Tra gli innumerevoli equivoci che mi hanno, in sede giornalistica, perseguitato per
tutta la vita, c’è stato anche quello di fare di me “il poeta di Trieste”; e tu1 sai benissimo
che sono stato altra cosa [...]
In un breve discorso che ho tenuto, quattro anni fa, a Trieste, ho detto, fra
5 altro: «Prima di leggervi poche poesie su Trieste (poche per paura di stancarvi e di
stancarmi) devo premettere che io non sono stato un poeta triestino, ma un poeta
e uno scrittore italiano, nato, nel 1883, in quella grande città italiana che è Trieste.
Non so nemmeno se – dal punto di vista dell’igiene dell’anima – sia stato, per me,
un bene nascere, con un temperamento classico, in una città romantica; e con un
10 carattere (come quello di tutti i deboli) idillico, in una città drammatica. Fu un
bene (credo) per la mia poesia, che si alimentò anche di quel contrasto, e un male
per la mia – diciamo così – felicità di vivere... Comunque, il mondo io l’ho guardato
da Trieste. Il suo paesaggio, materiale e spirituale, è presente in molte mie poesie
e prose, pure in quelle – e sono la grande maggioranza – che parlano di tutt’altro,
15 e di Trieste non fanno nemmeno il nome. [...]
Pensiamo un momento Recanati e Leopardi. A parte il fatto che il Leopardi non
amava – almeno a parole – Recanati, e che io Trieste l’ho amata; tutto il paesaggio
e, probabilmente, tutto il modo di essere del Leopardi era senza alcun pregiudizio
della sua universalità, recanatese. Del resto, io non credo né alle parole né alle opere
20 degli uomini che non hanno le radici profondamente radicate nella loro terra:
sono sempre opere e parole campate in aria».
Ma quella Trieste della quale ho parlato e cantato, non era la Trieste di oggi,
e nemmeno di ieri. La vita è – lo so troppo bene – movimento: ma, più ancora
delle guerre, delle rivoluzioni, delle persecuzioni, e di altri indicibili orrori (cose
25 che accaddero in tutti i tempi e in tutti i paesi) il nostro secolo aggiunse, di suo, la
velocità, una velocità spaventosa; alla quale l’uomo non era, in nessun modo, preparato.
Questa è stata, forse, la sventura più grande della quale ci abbia deliziato.
Hai appena superata un’ondata di mali, che un’altra ne sopraggiunge, più alta, più
minacciosa delle precedenti. Tanto, che ho sempre invidiato i poeti, gli scrittori,
30 gli artisti (gli uomini in generale) che hanno potuto chiudere gli occhi in una città
mutata sì, ma di poco, da quella che era stata al tempo della loro fanciullezza. Da
quando nacqui fino allo scoppio della prima guerra mondiale (ed anche più tardi)
Trieste era sempre quella veduta, conosciuta nell’infanzia, scoperta poi: una città
bella tra i monti
35 rocciosi e il mare luminoso. Mia
perché vi nacqui, più che d’altri mia,
che la scoprivo fanciullo, ed adulto
per sempre a Italia la sposai col canto.