dell’esercito di larve20 che ogni sera rientra in parata);21 arriva ultimo dappertutto, e
dappertutto riceve botte; non può scappare se lo inseguono; i suoi piedi si gonfiano,
e più si gonfiano, più l’attrito con il legno e la tela delle scarpe diventa insopportabile.
Allora non resta che l’ospedale: ma entrare in ospedale con la diagnosi di “dicke F
üsse” (piedi gonfi) è estremamente pericoloso, perché è ben noto a tutti, ed alle SS 

60    in ispecie, che di questo male, qui, non si può guarire.

E in tutto questo, non abbiamo ancora accennato al lavoro, il quale è a sua volta
un groviglio di leggi, di tabù22 e di problemi.

Tutti lavoriamo, tranne i malati (farsi riconoscere come malato comporta di per
sé un imponente bagaglio di cognizioni e di esperienze). Tutte le mattine usciamo 

65    inquadrati dal campo alla Buna;23 tutte le sere, inquadrati, rientriamo. Per quanto
concerne il lavoro, siamo suddivisi in circa duecento Kommandos,24 ognuno dei
quali conta da quindici a centocinquanta uomini ed è comandato da un Kapo. Vi
sono Kommandos buoni e cattivi:25 per la maggior parte sono adibiti a trasporti,
e il lavoro vi è assai duro, specialmente d’inverno, se non altro perché si svolge 

70    sempre all’aperto. Vi sono anche Kommandos di specialisti (elettricisti, fabbri, muratori,
saldatori, meccanici, cementisti, ecc.), ciascuno addetto a una certa officina
o reparto della Buna, e dipendenti in modo più diretto da Meister26 civili, per lo
più tedeschi e polacchi; questo avviene naturalmente solo nelle ore di lavoro: nel
resto della giornata, gli specialisti (non sono più di tre o quattrocento in tutto) non 

75    hanno trattamento diverso dai lavoratori comuni. All’assegnazione dei singoli ai
vari Kommandos sovrintende uno speciale ufficio del Lager, l’Arbeitsdienst,27 che è
in continuo contrasto con la direzione civile della Buna. L’Arbeitsdienst decide in
base a criteri sconosciuti, spesso palesemente in base a protezioni e corruzioni, in
modo che, se qualcuno riesce a procurarsi da mangiare, è anche praticamente sicuro 

80    di ottenere un buon posto in Buna.

L’orario di lavoro è variabile con la stagione. Tutte le ore di luce sono ore lavorative:
perciò si va da un orario minimo invernale (ore 8-12 e 12,30-16) a uno massimo
estivo (ore 6,30-12 e 13-18). Per nessuna ragione gli Häftlinge possono trovarsi al
lavoro nelle ore di oscurità o quando c’è nebbia fitta, mentre si lavora regolarmente 

85    anche se piove o nevica o (caso assai frequente) soffia il vento feroce dei Carpazi;28
questo in relazione al fatto che il buio o la nebbia potrebbero dare occasione a tentativi
di fuga.

Una domenica ogni due è regolare giorno lavorativo; nelle domeniche cosiddette
festive, invece di lavorare in Buna si lavora di solito alla manutenzione del Lager, in 

90    modo che i giorni di effettivo riposo sono estremamente rari.


Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino 1986

 >> pagina 477 

a TU per TU con il testo

Dimentichiamoci dei valori del mondo libero e civile. Dimentichiamo quello che, con le tradizioni e con le leggi, ci hanno insegnato nelle nostre case e nelle nostre scuole: nel lager, ciò che è giusto, ciò che è buono, ciò che è umano, è tutto oggetto di una sistematica negazione. I deportati, giorno dopo giorno, sono assoggettati a un assurdo che non ha mai fine: un assurdo logico, perché i minuziosi precetti che normano la loro quotidianità sono folli e le proibizioni e i divieti si accumulano, privi di senso. È un assurdo morale, perché la fatica e le privazioni dell’estenuante giornata di lavoro distruggono lo spirito e il cuore degli schiavi del campo, eccitando egoismi e delazioni tra i compagni di sventura. Auschwitz, pertanto, è il mondo alla rovescia, e solo un attonito orrore può sorgere in risposta alla domanda: perché?

 >> pagina 478 

Analisi

Il passo illustra la composizione sociale del campo e i suoi effetti sui detenuti: dietro l’apparente uguaglianza, simboleggiata dalla collettiva denominazione di Häftlinge e dalla divisa a righe, gli ospiti di Auschwitz appartengono in realtà a categorie ben distinte. Accanto alla maggioranza di ebrei, infatti, le SS concentrano nel campo anche criminali comuni e avversari politici del regime: i primi ricoprono, per disposizione delle SS, posizioni di comando nella gerarchia della comunità del campo. Come constata la voce narrante, sono dunque i prigionieri stessi a fungere da aguzzini verso i loro compagni.

In tal modo Levi documenta gli effetti morali della perversa organizzazione nazista, che privilegia il crimine e premia l’arbitrio (i criteri che lo regolano sono sconosciuti, spesso palesemente in base a protezioni e corruzioni, r. 78). Tramite questo sistema, infatti, tra i perseguitati che condividono la medesima sventura non possono sorgere sentimenti di solidarietà o fratellanza, perché un parossistico calcolo del proprio utile (siamo già in grado di calcolare […] quale sia il posto più conveniente a cui aspirare quando ci si mette in coda, rr. 15-17), anche a discapito del prossimo (tutto può venire rubato, anzi, viene automaticamente rubato non appena l’attenzione si rilassa, rr. 20-21), appare l’unico modo per sopravvivere e resistere all’annientamento, in un mondo dove l’umanità della persona non ha più nessuna importanza.

Innumerevoli sono le proibizioni (r. 25), Infiniti e insensati sono i riti da compiersi (r. 31): il narratore illustra il minuzioso e inestricabile guazzabuglio di norme rivolto a fiaccare i deportati nel corpo e a umiliarli nell’intelligenza e nel morale. Ai prigionieri si richiedono ordine, pulizia e disciplina ma le condizioni di privazione materiale cui sono sottoposti rendono impossibile l’adempimento del regolamento, favolosamente complicato (rr. 24-25). In tale assurda situazione, allora, ci sono innumerevoli circostanze, normalmente irrilevanti, che qui diventano problemi (rr. 39-40): compiti altrimenti semplici, come la manutenzione della divisa, la cura della persona, la pulizia delle scarpe, diventano ad Auschwitz un arduo assillo quotidiano. Ne è un esempio la grottesca cerimonia del cambio delle scarpe (r. 46) dove, tramite un rituale tragicamente farsesco, il deportato deve scegliere nella confusione una nuova calzatura. La concitata decisione può rivelarsi, attraverso la concatenazione di drammatiche conseguenze riportata dal narratore, il fatale errore che condurrà il prigioniero alla camera a gas.

I deportati lavorano nell’industria del campo finché non esauriscono le loro risorse vitali: costretti a spossanti turni che possono oltrepassare le dieci ore giornaliere, vengono comandati dai kapò, i quali sono, frequentemente, criminali. Dalle condizioni di un lavoro assai duro, specialmente d’inverno, se non altro perché si svolge sempre all’aperto (rr. 69-70), non è esentato il ristretto gruppo degli specialisti che, seppure alle dipendenze di un civile, è però soggetto, fuori dal lavoro, alle stesse disumane condizioni dei lavoratori comuni (r. 75).

Anche il lavoro, come tutte le altre attività, diventa qui un groviglio di leggi, di tabù e di problemi (r. 62): le autorità del lager sono in contrasto con le autorità civili della fabbrica; i criteri di attribuzione dei lavoratori ai vari gruppi sono oscuri o chiaramente piegati dalla corruzione; il riconoscimento dello stato di malattia richiede procedure e conoscenze misteriose. Così il lavoro perde completamente il significato positivo, di crescita personale e di progresso collettivo, che mantiene nel mondo degli uomini liberi: ad Auschwitz non esistono cittadini che lavorano per vivere, ma solo schiavi che faticano per morire.

Levi descrive l’orrore vissuto con una lingua sobria e priva di impennate emotive, che vuole restituire, al lettore, la verità oggettiva del campo di concentramento. Per questo motivo il passo è ricco di parole ed espressioni in lingua tedesca: riportare le scritte del campo e i nomi delle strutture e delle istituzioni senza nessuna traduzione restituisce il senso di smarrimento vissuto dai deportati, la maggioranza dei quali non parlava la lingua dei nazisti.

L’esigenza di testimoniare spinge l’autore a scegliere un vocabolario che nomina gli oggetti con tecnica precisione (la gamella e il rancio, r. 12, il bavero, r. 29, il feltro, r. 42, ma anche la scabbia, r. 37, e l’elenco delle specializzazioni lavorative, rr. 70-71): con questa lingua, aderente al vero, dalla struttura semplice, Levi documenta con esattezza l’abisso oscuro della follia nazista.

 >> pagina 479 

Laboratorio sul testo

Comprendere

1. Come si distinguono i prigionieri politici dagli ebrei nel lager?


2. I criminali comuni sono presumibilmente molto temuti dagli altri prigionieri: individua e trascrivi la frase del testo che giustifica questa affermazione.


3. Fil di ferro e stracci (r. 18) sono oggetti normalmente considerati di poco conto, eppure nel lager assumono una grande importanza. Che cosa ne fanno i prigionieri?


4. Se i prigionieri si imbottiscono di carta la giacca abusivamente (r. 19) vuol dire che

  • A lo fanno spesso. 
    B lo fanno di tanto in tanto. 
  • C lo fanno contro le regole. 
  • D lo fanno in maniera molto accurata. 


5. Quando si trovano in alcuni luoghi del lager i prigionieri devono stare attenti a rispettare delle regole rigide e spietate allo stesso tempo; descrivi, accanto a ciascun luogo, quali sono queste regole.


a) filo spinato

 


b) latrine

 


c) doccia

 


d) letto

 


e) baracca

 


f) lavatoio

 


6. Uno dei paradossi della vita nel lager è che i prigionieri, pur vivendo in condizioni disumane, sono costretti a compiere o a subire, ogni giorno o ogni settimana, azioni finalizzate al mantenimento dell’ordine e della pulizia personale. Descrivi almeno tre di queste azioni.


7. Qual è il capo di abbigliamento più importante per un prigioniero del lager?

  • A Le scarpe. 
    B Il cappello. 
  • C La giacca. 
  • D I pantaloni.

Analizzare e interpretare

8. Per narrare la propria drammatica esperienza nel lager, Primo Levi compie delle singolari scelte stilistiche. In primo luogo, utilizza la prima persona plurale e non la prima persona singolare (come ci si sarebbe aspettato, visto che è un protagonista-testimone delle azioni descritte); in secondo luogo, anche se scrive dopo la liberazione dal campo di concentramento, in molti passi utilizza il tempo presente. Perché, a tuo avviso, compie queste scelte? Quale effetto hanno sul lettore? Esponi le tue riflessioni.

 >> pagina 480 

competenze linguistiche

9. Lessico. Iponimi e iperonimi. Nel testo l’autore fa uso di un vocabolario tecnico e obiettivo, scegliendo, per indicare persone e oggetti, non termini generici ma specifici. Il rapporto di iperonimia e iponimia si instaura tra due (o più) parole dove una, l’iperonimo, ha un significato più ampio e generico, l’altra, l’iponimo, un significato più circoscritto e preciso, per esempio:

animale → mammifero → cane → bassotto.

Individua, nel testo, gli iponimi delle parole indicate nella tabella, poi prova ad aggiungerne tu un paio per ciascuna.


Recipiente (per il cibo)  
Abito  
Pasto  
Locale attrezzato per il lavaggio  
Lavoratori  

PRODURRE

10. Scrivere per dare indicazioni e ordini. Nel brano che hai letto vengono esposte le norme, spesso assurde, che regolano la vita del lager. Questo è un testo narrativo, ma solitamente i testi in cui sono raccolti ordini e indicazioni di comportamento sono detti “regolativi” e hanno caratteristiche precise, per esempio usano particolari forme verbali: imperativo, infinito, forme impersonali. Sono testi regolativi le leggi, i manuali di istruzioni, i ricettari, i regolamenti di condominio, i bugiardini dei farmaci. Prova a scrivere un testo regolativo – contenente almeno 5 punti – che disciplini il comportamento da tenere da parte degli alunni durante lo svolgimento di un compito in classe.

LETTERATURA E NON SOLO: SPUNTI DI RICERCA INTERDISCIPLINARE

STORIA

Il triangolo colorato è il simbolo che distingue i prigionieri nel lager: quali categorie di persone, oltre agli ebrei, furono internate nei lager? Di che colore era il triangolo che li identificava? Fai una breve ricerca.

L’emozione della lettura - edizione gialla - volume A
L’emozione della lettura - edizione gialla - volume A
Narrativa