Alla scoperta dei testi

T1

Honoré de Balzac

La pensione Vauquer

  • Tratto da Papà Goriot
  • Titolo originale Le Père Goriot, 1834
  • Lingua originale francese
  • romanzo
L’autore

Honoré de Balzac nasce nel 1799 a Tours, una cittadina francese nella Valle della Loira, da una famiglia della media borghesia. Nell’adolescenza si trasferisce a Parigi, dove studia diritto e intraprende la carriera di giornalista. La sua esistenza dispendiosa lo porta alle soglie della povertà, ma l’attività di romanziere migliora la sua condizione economica. Poco più che trentenne pubblica i primi capolavori: Eugénie Grandet (1833) e Papà Goriot (1834), dove si dimostra acutissimo osservatore della vita contemporanea. L’instancabile impegno letterario è interrotto soltanto dalle serate mondane, alle quali si concede volentieri, e da qualche viaggio, in Svizzera, in Russia, in Italia, dove conosce Manzoni. Decide intanto di raccogliere tutta la sua produzione narrativa sotto un unico titolo, La commedia umana: da un romanzo all’altro tornano personaggi, scenari, idee che compongono un amplissimo quadro della società francese della prima metà dell’Ottocento, ritratta con implacabile precisione a tutti i livelli, dalla plebe all’aristocrazia, da Parigi al fondo delle campagne. Balzac è uno scrittore amatissimo, ma il dispendioso tenore di vita e i molti affari sbagliati lo costringono a incredibili ritmi di lavoro: i romanzi pubblicati in vent’anni di attività si avvicinano al centinaio. Il matrimonio con una ricca contessa polacca, nel 1850, sembrerebbe prospettargli una serena vecchiaia, ma lo scrittore muore nello stesso anno, a Parigi.

Balzac apre il romanzo Papà Goriot con un’attenta descrizione della pensione gestita dall’anziana signora Vauquer. Lo scrittore istituisce una perfetta corrispondenza tra questo luogo misero, situato in un avvilente quartiere di Parigi, e la sua proprietaria: tutta la sua persona spiega la pensione come la pensione implica la sua persona.

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Audiolettura

La signora Vauquer, nata de Conflans,1 è una vecchia donna che, da quarant’anni,
conduce2 a Parigi una pensione familiare situata in rue Neuve-Sainte-Geneviève,
tra il quartiere latino e il sobborgo Saint-Marceau.3 La pensione, conosciuta sotto il
nome di Casa Vauquer, accoglie senza distinzione uomini e donne, giovani e vecchi,

5      senza che la maldicenza abbia mai potuto fare appunti alla moralità di questa
rispettabile casa.4 Ma è pur vero che da trent’anni non ci si era mai veduta una persona
giovane, e, se un giovane vi dimora, è perché la sua famiglia deve corrispondergli
un ben magro mensile.5 Tuttavia, nel 1819, epoca in cui questo dramma ha inizio,
vi si trovava una povera ragazza.6 Per quanto la parola dramma sia caduta in discredito7 

10    per il modo abusivo e ingiusto col quale è stata prodigata8 in questi tempi
di penosa letteratura, qui è necessario adoperarla; questa storia non è drammatica
nel vero senso della parola, ma, al termine dell’opera, qualche lacrima potrà esser
versata “intra muros” ed “extra”.9 Sarà capita fuori di Parigi? È permesso dubitarne.
I particolari di questa vicenda piena d’osservazioni e di colori locali possono essere 

15    apprezzati solo fra le alture di Montmartre e quelle di Montrouge,10 in quella famosa
valle di ruderi fatiscenti11 e di ruscelli neri di melma; valle colma di sofferenze
reali, di gioie spesso false, e così tremendamente agitate, che occorre non so che cosa
di eccessivo per produrvi una sensazione di qualche durata.12

Tuttavia, ci si incontrano qua e là dolori che l’accumularsi dei vizi e delle virtù 

20    rende grandi e solenni; di fronte a essi, gli egoismi, gli interessi si arrestano e si
fanno pietosi; ma l’impressione che ne ricevono è come un frutto saporoso presto
divorato. Il carro della civiltà, simile a quello dell’idolo di Jaggernat,13 obbligato a
rallentare di ben poco la corsa da un cuore meno degli altri facile a lasciarsi stritolare
e a cui ostacoli la ruota, lo ha presto infranto e continua la sua marcia gloriosa. 

25    Così farete voi, voi che tenete questo libro in una mano bianca, voi che ve ne state
sprofondato in una morbida poltrona dicendovi: «Forse questo mi divertirà». Dopo
aver letto le segrete infelicità di papà Goriot, pranzerete con appetito, imputando
la vostra insensibilità all’autore, tacciandolo14 d’esagerazione, accusandolo di aver
fatto della letteratura. Ah!, sappiatelo: questo dramma non è né una invenzione né 

30    un romanzo. “All-is-true”,15 è così vero, che ognuno può riconoscerne gli elementi
presso di sé, forse nel suo stesso cuore.

La casa in cui viene esercitata la pensione familiare è della signora Vauquer. È
situata nel tratto basso della rue Neuve-Sainte-Geneviève, nel punto in cui il piano
stradale digrada verso la via dell’Arbalète con un pendio così brusco e aspro, che i 

35    cavalli la salgono o la scendono di rado. Tal circostanza è favorevole al silenzio che
regna in queste strade strette fra la cupola di Val-de-Grâce e quella del Panthéon,16
due monumenti che fanno mutare le condizioni dell’atmosfera gettandovi toni gialli,
tutto oscurando con le tinte severe proiettate dalle loro cupole. Là, il selciato è
arido, i rigagnoli non hanno né melma né acqua, l’erba cresce lungo i muri. L’uomo 

40    più spensierato vi si rattrista come ogni altro passante, il rumore di una carrozza è
un avvenimento, le case sono tetre, le mura fanno pensare a una prigione. Un parigino
smarrito vedrebbe là solo pensioni familiari o istituti, miseria e noia, vecchiaia
che muore, allegra gioventù costretta a lavorare. Nessun quartiere di Parigi è, più di
questo, orribile e, diciamolo pure, più sconosciuto. La rue Neuve-Sainte-Geneviève, 

45    soprattutto, è come una cornice di bronzo,17 la sola che convenga a questo racconto,
per preparare la comprensione del quale non saranno mai troppi i colori foschi e
le idee gravi; proprio come, di gradino in gradino, la luce diminuisce e la voce della
guida si fa cavernosa quando il viaggiatore discende nelle catacombe. Paragone esatto!
Chi deciderà che cosa è più orribile a vedersi: cuori inariditi, o crani vuoti?18 […]

50    Il pianterreno, naturalmente destinato all’esercizio della pensione familiare, si
compone di un primo vano che prende luce dalle due finestre che danno sulla strada
e in cui si entra per una porta-finestra. Questa sala comunica con quella da pranzo,
separata dalla cucina dalla tromba di una scala i gradini della quale sono di legno
e di mattonelle colorate e lustrate. Nulla è più triste di questa sala, ammobiliata 

55    con poltrone e seggiole foderate di stoffa di crine19 a righe alternativamente opache
e lucide. Al centro c’è una tavola rotonda con un piano di marmo Sant’Anna20 decorata
da uno di quei vassoi di porcellana bianca filettata21 d’oro mezzo cancellato,
che oggi si trovano dappertutto. La stanza, pavimentata piuttosto male, è rivestita di
legno ad altezza d’uomo. Il resto delle pareti è tappezzato con una carta da parato 

60    sulla quale sono raffigurati i principali fatti di Telemaco22 e i cui classici personaggi
sono colorati. Il pannello tra le finestre a grate presenta ai pensionanti23 il quadro
del festino offerto al figlio d’Ulisse da Calipso.24 Da quarant’anni tale pittura provoca
i motteggi25 dei giovani pensionanti, i quali si ritengono superiori alla loro
posizione dileggiando26 il pranzo cui le ristrettezze li condannano.

65    Il camino in pietra, con focolare sempre pulito, dimostrazione che il fuoco vi si
accende solo nelle grandi occasioni, ha per ornamento due vasi pieni di fiori artificiali,
stinti e pigiati, e una pendola di marmo bluastro di pessimo gusto. In questa
prima sala si respira un cattivo odore indefinibile, che potrebbe esser chiamato “odor
di pensione”. Odore di rinchiuso, di muffa, di rancido;27 mette freddo, è umido al 

70    naso, penetra negli abiti; ha il tanfo di una sala dove si è mangiato; puzza di servitù,
di dispensa, di ospizio. Forse potrebbe essere descritto se si trovasse un procedimento
per analizzare le quantità elementari e nauseabonde immessevi dalle atmosfere catarrali
e “sui generis”28 di ciascun pensionante, giovane o vecchio. Eppure, malgrado
tali orrende volgarità, se paragonaste questa sala a quella da pranzo, che le è attigua, 

75    trovereste la prima elegante e profumata come uno spogliatoio per signora. La sala da
pranzo, dalla parete interamente rivestita di legno, fu tinta un tempo d’un colore oggi
indistinto, che forma un fondo su cui l’unto ha impresso i suoi strati in modo da disegnarvi
figure bizzarre. Ai muri, credenze29 appiccicose sulle quali sono disposte caraffe
sbeccate,30 appannate, tondi di metallo marezzato,31 pile di piatti di spessa porcellana, 

80    orlati di blu, fabbricati a Tournai.32 In un angolo c’è una scatola a caselle numerate che
serve a tenere riposte le salviette, sporche e macchiate di vino, di ciascun pensionante.
Vi si trovano poi quei mobili indistruttibili, ovunque proscritti,33 ma messi là
come i resti della civiltà agli Incurabili.34 Vi vedrete un barometro col cappuccino che esce
fuori quando piove,35 incisioni esecrabili36 da togliere l’appetito incorniciate in legno 

85    nero verniciato a filetti d’oro, una pendola di madreperla incrostata di rame, una stufa
verde, lucerne d’Argand37 dove la polvere si combina con l’olio, una lunga tavola coperta
d’incerata unta quanto basta perché un allegro studente in medicina “esterno” ci
scriva il proprio nome servendosi del dito come di uno stilo,38 sedie zoppe, miserevoli
piccole stuoie di sparto39 che si disfa sempre e non finisce mai, poi scaldini dai buchi 

90    rotti, dalle cerniere sconnesse, dove il legno si carbonizza. Per spiegare quanto questa
mobilia è vecchia, screpolata, tarlata, tremolante, logora, monca, orba, invalida,
spirante,40 se ne dovrebbe fare una descrizione che ritarderebbe troppo l’interesse di
questa storia e che i lettori che hanno fretta non perdonerebbero. Il pavimento, rosso,
è pieno di avvallamenti prodotti dallo strofinio o dalle riverniciature. Insomma, là 

95    regna la miseria senza poesia; una miseria economa, concentrata, consunta. Se non
è ancora infangata, è per lo meno macchiata; se non ha né buchi né stracci, sta per
andare in putrefazione.

Questa stanza è in tutto il suo splendore nel momento in cui, verso le sette del
mattino, il gatto della signora Vauquer precede la sua padrona; salta sulle credenze, 

100 vi annusa il latte contenuto in varie tazze coperte dal piattino, e fa sentire il suo
ronron mattinale.41 Subito dopo appare la vedova, agghindata con la sua cuffia di
tulle42 sotto la quale pende un giro di capelli finti, in disordine; essa cammina trascinando
le sue pantofole raggrinzite. Il viso vecchiotto, grassottello, dal mezzo del
quale esce un naso a becco di pappagallo, le piccole mani paffutelle, il personale43 

105 grassoccio come un “topo di chiesa”, il seno troppo pieno e ondeggiante, sono in
armonia con la sala che trasuda l’infelicità, dove s’è rannicchiata44 la speculazione
e di cui la signora Vauquer respira l’aria calda e fetida45 senza esserne disgustata. Il
viso fresco come una prima gelata d’autunno, gli occhi pieni di rughe, l’espressione
dei quali passa dal sorriso prescritto46 alle ballerine all’amaro cipiglio47 dell’esattore, 

110 insomma tutta la sua persona spiega la pensione come la pensione implica la sua
persona. Il bagno penale non può non avere l’aguzzino,48 non potreste immaginarvi
l’uno senza l’altro. La pinguedine49 pallida di questa piccola donna è il prodotto di
questa vita, come il tifo50 è la conseguenza delle esalazioni d’un ospedale. La sua
sottana di lana a maglia, più lunga della gonna ricavata da un abito vecchio e la cui 

115 imbottitura esce dalle fenditure della stoffa scucita, compendia51 il salotto, la sala da
pranzo, il giardinetto, annuncia la cucina e fa presentire i pensionanti. Quando lei
è là, lo spettacolo è completo. Di circa cinquant’anni, la signora Vauquer somiglia
a tutte le donne che hanno subito disgrazie. Ha l’occhio vitreo, l’aria innocente di una
mezzana52 che fa la difficile per farsi pagare di più, ma invece disposta a tutto per 

120 addolcire la sua sorte, a dar nelle mani della giustizia Giorgio o Pichegru,53 se Giorgio
o Pichegru dovessero ancora essere arrestati. Tuttavia, è «in fondo una buona
donna», dicono i pensionanti, che la ritengono una disgraziata, sentendola gemere
e tossire come loro. Chi era stato il signor Vauquer? Lei non dava mai particolari
sul defunto. In che modo aveva perduto i suoi averi? Con le disgrazie, rispondeva. 

125 Si era mal comportato verso di lei, non le aveva lasciato che gli occhi per piangere,
quella casa per vivere, e il diritto di non compatire nessuna sfortuna perché, diceva
lei, aveva sofferto tutto quel che è possibile soffrire.


Honoré de Balzac, Papà Goriot, trad. di R. Mucci, Fratelli Melita Editori, La Spezia 1992

 >> pagina 352 

Come continua

Nella pensione della signora Vauquer vivono i principali personaggi del romanzo, come l’ambiguo Vautrin e la tenera Victorine, innamorata di un altro ospite, Eugène de Rastignac, uno studente universitario povero ma deciso a farsi strada nella turbolenta vita cittadina. C’è anche il vecchio papà Goriot, che dà il titolo al romanzo, il quale ha dilapidato una fortuna accumulata nei commerci per la felicità delle figlie, che continuano a bussare alla sua porta per sottrargli anche gli ultimi risparmi. I destini di questi coinquilini sono destinati a incrociarsi, componendo un dramma coinvolgente, che ha fatto versare lacrime a milioni di lettori di ogni epoca e luogo: a differenza di quanto credeva Balzac, evidentemente, i particolari di questa vicenda piena d’osservazioni e di colori locali possono essere apprezzati ben oltre le alture di Montmartre.

a TU per TU con il testo

A ben pochi, nel mondo reale, verrebbe voglia di mettere piede nella squallida pensione gestita dalla signora Vauquer. Invece i lettori continuano a entrarci con entusiasmo da quasi due secoli. Come si spiega? Che cos’ha di attraente questo tugurio dall’aria viziata? I personaggi che ci abitano, la vita che ora li abbraccia ora li stritola, in una Parigi dove vicoli bui e miserabili si alternano a sale da ballo sfarzose. In queste prime pagine il narratore sta preparando lo scenario dei drammi umani che racconterà con instancabile fervore. Per ora si limita a una precisa descrizione d’ambiente, un pezzo di bravura dove già si riconosce il suo obiettivo: trattare in modo serio, e persino tragico, esistenze comuni, sepolte nelle viscere di una grande città. Come ha notato il critico Erich Auer­bach, Balzac (insieme a Stendhal) è il fondatore del Realismo moderno. Sul palcoscenico del romanzo salgono uomini come noi: non si tratta più di ammirare la virtù di eroi straor­dinari, ma di proiettare le gioie e i dolori che ci agitano in personaggi normali, a volte mediocri, o vigliacchi. In Papà Goriot tutto è così vero che ognuno può riconoscerne gli elementi presso di sé, forse nel suo stesso cuore (rr. 30-31).

 >> pagina 353 

Analisi  attiva 

«Parigi è un vero oceano», osserva Balzac qualche pagina dopo il brano appena letto. «Gettatevi la sonda, non ne conoscerete mai la profondità». Resteranno sempre degli angoli misteriosi, che si offrono alla curiosità dell’esploratore desideroso di conoscere. La pensione Vauquer, sita nel quartiere più orribile e sconosciuto (r. 44) della città, è uno di questi.

Il narratore vuole scendere a fondo, sempre più a fondo negli abissi della metropoli: il paragone con il viaggiatore che si cala nelle catacombe (r. 48) coglie perfettamente i suoi intenti. Sotto la superficie della città, così come sotto la corteccia di normalità di ogni personaggio, ci sono infiniti sentieri da illuminare. La sua ricognizione procede dal grande al piccolo, con un progressivo restringimento dello zoom. Dentro Parigi individua un isolato, non lontano dal Quartiere Latino; in esso mette a fuoco la rue Neuve-Sainte-Geneviève, pesante e cupa cornice di bronzo (r. 45) del racconto. Nella via, poi, egli si concentra su una casa, sita nel tratto più triste. È la pensione della signora Vauquer: ora è pronto a entrarvi, e noi insieme a lui.


1. Dove e quando è ambientato il racconto?


2. Come si può definire il narratore?

  • A Esterno, onnisciente, nascosto. 
    B Esterno, onnisciente, palese. 
  • C Esterno, con focalizzazione esterna. 
  • D Esterno, con focalizzazione interna.

Balzac procede con ordine meticoloso nella descrizione degli interni della pensione, insistendo sugli aspetti più deprimenti. Il salotto situato a pianterreno è male ammobiliato, zeppo di oggetti di cattivo gusto e ridicole tappezzerie; vi aleggia perpetuamente un cattivo odore indefinibile, che potrebbe esser chiamato “odor di pensione” (rr. 68-69), sul quale la descrizione insiste con particolare veemenza: Odore di rinchiuso, di muffa, di rancido; mette freddo, è umido al naso, penetra negli abiti; ha il tanfo di una sala dove si è mangiato; puzza di servitù, di dispensa, di ospizio (rr. 69-71).

La sala da pranzo, sulla quale si sposta lo sguardo in seconda battuta, è ancora più sgradevole, perché – oltre alla vecchia paccottiglia, impolverata e sporca – la credenza appiccicosa, le caraffe rovinate, le salviette, sporche e macchiate di vino, di ciascun pensionante (r. 81) recano traccia dei modesti pasti che vi si consumano. Per qualificare la mobilia andante Balzac arriva ad allineare ben nove aggettivi, tutti negativi (vecchia, screpolata, tarlata, tremolante, logora, monca, orba, invalida, spirante, rr. 91-92). Infine, al lettore che volesse ostinarsi a trovare qualcosa di pittoresco in questo quadro, precisa che là regna la miseria senza poesia; una miseria economa, concentrata, consunta (rr. 94-95).

Tanta profusione di particolari è camuffata con un astuto espediente retorico, sostenendo che i lettori frettolosi non perdonerebbero (r. 93) una descrizione troppo puntuale. Ma in real­tà Balzac insiste su ogni dettaglio perché ogni dettaglio ha una storia, che rispecchia o allude a comportamenti e persino all’aspetto delle figure che dimorano nella pensione, a cominciare dalla proprietaria.


3. Il brano è caratterizzato dalla ricchissima e dettagliata descrizione degli ambienti; ecco un elenco degli oggetti contenuti nella sala da pranzo, tra i quali tuttavia vi è un intruso. Qual è?

  • A barometro 
    B credenze 
  • C stufa 
  • D lampade a olio 
    E caraffe 
  • F sedia a dondolo 
  • G pendola di madreperla 


4. Chi alloggia, solitamente, alla pensione Vauquer?

 >> pagina 354 

L’entrata in scena della signora Vauquer è abilmente preceduta da quella del suo gatto, che si aggira fra le tazze colme di latte dei pensionanti. La personalità ottusa, meschina, avida della vecchia signora affiora sin dal memorabile ritratto. La vedova corpulenta appare in pantofole, con i capelli disordinati raccolti sotto la cuffia, il naso a becco di pappagallo, le piccole mani paffutelle (r. 104). Ancora una volta la descrizione materiale suggerisce l’atmosfera morale. Il suo aspetto è in armonia con l’ambiente, anzi deriva da esso, dunque non può esserne disgustata. Non si può immaginare la pensione senza di lei, o lei senza la pensione. La consonanza fra il corpo ormai in rovina della vedova e le stanze in cui si aggira è totale.

Ora finalmente lo spettacolo è completo (r. 117), ma il narratore, per il resto così sollecito a fornirci puntuali ragguagli, mantiene un certo riserbo riguardo al passato della signora Vauquer e alle disgrazie che ne hanno determinato la decadenza. Tutte le colpe vengono genericamente addossate al marito ormai defunto. I dubbi sui suoi trascorsi appartengono pure a molti dei pensionanti, che però la considerano in fondo una buona donna (rr. 121-122), anche se si mostra gentile con loro solo per ragioni di interesse.


5. Madame Vauquer (sono possibili più risposte)

  • A è nubile. 
    B è vedova. 
  • C è la proprietaria della pensione. 
  • D è l’affittuaria della pensione. 
  • E è piccola e grassoccia. 
    F è scortese e antipatica. 
  • G è attaccata al denaro. 
  • H ha circa sessant’anni. 


6. Balzac attiva un vero e proprio processo di “umanizzazione” degli oggetti presenti nella pensione Vauquer: individua i termini e le espressioni che lo evidenziano.

Laboratorio sul testo

COMPETENZE LINGUISTICHE

7. Lessico. I sinonimi e i contrari. Il brano di Balzac è caratterizzato da una ricchissima aggettivazione: per ogni attributo individua un sinonimo e un contrario.


  Sinonimo Contrario
stinti (r. 67)    
pigiati (r. 67)    
rancido (r. 69)    
umido (r. 69)    
nauseabonde (r. 72)    
appiccicose (r. 78)    
sbeccate (r. 79)    
appannate (r. 79)    
esecrabili (r. 84)    
logora (r. 91)    

8. Lessico. … i cavalli la salgono e la scendono di rado (rr. 34-35). Che cosa significa di rado?

  • A Poco spesso. 
    B Con fatica. 
  • C Velocemente. 
  • D Malvolentieri. 


9. Lessico. … tutto oscurando con le tinte severe proiettate dalle loro cupole (r. 38). Il dizionario riporta accezioni diverse dell’aggettivo severo; quale tra le seguenti ti sembra più adatta al contesto?

  • A Rigoroso. 
    B Inflessibile. 
  • C Sobrio. 
  • D Ingente. 


10. Prefissi. Il prefisso -in può essere usato per formare aggettivi o sostantivi cui esso conferisce un valore negativo (come nel caso dei mobili indistruttibili, r. 92). In quale tra i seguenti aggettivi tale prefisso non ha però questo valore?

  • A Inconcepibile. 
    B Inclinabile. 
  • C Instabile. 
  • D Inestricabile.

 >> pagina 355 

Scrivere correttamente

11. Il narratore non nasconde il suo disgusto nella descrizione della pensione Vauquer, che appare un luogo davvero squallido e maleodorante, dove nessuno di noi vorrebbe mai soggiornare. Prova a riscrivere i seguenti passaggi, sostituendo alle locuzioni e agli aggettivi “negativi” altrettanti aggettivi o locuzioni che diano però l’impressione al lettore di trovarsi in un ambiente bello e confortevole.


Il camino di pietra ha per ornamento una pendola di marmo di pessimo gusto. In questa prima sala si respira un cattivo odore indefinibile: odore di rinchiuso, di muffa, di rancido. […] La sala da pranzo fu tinta un tempo d’un colore oggi indistinto, che forma un fondo su cui l’unto ha impresso i suoi strati in modo da disegnarvi figure bizzarre. […] In un angolo c’è una scatola a caselle numerate che serve a tener riposte le salviette, sporche e macchiate di vino, di ciascun pensionante.

PRODURRE

12. Scrivere per descrivere. Utilizzando i contrari che hai individuato nell’esercizio precedente, riscrivi la descrizione della pensione Vauquer come se fosse un luogo caldo e accogliente (massimo 20 righe).

LETTERATURA E NON SOLO: SPUNTI DI RICERCA INTERDISCIPLINARE

GEOGRAFIA

L’intero romanzo di Balzac è ambientato a Parigi. Individua su una carta geografica i luoghi menzionati nel testo: quali esistono ancora oggi e sono importanti attrazioni turistiche?


ARTI VISIVE E DISEGNO

Basandoti sulla descrizione di Balzac, realizza, a tuo piacimento:
a) la pianta della pensione Vauquer;
b) il disegno di uno degli interni con la tecnica che preferisci.

SPUNTI PER DISCUTERE IN CLASSE

La pensione Vauquer e la sua padrona sono ugualmente sciatte, sporche e trascurate. Secondo molte persone, il disordine esteriore è segno di disagio interiore: sei d’accordo con questa affermazione?

L’emozione della lettura - edizione gialla - volume A
L’emozione della lettura - edizione gialla - volume A
Narrativa