Cronache dal passato - Un’onta da lavare con il sangue

CRONACHE dal PASSATO

  Un’onta da lavare con il sangue

Un duello in piena regola tra due scrittori-spadaccini


«Dov’è Ungaretti? Dov’è Ungaretti? Dov’è?»: le urla di Massimo Bontempelli, uno tra i massimi protagonisti della scena letteraria del primo Novecento italiano, risuonano nelle sale del celebre Caffè Aragno di Roma. È qui che si incontra l’élite della cultura del tempo: pittori, musicisti, poeti vi si danno convegno per discutere di arte, non senza il pettegolo corredo della mondanità. Accecato dall’ira, Bontempelli si fa strada tra i presenti fin quando gli indicano il poeta, a cui lo lega una già lunga storia di maldicenze e rancori.

Una disputa tra letterati

Pietra dello scandalo è ora un articolo di Ungaretti intitolato Le disgrazie di Bontempelli, pubblicato dal quotidiano “Il Tevere”. Il contenuto – lo si può immaginare – consiste in una serie di critiche e di attacchi polemici, avvelenati dall’ironia, che il poeta ha lanciato nei confronti del collega. Stavolta, però, lo scrittore offeso pretende vendetta: appena vede il rivale, lo mortifica davanti allo sguardo dei presenti con un sonoro ceffone. È un affronto che il temperamento sanguigno di Ungaretti non può tollerare: si scaglia verso di lui, viene trattenuto a stento, infine gli chiede di risarcire l’umiliazione subita con un duello pubblico.

Un duello per la stampa

Bontempelli accetta: è l’8 agosto 1926. Il teatro della sfida viene offerto da un ospite d’eccezione, Luigi Pirandello, che mette a disposizione dei duellanti il parco della propria villa romana, vicino alla chiesa di Sant’Agnese. Arbitro è il principe degli schermidori, Agesilao Greco, il famoso maestro d’armi. Lo scontro però dura poco. Al terzo assalto, la spada di Bontempelli si infila nell’avambraccio destro di Ungaretti, provocandogli una ferita di tre centimetri. Nulla di grave: i due letterati-spadaccini si rappacificano. In fondo, entrambi hanno salvato l’onore e, soprattutto, l’immagine. Ad assistere al duello, infatti, erano stati invitati fotografi e giornalisti: il giorno dopo, nella vetrina di un famoso libraio romano, campeggia una gigantografia dei duellanti. Sotto, come didascalia, un grande cartello recita: «Ecco il primo poema eroico del Novecento».

Le opere

L’allegria

Sotto questo titolo confluisce nel 1931 la produzione giovanile del poeta, costituita in gran parte dai versi scritti durante la Prima guerra mondiale, editi in precedenza nelle raccolte Il porto sepolto (1916) e Allegria di naufragi (1919). Si tratta di poesie assai innovative, soprattutto sul piano stilistico: Ungaretti supera la metrica tradizionale attraverso l’adozione di versi molto brevi, enfatizzando le singole parole, spesso scelte al di fuori del lessico letterario. A quest’opera, ancora oggi considerata la più rappresentativa della poetica di Ungaretti, dedichiamo la seconda parte dell’Unità ( p. 469).

Sentimento del tempo

Pubblicata nel 1933, la raccolta Sentimento del tempo è divisa in 7 sezioni e raccoglie componimenti scritti a partire dal 1919. La sua uscita segna il passaggio alla seconda fase della poetica ungarettiana.

 >> pagina 459

Rispetto alla stagione precedente, il poeta recupera la versificazione tradizionale, in particolare, per quanto riguarda il metro, tramite la ripresa dell’endecasillabo e del settenario. Anche la sintassi diventa fluida e ampia: non è più spezzata in brevi periodi come nell’Allegria, ma risulta composta da proposizioni più lunghe e complesse, seppure interrotte dalla presenza di pause ritmiche. Strumenti stilistici prima rifiutati tornano a essere accolti: la punteggiatura, figure retoriche quali l’esclamazione, la ripetizione, il chiasmo, le stesse rime, nel contesto di un tono meno scarno e talvolta più oratorio. Anche il lessico, nei versi della prima raccolta essenziale e antiletterario, qui si fa aulico e denso di significati reconditi, un modello per i poeti di quello stesso periodo che si chiameranno “ermetici” proprio per la ricerca di questa oscurità.

Invece dei panorami desertici o carsici, presenti nelle raccolte Il porto sepolto e Allegria di naufragi, il poeta delinea ora un paesaggio di monti, alberi, boschi e spiagge, animato da ninfe e fauni, lo stesso che avevano cantato i grandi poeti italiani e latini. In primo piano troviamo il panorama laziale (Tivoli e le sue ville, il lago di Albano, il bosco di Marino ecc.), raffigurato per lo più nella stagione estiva.

Uno sfondo privilegiato nella raccolta è però costituito dalla città di Roma, con i suoi monumenti usurati dal tempo. Come scrive lo stesso poeta, Roma «era città dove si aveva ancora il sentimento dell’eterno […]. Quando si è in presenza del Colosseo, enorme tamburo con orbite senz’occhi, si ha il sentimento del vuoto».

Questo «sentimento del vuoto» si accresce nell’afa distruttiva dell’estate, quando il sole abbacinante divora le forme, illumina le rovine create dai secoli e svela «il consumarsi / senza fine di tutto» (Paesaggio). Anche le immagini della natura esprimono il flui­re inesorabile del tempo, il trascorrere delle ore e delle stagioni fino a prefigurare una futura fine del mondo («L’ora impaurita / In grembo al firmamento / Erra strana», Fine di Crono).

La poesia ungarettiana presenta qui un panorama dominato da suggestioni lugubri e gravate da un senso di grandiosità in rovina: un gusto barocco che non investe solo la sfera estetica della rappresentazione, ma è espressione della sensibilità dell’autore, riflessione sugli aspetti metafisici della vita, percezione dell’eterno e del vuoto. Ungaretti parla di un «sentimento della catastrofe»: vale a dire di una meditazione sulla morte e sul tempo sentiti come un lento, inevitabile avvicinarsi alla corruzione della carne.

Non a caso un motivo centrale nella raccolta è quello religioso, vissuto come contrasto tra peccato e ansia di redenzione. Il poeta manifesta la propria volontà di abbracciare la fede cristiana, pur tra inquietudini, incertezze e dubbi. La coscienza della miseria umana gli suggerisce un appello all’amore divino: «Da ciò che dura a ciò che passa, / Signore, sogno fermo, / Fa’ che torni a correre un patto. / […] / Sii la misura, sii il mistero. // Purificante amore, / Fa’ ancora che sia la scala di riscatto / La carne ingannatrice» (La preghiera).

Il dolore

Le poesie che confluiscono nel 1947 nella raccolta Il dolore vengono composte tra il 1937 e il 1946, in anni che comprendono tragedie collettive (la Seconda guerra mondiale) ed eventi drammatici nella vita privata del poeta (la morte del fratello e del figlio Antonietto). Ne consegue l’idea secondo cui la realtà non è più decifrabile attraverso metafore o mediazioni letterarie, ma va registrata quotidianamente, come nel diario di una sofferenza grave e tuttavia controllata.

 >> pagina 460

Articolata in 6 brevi sezioni, la raccolta ha il proprio nucleo in quelle intitolate Giorno per giorno e Il tempo è muto, dedicate al figlio Antonietto, prematuramente scomparso. Vi regna un’atmosfera di mesta rassegnazione, in cui affiora di continuo l’immagine della morte, entità spietata e destino implacabile che non si arresta neanche di fronte all’innocenza: «Ma la morte è incolore e senza sensi / E, ignara d’ogni legge, come sempre, / Già lo sfiorava / Coi denti impudichi» (Amaro accordo).

Soprattutto a contatto con la guerra – si veda la sezione Roma occupata (1943-1944) – l’angoscia privata tende ad allargarsi in una più ampia e corale meditazione religiosa sulla sofferenza e sulla redenzione intese in senso cristiano. Il dolore pare contaminare il mondo, condannandolo a un perenne calvario: l’immagine di Roma straziata dal sangue e dai lutti ispira al poeta una richiesta di consolazione nella preghiera a un Dio misericordioso e cosciente della debolezza umana (Mio fiume anche tu).

Ma se sul piano dei contenuti va registrato un approccio più diretto alle tematiche affrontate, dal punto di vista stilistico la raccolta accentua l’indirizzo formale già avviato in Sentimento del tempo: anche se è possibile scorgere il permanere di una tensione verso un’espressività della parola lirica ancora aspra ed essenziale, il linguaggio è spesso alto e sublime e numerose sono le metafore di gusto barocco.

La Terra Promessa

Nel 1950 esce La Terra Promessa, dedicata al critico Giuseppe De Robertis. La struttura frammentaria della raccolta, sottolineata sin dal sottotitolo (Frammenti 1935-1953), si spiega anche con l’iniziale intenzione dell’autore di concepire l’opera come il libretto di un melodramma, con un canovaccio e diverse composizioni. Nella raccolta tornano, con evidenti influssi leopardiani, i motivi della morte e del nulla, accentuati da una diffusa sensazione di disfacimento e desolazione.

L’ispirazione nasce da un viaggio del poeta in Campania, nei luoghi vicini a Cuma, la sede dell’antro della Sibilla. Da qui l’atmosfera mitica che aleggia in tutti i componimenti, in particolare nei Cori descrittivi di stati d’animo di Didone, 19 testi poetici in cui la regina cartaginese è immaginata alle soglie della maturità, mentre piange il venir meno delle illusioni giovanili.

Un grido e Paesaggi e Il taccuino del vecchio

Il crescente pessimismo sulla condizione umana, l’abbandono dell’euforico vitalismo giovanile, l’affiorare di una saggezza dolente caratterizzano anche le ultime opere del poeta. Tra queste ricordiamo Un grido e Paesaggi, uscita nel 1952, minuscola raccolta di testi scritti a partire dal 1939, in cui l’evocazione del silenzio non comunica più stupore o smarrimento ma il senso di una solitudine senza tempo e senza fine, e Il taccuino del vecchio, edita nel 1960, in cui i ricordi personali (come quello della moglie Jeanne, morta nel 1958) e lo sguardo sugli avvenimenti del mondo si svolgono, sul piano stilistico, in una forma più ampia, tradizionale e classicista.

Le prose

Per Ungaretti la forma non si limita ad assumere una funzione esornativa: le opzioni formali hanno sempre una giustificazione e un profondo significato, che meritano di essere approfonditi e spiegati sul piano teorico. Ciò permette di comprendere la ricchezza della sua attività ermeneutica, ovvero i numerosi scritti in cui il poeta manifesta la costante ambizione di essere «esegeta di sé stesso» (Pavarini), spiegando passo dopo passo le ascendenze culturali e i significati simbolici che connotano la sua identità letteraria e forniscono la chiave per interpretare i suoi versi.

Nei suoi Saggi e interventi (uscito postumo nel 1974) in particolare Ungaretti definisce la propria concezione della poesia, il valore dei procedimenti linguistici e stilistici adottati, l’importanza di alcuni fondamentali nodi simbolici, le influenze di diverse esperienze significative della lirica europea (da Petrarca a Leopardi, da Góngora a Shakes­peare, da Blake a Mallarmé, tutti autori, fra l’altro, tradotti dal poeta).

Cospicua è, nell’ambito della sua attività di prosatore, anche la produzione giornalistica: tra il 1931 e il 1935, l’autore scrive reportage per la testata torinese “La Gazzetta del Popolo”. Si tratta per lo più di scritti di viaggio, composti secondo i moduli della prosa d’arte promossi dalla rivista “La Ronda”, in cui si mescolano annotazioni letterarie, divagazioni storiche e artistiche, descrizioni paesaggistiche.

 >> pagina 461

La vita

 

Le opere

• Nasce ad Alessandria d’Egitto, dove trascorre l’infanzia e l’adolescenza

1888

 

• Si trasferisce a Parigi

• Entra in contatto con artisti d’avanguardia

1912

 

• Allo scoppio della Prima guerra mondiale si arruola volontario come soldato semplice

1915

 
  1916 Il porto sepolto 
  1919 Allegria di naufragi

• Sposa a Parigi Jeanne Dupoix

1920

 
  1931 L’allegria
  1933 Sentimento del tempo

• Va a vivere con la famiglia a San Paolo del Brasile, dove insegna Lingua e letteratura italiana all’università

1936

 

Muore il fratello Costantino

1937

 

Muore il figlio Antonietto

1939

 

• Rientra in Italia

• Ottiene la cattedra di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università La Sapienza di Roma

• È nominato Accademico d’Italia

1942

 

Viene giudicato da una commissione per i suoi rapporti con il regime fascista

1945-1946

 
  1947 Il dolore
  1950 La Terra Promessa
  1952 Un grido e Paesaggi

• Muore la moglie Jeanne

1958

 
  1960 Il taccuino del vecchio 
• È eletto presidente della Comunità europea degli scrittori

1962

 
• Muore a Milano

1970

 

Vola alta parola - volume 6
Vola alta parola - volume 6
Dal Novecento a oggi