1. Chi narra e chi legge

1. Chi narra e chi legge

L’autonomia della voce

Il testo narrativo – di qualunque genere esso sia – è una storia, e ogni storia ha bisogno di una voce che la racconti. In un romanzo o in una novella, ma anche in un poema o in certi film, questo ruolo fondamentale è svolto dal narratore, detto anche “voce narrante”.

Il narratore è uno degli ingranaggi più importanti del meccanismo narrativo: è il canale attraverso cui si comunica al lettore lo svolgersi di una vicenda (personaggi, eventi, descrizioni, emozioni ecc.). Nelle epoche antiche i cantastorie, veri e propri narratori “viventi”, recitavano lunghi poe­mi di fronte al pubblico. La letteratura dell’era moderna si basa invece sulla lingua scritta e letta: di norma, non c’è nessuna persona reale a raccontarci la storia, ma siamo noi stessi, attraverso la lettura, a immaginare una voce che ci parla con le parole del testo, guidandoci nel suo universo immaginario.

Il narratore non va confuso con l’autore, che è, invece, la persona reale che ha scritto l’opera: egli esiste solo nel testo, e sta “in mezzo” tra l’autore e il lettore. Sebbene il narratore sia una voce fittizia costruita dall’autore, il primo può avere idee e caratteri molto diversi dal secondo. Anche nelle autobiografie, le due figure vanno sempre tenute distinte: in questo caso l’autore costruisce un “doppio” che, sebbene porti il suo stesso nome, è a tutti gli effetti un altro individuo: egli può cambiare le carte in tavola consapevolmente, per dare una certa idea di se stesso, o falsare la propria storia anche in modo non intenzionale. Ogni racconto contiene infatti un margine ineliminabile di soggettività e di finzione, anche quando si ispira a fatti o persone reali.

Il patto narrativo

La voce narrante è uno dei principali strumenti che contribuiscono all’esistenza e alla tenuta di un patto narrativo, una sorta di tacito accordo che lega l’autore e il lettore. Prendiamo come esempio l’inizio di Germinale, un romanzo di fine Ottocento scritto dal francese Émile Zola (1840-1902), e leggiamolo lasciando che la scena si materializzi sotto i nostri occhi:


In mezzo all’aperta pianura, sotto un cielo senza stelle, nero d’un nero d’inchiostro, un uomo percorreva, solo, la strada maestra tra Marchiennes e Montsou;1 dieci chilometri di massicciata2 che si lanciava in linea retta attraverso campi di barbabietole. Quasi non vedeva dove metteva i piedi; e dell’immenso orizzonte piatto che lo circondava aveva solo sentore per le raffiche del vento di marzo: vaste raffiche che spazzavano la pianura come un mare; gelate da leghe e leghe di palude e di landa sulle quali erano passate. Non un profilo d’alberi sul cielo; diritta come un molo, la strada si protendeva in un buio impenetrabile allo sguardo.

Émile Zola, Germinale, Einaudi, Torino 1998


Già dopo poche frasi siamo catapultati in uno scenario inquieto e misterioso. Chi è l’uomo che cammina nel vento? Perché avanza quasi a tastoni nell’oscurità? Quale segreto si nasconde nel paesaggio desolato? Anche se abbiamo ancora pochissime informazioni, la voce narrante ci incatena e ci affascina, spingendoci a continuare la lettura per saperne di più.

Alla base del patto narrativo si trova un meccanismo chiamato dai critici “volontaria sospensione dell’incredulità”, che consiste appunto nella fiducia che il lettore ripone nelle parole del narratore. Tramite tale complicità il lettore accetta di entrare nell’universo creativo dell’opera, senza metterlo mai in discussione anche se è consapevole che esso è frutto di un’invenzione: ciò significa vivere con coinvolgimento emotivo le avventure raccontate nei libri, amarne o odiarne i personaggi, conoscere i segreti che l’autore ha voluto nascondervi e, soprattutto, divertirsi. La letteratura è infatti un’esperienza immersiva, che ci avvolge e cattura, facendo leva sull’attitudine umana a fabbricare e abitare mondi immaginari o diversi da quelli che viviamo e frequentiamo: aprire un libro o accendere un e-reader significa farsi trasportare da una voce in mondi invisibili agli occhi ma pieni di sorprese, emozioni e tesori che altrimenti non avremmo modo di conoscere.

 >> pagina 26 

2. Le tipologie di narratore

Narratore interno ed esterno e i gradi della narrazione

Le scelte che riguardano la fisionomia e le caratteristiche del narratore sono cruciali per la costruzione del testo. Il narratore è un personaggio della storia oppure si colloca al suo esterno? Coincide con il protagonista oppure è un personaggio secondario, testimone delle peripezie dell’eroe? Possiamo fidarci di lui o è pronto a giocarci brutti scherzi?

  • Il narratore è interno quando è un personaggio presente nella storia: può coincidere con il protagonista o con un personaggio secondario (testimone) che assiste alle vicende senza influire direttamente sul loro corso. Nel primo caso, è molto frequente che esso riporti circostanze accadute in precedenza: si crea così una differenza tra l’io narrante, che racconta la storia, e l’io narrato, che appartiene invece al passato in cui si sono svolti gli eventi. Per esempio, nei romanzi biografici detti “di formazione”, l’io narrato si congiunge con l’io narrante soltanto alla fine, dopo le avventure che ne segnano la crescita, non solo anagrafica ma anche esistenziale.
    In generale, l’uso di un narratore interno può aumentare l’immedesimazione nella lettura, perché tendiamo a essere più coinvolti dalla voce di chi ha vissuto “in prima persona” le vicende della storia. Inoltre, il narratore interno è solitamente portatore di una visione soggettiva, e quindi parziale, dei fatti: se è un personaggio preciso a raccontare, la storia viene filtrata dal suo personale punto di vista, e spesso coincide con una interpretazione tendenziosa degli eventi.
    In questo brano tratto da Vocazione, un racconto di Cesare Pavese (1908-1950), il protagonista ricorda di aver vissuto, in passato, una particolare condizione psicologica ed emotiva dovuta all’amore:

In quei tempi ogni mia abitudine era saltata in aria e certe volte mi ritrovavo a notte alta in qualche strada dei sobborghi, e camminavo ancora, deciso a far l’alba in piedi. Me ne andavo con ogni sorta di pretesti, e di preferenza nei paraggi fuori mano. Certe ore del giorno le centellinavo irrequieto su questo o quell’angolo. A ripensarci, oggi, è strano che tanta inquietudine la quale insomma voleva dire che non sapevo più vivere da solo – e infatti, parte del giorno e della notte non vivevo più solo – mi sia rimasta in mente come una smania di solitudine, come una sazietà, quasi una nausea della sola presenza che allora cercavo. A farla breve, ero innamorato.

Cesare Pavese, Vocazione, in Racconti, Einaudi, Torino 1960

  • Il narratore è invece esterno quando non coincide con un personaggio della vicenda, ma riporta i fatti senza esserne direttamente coinvolto. Di frequente utilizza la terza persona per raccontare gli eventi da una prospettiva distaccata, come se venissero visti da fuori; tuttavia, a volte può usare anche la prima persona, specialmente per aggiungere commenti personali alla narrazione. Leggiamo questo brano tratto dal romanzo storico Ivanhoe dello scozzese Walter Scott (1771-1832); il narratore si appella alla memoria del lettore, riassume eventi letti in precedenza e ne presenta di nuovi:

Il lettore non può avere dimenticato che l’esito del torneo era stato deciso dall’intervento di un cavaliere sconosciuto che, a causa del comportamento passivo e indifferente tenuto nella prima parte della giornata, era stato soprannominato dagli spettatori Le Noir Fainéant.3 Questo cavaliere aveva abbandonato il campo quando la vittoria era ormai acquisita e allorché l’avevano chiamato a ricevere il premio del suo valore non era stato possibile rintracciarlo. Nel frattempo mentre araldi e trombe lo invitavano a presentarsi, il cavaliere si dirigeva verso nord, evitando tutte le strade frequentate e prendendo la via più breve attraverso i boschi. Trascorse la notte in una piccola locanda fuori mano dove tuttavia venne a sapere da un menestrello errabondo dell’esito del torneo.

Walter Scott, Ivanhoe, Garzanti, Milano 1979

  • In alcuni casi possono distinguersi vari gradi della narrazione [#1]. Talvolta, infatti, il narratore racconta una vicenda in cui compare un personaggio che a sua volta espone una storia: il protagonista si imbatte in un viandante cieco che, seduto presso il focolare, inizia un racconto leggendario; un padre sollecito e creativo inventa ogni sera una fiaba diversa per far addormentare il figlioletto; dopo essere stato vinto in battaglia, il gigante si arrende e confessa all’intrepido cavaliere le sfortune della sua vita…
    Accade in tal modo che il narratore principale, di primo grado, affidi una porzione di racconto a un narratore di secondo grado, che racconta altre storie, in cui potrebbe prendere la parola un narratore di terzo grado, e così via, in un gioco di incastri teoricamente illimitato.
    Alcuni famosi libri, come Le mille e una notte (X-XV secolo) e il Decameron di Giovanni Boccaccio (1313-1375), sono costruiti appunto su diversi gradi di narrazione: una storia che fa da cornice ne contiene altre introdotte da uno o più personaggi, che svolgono il ruolo di narratori di secondo grado, proponendo una serie di brevi racconti tra loro indipendenti.

 >> pagina 28 

Narratore palese e nascosto

Diversi tipi di narratore si distinguono anche in base all’intensità e alla frequenza dei loro interventi: un narratore può essere cioè palese o nascosto.

  • Il narratore palese [#2] è una presenza ingombrante e facilmente riconoscibile; infatti, interviene spesso durante la narrazione per dire la sua, fornendo giudizi o opinioni personali. In questo brano dei Promessi sposi (1840-1842) il narratore giustifica la sua scelta di non riportare direttamente il dialogo tra don Abbondio e Perpetua, fornendone invece un breve riassunto:

Risparmio al lettore i lamenti, le condoglianze,4 le accuse, le difese, i «voi sola potete aver parlato» e i «non ho parlato», tutti i pasticci in somma di quel colloquio. Basti dire che don Abbondio ordinò a Perpetua di metter la stanga5 all’uscio, di non aprir più per nessuna cagione,6 e, se alcun bussasse, risponder dalla finestra che il curato7 era andato a letto con la febbre.

Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Rizzoli, Milano 2014

  • Al contrario, il narratore nascosto tende a sparire dietro gli eventi che racconta: il testo diventa così una presentazione nuda di eventi, dialoghi e pensieri dei personaggi. Autori del secondo Ottocento, appartenenti a correnti letterarie d’ispirazione realistica (come il Naturalismo francese o il Verismo italiano), prediligono questa tecnica, per aumentare l’immedesimazione del lettore e dare l’idea di una rappresentazione fotografica e impersonale della realtà. Leggiamo un brano di Madame Bovary di Gustave Flaubert (1821-1880), romanzo che destò scandalo proprio per l’impersonalità con cui vengono narrati alcuni fatti scabrosi:

E sul porto, in mezzo ai carri e alle botti, nelle strade, alle cantonate, i borghesi aprivano tanto d’occhi sbalorditi da un avvenimento talmente straordinario in provincia: una carrozza con le tendine abbassate che andava e veniva senza posa, chiusa come una bara, sballottata come una scialuppa. A un certo punto, a metà giorno, in piena campagna, quando il sole dardeggiava più forte contro i vecchi fanali argentati, una mano nuda sbucò da sotto le tendine gialle e buttò via dei pezzetti di carta che si dispersero all’aria, e andarono a posarsi lontano, come candide farfalle, su un campo fiorito di trifoglio rosso. Poi, verso le sei, la carrozza si fermò in una stradina del quartiere Beauvoisine, ne scese una donna che s’avviò con il velo calato sulla faccia, senza girarsi indietro.

Gustave Flaubert, Madame Bovary, Garzanti, Milano 1965

EmozionArti
Il narratore che non si vede

Una donna che beve un caffè, un tavolo da pranzo, una finestra, una donna che si sistema davanti allo specchio, scorci di un appartamento… Questi sono alcuni dei soggetti che amava dipingere il pittore francese Pierre Bonnard (1867-1947). Sono racconti di intimità restituiti con tagli inconsueti, spesso includendo uno o più specchi per amplificare la visione di angoli non visibili della casa. I colori sono ricchi, ma l’atmosfera è raccolta e silenziosa, sembra quasi che Bonnard si sia nascosto, che osservi le donne ritratte (spesso si tratta della moglie Marthe) da dietro una porta. Nell’opera qui riprodotta, solo grazie allo specchio possiamo osservare insieme a lui questa scena così privata: ma lo specchio è frontale e dovrebbe consentirci di vedere anche Bonnard… Forse è svanito nelle tappezzerie che così tanto amava rappresentare?

 >> pagina 30 

Narratore onnisciente e non onnisciente

Il narratore si distingue anche rispetto alla quantità di informazioni che possiede.

  • Avremo dunque un narratore onnisciente quando conosce ogni dettaglio relativo all’universo della storia. Mentre i personaggi hanno una conoscenza limitata degli eventi, relativa al punto che occupano nello spazio e nel tempo della narrazione, il narratore onnisciente è libero di muoversi nella storia, magari anticipando al lettore eventi futuri o svelando segreti che i personaggi non possono conoscere. Ecco un esempio tratto da Anna Karenina di Lev Tolstoj (1828-1910): un giovane ufficiale seduce la giovane Kitty, senza rendersi conto delle conseguenze che l’amore potrebbe comportare. Il narratore spazia tra il punto di vista del soldato e quello della ragazza e della sua famiglia:

Non sapeva che questo suo modo di agire nei riguardi di Kitty avrebbe potuto chiaramente essere definito un tentativo di adescare una ragazza senza avere alcuna intenzione di sposarla, e che questo adescamento era una delle cattive azioni dei giovani mondani come lui. Gli sembrava d’essere stato il primo a scoprire una simile soddisfazione e godeva della propria scoperta. S’egli avesse potuto ascoltare ciò che dicevano i genitori di Kitty quella sera, se egli avesse potuto mettersi dal punto di vista della famiglia e pensare che Kitty sarebbe stata infelice se egli non l’avesse sposata, si sarebbe molto sorpreso e non ci avrebbe creduto. Non avrebbe potuto credere che quello che procurava un piacere così grande e buono a lui e specialmente a lei, potesse essere un male. Ancor meno avrebbe pensato di doversi sposare.

Lev Tolstoj, Anna Karenina, Sansoni, Firenze 1967

  • Si parla di narratore non onnisciente quando le informazioni di cui dispone sono incomplete e i personaggi sanno cose che lui ignora. Tale situazione si verifica per esempio quando il punto di vista del narratore coincide con quello di un personaggio preciso, dotato di una conoscenza limitata degli eventi e del mondo in cui si svolgono. Leggiamo un brano tratto da Cuore di tenebra di Joseph Conrad (1857-1924): il narratore interno protagonista, Marlow, vede morire davanti ai suoi occhi il famigerato Kurtz, misterioso e brutale agente di una Compagnia dedita al commercio dell’avorio. Marlow si chiede che cosa si nasconda nell’animo del moribondo, ma è destinato a non trovare risposta:

Non avevo mai visto, e spero di non rivederlo mai, niente di paragonabile al cambiamento che si era operato sui suoi lineamenti. Oh, non ero impietosito. Ero affascinato. Era come se fosse stato strappato un velo. Su quel volto d’avorio vidi l’espressione di un torvo orgoglio, di un potere spietato, di un terrore codardo, e anche di una disperazione immensa e senza rimedio. Stava rivivendo la sua vita in ogni particolare dei suoi desideri, le tentazioni, le capitolazioni, in quel supremo momento di conoscenza completa? Due volte, con voce bassa, lanciò verso non so quale immagine, quale visione, un grido che non era che un soffio:

«Che orrore! Che orrore!».

Joseph Conrad, Cuore di tenebra, Garzanti, Milano 1992

Narratore attendibile e non attendibile

Un’ultima interessante caratteristica del narratore è legata all’attendibilità: alcuni narratori si dimostrano affidabili e attendibili nel riportare onestamente le vicende dal loro punto di vista. In altri casi, non possiamo fidarci troppo di quello che dicono; la letteratura è ricca di narratori inattendibili: alcolisti, sognatori, matti e criminali incalliti. Quando sono loro ad avere la parola, può essere che mentano o riportino una versione inesatta e tendenziosa delle vicende. L’autore, tuttavia, vuole farci vedere le cose con i loro occhi, e quindi ci costringe ad ascoltare la loro versione dei fatti, a costo di produrre inganni o fraintendimenti. Possiamo prendere per buono, alla lettera, un incipit visionario come quello del racconto Un pazzo? di Guy de Maupassant (1850-1893)?

Sono pazzo? o soltanto geloso? Non lo so, ma ho sofferto orribilmente. Ho compiuto un atto di pazzia, di pazzia furiosa, è vero; ma la gelosia lancinante, ma l’amore esaltato, tradito, condannato, ma il dolore abominevole che ho sopportato, tutto ciò non basta per far commettere delitti e pazzie, senza essere veramente criminali nel cuore e nel cervello? Ah, ho sofferto, sofferto, sofferto in un modo continuo, acuto, spaventevole! Ho amato quella donna con uno slancio frenetico… e tuttavia, è proprio vero? L’ho veramente amata? No, no, no.

Guy de Maupassant, Racconti e novelle, vol. I, Einaudi, Torino 1972

 >> pagina 31 

3. Il punto di vista

Un altro fondamentale meccanismo della narrazione, strettamente legato alla voce narrante, riguarda la scelta del punto di vista. Il punto di vista [#3], letteralmente, è l’“occhio” attraverso cui osserviamo e percepiamo eventi e situazioni nel mondo narrativo. Come nella vita reale, così nella letteratura prospettive diverse svelano aspetti e significati diversi delle cose, mostrandocele sotto una luce completamente nuova.

Sebbene il punto di vista dipenda dalla voce narrante, queste due strutture narrative non vanno confuse tra loro. Notiamo la differenza tra queste tre frasi:

  • 1. Dopo il tramonto, vidi un ladro fuggire nel vicolo.
  • 2. Dopo il tramonto, un ladro fuggì nel vicolo.
  • 3. Dopo il tramonto, l’ispettore vide un ladro fuggire nel vicolo.

Nel caso n. 1, la voce narrante (interna) e il punto di vista appartengono al personaggio che vede il ladro. L’unica differenza percepibile è di ordine temporale: l’io narrante, infatti, racconta nel presente l’episodio in cui, nel passato, egli stesso, in qualità di personaggio (io narrato) vide il ladro dal suo punto di vista (cioè, con i suoi occhi). Nel caso n. 2, il narratore è esterno e ci presenta gli avvenimenti da un punto di vista che non appartiene a nessun personaggio sulla scena. In ultimo, nel caso n. 3, un narratore esterno ci presenta gli avvenimenti dal punto di vista di un personaggio preciso: è l’ispettore a scorgere il ladro, e noi lettori lo vediamo attraverso i suoi occhi.

Il punto di vista assume inoltre un significativo rilievo concettuale. I personaggi infatti non solo “guardano” il mondo in cui si trovano, ma lo “pensano” e lo “interpretano”, formandosi un’opinione basata sul carattere, sulle competenze di cui dispongono e su ciò che hanno vissuto in precedenza. In altre parole, il punto di vista coinvolge, oltre agli occhi, anche il cervello e il cuore, cioè le emozioni, i pensieri, le idee. Questo doppio valore è del resto insito nella stessa espressione “punto di vista”, che nel linguaggio comune indica sia la posizione visiva sia quella mentale, in cui ci poniamo per capire e analizzare concetti e accadimenti.

Per valutare la posizione e le caratteristiche del punto di vista all’interno di un testo, gli studiosi hanno introdotto il termine “focalizzazione”, che letteralmente significa “messa a fuoco”. Proprio come l’obiettivo di una macchina fotografica – che permette di avvicinare e allontanare il soggetto dello scatto, e di inquadrare certi particolari lasciandone altri sullo sfondo – la focalizzazione precisa quale punto di vista è stato scelto, quale sguardo il narratore decide di adottare per raccontare la sua storia.

Si distinguono tre modalità di focalizzazione.

  • Focalizzazione zero (o assenza di focalizzazione): la voce narrante non assume alcun punto di vista ristretto, ma si muove a piacimento in tutto l’universo del testo. In assenza di focalizzazione, il narratore è onnisciente e ci fornisce informazioni a cui, per esempio, un personaggio non può avere accesso, come anticipazioni degli eventi futuri o esplorazioni dell’interiorità di altri personaggi.
  • Focalizzazione interna [#4]: consiste nell’adozione, da parte del narratore, del punto di vista di un personaggio interno alla storia. La voce narrante è a conoscenza dei fatti quanto quel personaggio, di cui riporta i sentimenti e i pensieri.
  • Focalizzazione esterna [#5]: il narratore assume un punto di vista esterno a quello dei personaggi, però non è onnisciente, come nel caso della focalizzazione zero. Il risultato è che la voce descrive situazioni e azioni dei personaggi, ma non può penetrare nella loro interiorità, e nemmeno informare il lettore a proposito dei motivi delle loro azioni. Questo tipo di narratore tende a stare nascosto, limitandosi a registrare ciò che accade, alternando per esempio i dialoghi dei personaggi a brevi descrizioni dell’ambiente. La tecnica della focalizzazione esterna serve per aumentare l’immersione del lettore negli eventi narrati: non a caso è spesso usata nella narrazione poliziesca, dove sviluppi e motivazioni, per esempio legate a un delitto, vengono fornite di norma solo alla fine del racconto, con lo scioglimento finale e la scoperta del colpevole.
studio attivo

Qual è il principale criterio di classificazione della VOCE NARRANTE?

il gioco dei punti di vista

Giocando sul punto di vista, l’autore ottiene particolari effetti sul lettore. Per esempio, tanto più intensa è la focalizzazione interna su un personaggio, tanto più il lettore tenderà a identificarsi in esso. Tale partecipazione emotiva funziona anche nei confronti di personaggi spregevoli, ripugnanti o cattivi, come uno spietato ufficiale nazista o un mostruoso serial killer. La lettura ci permette di vivere tante vite e vedere con tanti occhi diversi, anche se temporaneamente: proprio per questo è uno strumento insostituibile di conoscenza.

Un’altra funzione tipica della focalizzazione, stavolta esterna, consiste nella creazione della suspense. Meno viene spiegato dal narratore, più forte è il desiderio del lettore di comprendere le ragioni che stanno dietro allo sviluppo degli eventi, o di penetrare i segreti dei personaggi. Poniamo il caso che il narratore descriva un vecchio pirata con una cicatrice che gli attraversa un occhio. Noi diventiamo subito curiosi e ci chiediamo: come si è procurato la cicatrice? Di quali gesta si è reso protagonista? Queste tecniche rafforzano il desiderio di continuare la lettura, per scoprire più avanti ciò che inizialmente non viene spiegato dal narratore. Ma attenzione: talvolta certi segreti non vengono mai svelati, lasciando per sempre uno spazio bianco, una finestra sul vuoto, che se vuole il lettore può colmare a piacimento.

Inoltre, il gioco dei punti di vista può lasciarci completamente spiazzati, distruggendo le nostre certezze. Per esempio, un repentino cambio di focalizzazione rovescia le idee che avevamo ormai preso per buone. Tutto a un tratto si scopre che l’ispettore, battutosi con impegno per risolvere il caso, è in realtà il colpevole; oppure, il personaggio da sempre messo in cattiva luce dal narratore, perché antipatico e malvagio, si rivela essere in realtà il più valoroso tra i “buoni”.

Infine, talvolta gli autori si dilettano nel dare “voce” a categorie solitamente marginali. Osservare gli eventi dal punto di vista di un sassolino, di un alieno o di un albero genera un effetto spiazzante (in letteratura chiamato straniamento) che contribuisce a insegnarci una verità sottile ma indispensabile: il nostro è soltanto uno dei tanti punti di vista possibili. Lavorare a colpi di immaginazione ci permette di metterci nei panni degli altri, sforzandoci di vedere le cose come essi le vedono, anche quando tale sguardo è lontanissimo dal nostro.

 >> pagina 34 

4. Le parole dei personaggi

Abbiamo visto che la lettura di un testo narrativo presuppone l’“ascolto” immaginario di una voce che fa vivere le parole scritte nel testo. Ma quella del narratore non è l’unica voce che ascoltiamo nel corso della lettura, poiché il racconto è spesso costituito da una somma di voci che parlano con accenti e movenze diverse.

Innanzitutto bisogna introdurre una distinzione generale tra citazione e resoconto. Nel caso della citazione, il narratore fa parlare il personaggio stesso, di cui leggiamo parole e pensieri; nel caso del resoconto, invece, noi udiamo la voce del narratore, che riporta in modo mediato i discorsi dei personaggi. Ecco un esempio:

  • Ilaria lo guardò e gli disse: «Non ti lascerò andare». → citazione
  • Ilaria lo guardò e gli disse che non lo avrebbe lasciato andare. → resoconto

Un’altra importante distinzione è quella tra forme di discorso legato e forme di discorso libero. In una forma legata, le espressioni dei personaggi sono introdotte o seguite da verbi dichiarativi come “dire”, “pensare”, “chiedere”, “esclamare”, mentre nella forma libera la battuta viene semplicemente presentata in modo improvviso, senza alcun collegamento con il resto della narrazione.

fissa i concetti

La focalizzazione indica il punto di vista adottato per raccontare una storia.

fissa i concetti

Nella citazione è il personaggio a parlare.

Nel resoconto parla il narratore.

  • «Questo lo vedremo», rispose Luca, infilandosi il cappotto e puntando verso il portone. (Forma legata)
  • «Questo lo vedremo». Luca si infilò il cappotto e puntò verso il portone. (Forma libera)

Le possibilità appena esposte si combinano dando vita a tecniche di vario genere. Vediamo le più importanti.

  • Discorso diretto legato: è una forma di citazione in cui il narratore riporta le parole dei personaggi, introdotte dai verbi dichiarativi. Le battute sono solitamente delimitate dall’uso delle virgolette, oppure introdotte da un trattino. Grazie alla presenza del verbo, è facile collegare le diverse battute ai personaggi corrispondenti. Leggiamo un celebre dialogo tratto dai Promessi sposi: un signorotto locale invia due scagnozzi a minacciare il curato, don Abbondio, affinché non celebri il matrimonio tra i protagonisti, Renzo e Lucia.

«Cioè…», rispose, con voce tremolante, don Abbondio: «cioè. Lor signori son uomini di mondo,8 e sanno benissimo come vanno queste faccende. Il povero curato non c’entra: fanno i loro pasticci tra loro, e poi… e poi, vengon da noi, come s’anderebbe a un banco a riscotere;9 e noi… noi siamo i servitori del comune».10 «Or bene», gli disse il bravo, all’orecchio, ma in tono solenne di comando, «questo matrimonio non s’ha da fare,11 né domani, né mai».

Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Rizzoli, Milano 2014

  • Discorso indiretto legato: è una forma di resoconto, in cui le parole dei personaggi sono riferite in forma mediata dalla voce narrante, che le riproduce facendole dipendere da un verbo dichiarativo (“disse che”, “chiese se” ecc.), ma senza l’uso di trattini e virgolette. Questa tecnica diminuisce il realismo nella restituzione delle parole dei personaggi ed è talvolta usata dal narratore per riassumere dialoghi che altrimenti occuperebbero più spazio o per esprimere un giudizio su ciò che dicono i personaggi. L’esempio che riportiamo è tratto dal romanzo Passaggio in ombra di Mariateresa Di Lascia (1954-1994):

Se qualcuno le chiedeva come fosse accaduto, si stringeva modesta nelle spalle e scuoteva la chioma fulgente come a dire subito che il merito non era suo ma degli altri due, e in particolare di Sciarmano. Le sue risposte si componevano di un balbettìo di frasi smozzicate. Se, però, le chiedevano se avesse mai sospettato della colpevolezza di Francesco o avesse avuto il timore che sua figlia potesse avere per padre un ladro, mia madre si sdegnava come per un’offesa fatta a lei stessa e affermava con decisione che non aveva mai dubitato dell’innocenza di Francesco, e che di questa non avrebbe potuto dubitare chiunque lo conoscesse.

Mariateresa Di Lascia, Passaggio in ombra, Feltrinelli, Milano 1995

  • Discorso diretto libero: è una forma di citazione in cui il narratore riporta le esatte parole dei personaggi, spesso delimitate da trattini o virgolette, ma senza che vengano introdotte da un verbo dichiarativo. Sebbene questa forma crei un maggiore effetto di naturalezza, non sempre è semplice attribuire la singola battuta al personaggio che la pronuncia. Ecco un esempio tratto dal Barone rampante di Italo Calvino (1923-1985), in cui Cosimo, un rampollo della nobiltà ligure ettecentesca, ha deciso di vivere tutta la sua vita sugli alberi. Dall’alto di una magnolia conosce Viola, una ragazzina bionda seduta sull’altalena di un giardino:

Lei si dette la spinta e volò, le mani strette alle funi. Cosimo dalla magnolia saltò sul grosso ramo che reggeva l’altalena, e di là afferrò le funi e si mise lui a farla dondolare. L’altalena andava sempre più in su:

«Hai paura?».

«Io no. Come ti chiami?».

«Io Cosimo… E tu?».

«Violante ma mi dicono Viola».

«A me mi chiamano Mino, anche, perché Cosimo è un nome da vecchi».

Italo Calvino, Il barone rampante, Mondadori, Milano 1995

  • Discorso indiretto libero: è una forma di resoconto al passato e in terza persona in cui il narratore filtra le parole del personaggio senza introdurle tramite verbo dichiarativo e senza delimitarle con segni di interpunzione. Si veda un esempio tratto dalla novella di Luigi Pirandello (1867-1936) Fuoco alla paglia, il cui protagonista, Simone Lampo, un proprietario terriero caduto in rovina, rimugina sulla sua pietosa condizione:

L’incertezza di quella sua condizione era la sua maggiore tortura. Sì, perché non era piú né ricco, né povero. Ai ricchi non poteva più accostarsi, e i poveri non lo volevano riconoscere per compagno, per via di quella casa in paese e di quel poderetto12 lassù. Ma che gli fruttava la casa? Niente. Tasse, gli fruttava. E quanto al poderetto, ecco qua: c’era, per tutta ricchezza, un po’ di grano che, mietuto fra pochi giorni, gli avrebbe dato, sì e no, tanto da pagare il censo13 alla mensa vescovile.14 Che gli restava dunque, per mangiare?

Luigi Pirandello, Tutte le novelle, Rizzoli, Milano 2007

  • Se la frase iniziale va attribuita al narratore (L’incertezza […] tortura), subito dopo si passa al discorso indiretto libero, caratterizzato dall’andamento colloquiale (Ma che gli fruttava la casa? Niente), dall’uso di indicatori spaziali (quel poderetto lassù, ecco qua) e da un linguaggio enfatico.

 >> pagina 36 

5. I pensieri dei personaggi

Il narratore ha a disposizione varie tecniche per esprimere i pensieri dei personaggi. Vediamone alcune.

  • Soliloquio: il personaggio parla tra sé e sé, oppure riferendosi a un interlocutore immaginario. Il soliloquio può essere pronunciato a voce alta o soltanto mentalmente: in ogni caso nessuno lo ascolta. Nel romanzo Stabat mater di Tiziano Scarpa (n. 1963), una giovane orfana – ospite di un convento veneziano – si rivolge per iscritto alla madre ignota che l’ha abbandonata:

Perché si nasce? Perché mi avete fatta nascere, Signora Madre? Mi chiedo se non sia stata una mia decisione, quella di venire al mondo. Lo so, detto così suona superbo. Eppure io vedo tutta questa vecchiaia, questa malinconia intorno a me, vedo queste donne profondamente sole che si fanno coraggio a vicenda vivendo in comunità, vedo le suore parlare di morte e di vita dopo la morte, di felicità delle anime, ma quando ne parlano i loro volti non si illuminano. Si nasce per scappare via da un corpo destinato a morire. Qualcosa dentro di noi si rende conto che è destinato a spegnersi per sempre, e allora reagisce, fugge.

Tiziano Scarpa, Stabat mater, Einaudi, Torino 2008

  • Monologo interiore: vengono registrati i pensieri di un personaggio, senza che esso si rivolga a un interlocutore di qualsiasi genere. A differenza del soliloquio, il monologo interiore non è strutturato come un discorso, ma allinea le frasi seguendo l’immediatezza e il disordine tipici dei nostri processi mentali. Nella Coscienza di Zeno di Italo Svevo (1861-1928), il protagonista ragiona intorno a uno dei suoi numerosi tentativi di smettere di fumare:

Era un’ultima sigaretta molto importante. Ricordo tutte le speranze che l’accompagnarono. M’ero arrabbiato col diritto canonico15 che mi pareva tanto lontano dalla vita e correvo alla scienza16 ch’è la vita stessa benché ridotta in un matraccio.17 Quell’ultima sigaretta significava proprio il desiderio di attività (anche manuale) e di sereno pensiero sobrio e sodo.18

Per sfuggire alla catena delle combinazioni del carbonio cui non credevo ritornai alla legge. Pur troppo! Fu un errore e fu anch’esso registrato da un’ultima sigaretta di cui trovo la data registrata su di un libro. Fu importante anche questa e mi rassegnavo di ritornare a quelle complicazioni del mio, del tuo e del suo19 coi migliori propositi, sciogliendo finalmente le catene del carbonio. M’ero dimostrato poco idoneo alla chimica anche per la mia deficienza20 di abilità manuale. Come avrei potuto averla quando continuavo a fumare come un turco?

Italo Svevo, La coscienza di Zeno, Mursia, Milano 1987

  • Flusso di coscienza: i pensieri di un personaggio vengono riportati in una sequenza caotica, che mira a riprodurre i processi irrazionali e i collegamenti arditi o casuali del pensiero inconscio. Questa tecnica, tipica della narrativa del primo Novecento, comporta spesso assenza di punteggiatura, violazione delle regole grammaticali e associazioni libere e non fondate secondo le leggi del pensiero logico e razionale. Si veda un breve passaggio dell’Ulisse di James Joyce (1882-1941), considerato un vero maestro nell’uso del flusso di coscienza. Mentre Molly Bloom, la moglie del protagonista, è a letto, la sua mente si affolla di ricordi, considerazioni e pensieri sconnessi:

il venerdì porta male prima voglio fare un po’ di pulizie la polvere sembra che si ammucchi mentre dormo poi un po’ di musica e qualche sigaretta posso accompagnarlo prima devo pulire i tasti del piano col latte cosa mi devo mettere porterò una rosa bianca o quelle brioscine di Lipton mi piace l’odore di un bel negozio di lusso a 7 penny21 e ½ la libbra o quelle altre con le ciliegine e lo zucchero rosa 11 pence22 un paio di libbre e poi una bella piantina in mezzo alla tavola si trova a minor prezzo da un momento dove le ho viste non è mica molto i fiori mi piacciono vorrei che la casa traboccasse di rose Dio del cielo non c’è niente come la natura le montagne selvagge poi il mare.

James Joyce, Ulisse, Mondadori, Milano 1960

L’emozione della lettura - edizione gialla - volume A
L’emozione della lettura - edizione gialla - volume A
Narrativa