T5 - Mia moglie e il mio naso (Uno, nessuno e centomila)

T5

Mia moglie e il mio naso

Uno, nessuno e centomila, libro I, cap. 1

Nell’incipit del romanzo il lettore viene immediatamente posto di fronte all’evento scatenante, dal quale deriverà una crisi esistenziale di enorme portata. Dopo il fulminante commento della moglie, nella vita di Vitangelo Moscarda nulla sarà più come prima, nemmeno il suo nome.

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Audiolettura

«Che fai?», mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare davanti

allo specchio.

«Niente», le risposi, «mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premen­do, 

avverto un certo dolorino».

5      Mia moglie sorrise e disse:

«Credevo ti guardassi da che parte ti pende».

Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda:

«Mi pende? A me? Il naso?».

E mia moglie, placidamente:

10    «Ma sì, caro. Guàrdatelo bene: ti pende verso destra».


Avevo ventotto anni e sempre fin allora ritenuto il mio naso, se non proprio bello,

almeno molto decente, come insieme tutte le altre parti della mia persona. Per cui

m’era stato facile ammettere e sostenere quel che di solito ammettono e sosten­gono 

tutti coloro che non hanno avuto la sciagura di sortire un corpo deforme:

15    che cioè sia da sciocchi invanire1 per le proprie fattezze. La scoperta improvvisa e

inattesa di quel difetto perciò mi stizzì come un immeritato castigo.

Vide forse mia moglie molto più addentro di me in quella mia stizza e ag­giunse 

subito che, se riposavo nella certezza d’essere in tutto senza mende,2 me ne

levassi pure, perché, come il naso mi pendeva verso destra, così…

20    «Che altro?».

Eh, altro! altro! Le mie sopracciglia parevano sugli occhi due accenti circon­flessi, 

^ ^, le mie orecchie erano attaccate male, una più sporgente dell’altra; e altri

difetti…

«Ancora?».

25    Eh sì, ancora: nelle mani, al dito mignolo; e nelle gambe (no, storte no!), la

destra, un pochino più arcuata dell’altra: verso il ginocchio, un pochino.

Dopo un attento esame dovetti riconoscere veri tutti questi difetti. E solo allo­ra, 

scambiando certo per dolore e avvilimento la maraviglia che ne provai subito

dopo la stizza, mia moglie per consolarmi m’esortò a non affliggermene poi tanto,

30    ché anche con essi, tutto sommato, rimanevo un bell’uomo.

Sfido a non irritarsi, ricevendo come generosa concessione ciò che come diritto

ci è stato prima negato. Schizzai un velenosissimo «grazie» e, sicuro di non aver

motivo né d’addolorarmi né d’avvilirmi, non diedi alcuna importanza a quei lievi

difetti, ma una grandissima e straordinaria al fatto che tant’anni ero vissuto senza

35    mai cambiar di naso, sempre con quello, e con quelle sopracciglia e quelle orec­chie, 

quelle mani e quelle gambe; e dovevo aspettare di prender moglie per aver

conto che li avevo difettosi.

«Uh che maraviglia! E non si sa, le mogli? Fatte apposta per scoprire i difetti

del marito».

40    Ecco, già – le mogli, non nego. Ma anch’io, se permettete, di quei tempi ero

fatto per sprofondare, a ogni parola che mi fosse detta, o mosca che vedessi volare,

in abissi di riflessioni e considerazioni che mi scavavano dentro e bucheravano3

giù per torto e sù per traverso lo spirito, come una tana di talpa; senza che di fuori

ne paresse nulla.

45    «Si vede», voi dite, «che avevate molto tempo da perdere».

No, ecco. Per l’animo in cui mi trovavo. Ma del resto sì, anche per l’ozio, non

nego. Ricco, due fidati amici, Sebastiano Quantorzo e Stefano Firbo, badavano ai

miei affari dopo la morte di mio padre; il quale, per quanto ci si fosse adoperato

con le buone e con le cattive, non era riuscito a farmi concludere mai nulla; tranne

50    di prender moglie, questo sì, giovanissimo; forse con la speranza che almeno avessi

presto un figliuolo che non mi somigliasse punto; e, pover’uomo, neppur questo

aveva potuto ottenere da me.

E non già, badiamo, ch’io opponessi volontà a prendere la via per cui mio

padre m’incamminava. Tutte le prendevo. Ma camminarci, non ci camminavo. Mi

55    fermavo a ogni passo; mi mettevo prima alla lontana, poi sempre più da vicino

a girare attorno a ogni sassolino che incontravo, e mi maravigliavo assai che gli

altri potessero passarmi avanti senza fare alcun caso di quel sassolino che per me

intanto aveva assunto le proporzioni d’una montagna insormontabile, anzi d’un

mondo in cui avrei potuto senz’altro domiciliarmi.

60    Ero rimasto così, fermo ai primi passi di tante vie, con lo spirito pieno di mon­di, 

o di sassolini, che fa lo stesso. Ma non mi pareva affatto che quelli che m’erano

passati avanti e avevano percorso tutta la via, ne sapessero in sostanza più di me.

M’erano passati avanti, non si mette in dubbio, e tutti braveggiando4 come tanti

cavallini; ma poi, in fondo alla via, avevano trovato un carro: il loro carro; vi erano

65    stati attaccati con molta pazienza, e ora se lo tiravano dietro. Non tiravo nessun

carro, io; e non avevo perciò né briglie né paraocchi; vedevo certamente più di loro;

ma andare, non sapevo dove andare.

Ora, ritornando alla scoperta di quei lievi difetti, sprofondai tutto, subito, nella

riflessione che dunque – possibile? – non conoscevo bene neppure il mio stesso

70    corpo, le cose mie che più intimamente m’appartenevano: il naso, le orecchie, le

mani, le gambe. E tornavo a guardarmele per rifarne l’esame.

Cominciò da questo il mio male. Quel male che doveva ridurmi in breve in

condizioni di spirito e di corpo così misere e disperate che certo ne sarei morto o

impazzito, ove in esso medesimo non avessi trovato (come dirò) il rimedio che

75    doveva guarirmene.

 >> pagina 246 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Come può, dopo un veloce scambio di battute con la moglie, sgretolarsi d’improvviso l’immagine che fino a questo momento Vitangelo Moscarda ha avuto di sé? Il naso – quel naso da sempre uguale a sé stesso, secondo il protagonista – viene sottoposto casualmente a un’analisi minuziosa e disgregante che, estesa ad altre parti del corpo, finisce per travolgere l’intera esistenza del protagonista, smantellando uno dopo l’altro i tratti della sua persona sociale.

Quest’inezia, questo difetto marginale, non compromette la piacevolezza dell’insieme (anche con essi, tutto sommato, rimanevo un bell’uomo, r. 30); eppure l’effetto è enorme, sproporzionato rispetto alla causa. Quel che sconvolge Vitangelo è il riconoscersi da sempre cieco di fronte a ciò che più di tutto si dovrebbe conoscere: sé stessi, almeno nella veste esteriore del proprio corpo (le cose mie che più intimamente m’appartenevano: il naso, le orecchie, le mani, le gambe, rr. 70-71). Come appare davvero, all’esterno, la forma della nostra persona? La risposta di Pirandello è semplice ma devastante: in un’ottica relativista, ognuno vede e sente con i “propri” occhi e le “proprie” orecchie, attraverso il filtro di una soggettività che deforma il reale. Nessuno ha ragione e nessuno ha torto; per questo non può esserci “un solo” naso di Moscarda: esso è moltiplicato dagli sguardi degli altri, in un relativismo senza fine.

 >> pagina 247 

Si innesca così un meccanismo di riflessioni corrosive che sradicheranno, passo dopo passo, ogni certezza pazientemente costruita e depositata nel repertorio delle forme della vita sociale. Vitangelo Moscarda si è “infettato” irrimediabilmente (Cominciò da questo il mio male, r. 72): il pungolo dell’analisi – un’analisi spietata e minuziosa – non lo abbandonerà più, fino a quando, nel prosieguo del romanzo, anche l’ultimo tassello della propria identità (il suo nome) non finirà fra le macerie del vecchio io.

Solo alla fine di questo percorso difficile e doloroso si offrirà una speranza di salvezza, come a dire che unicamente distruggendo l’immagine stereotipata del proprio io è possibile rinascere a una nuova vita. La presunta malattia mentale di Moscarda diviene così fonte di guarigione: Quel male che doveva ridurmi in breve in condizioni di spirito e di corpo così misere e disperate che certo ne sarei morto o impazzito, ove in esso medesimo non avessi trovato (come dirò) il rimedio che doveva guarirmene (rr. 72-75).

Fin dal primo capitolo del romanzo si trova una caratterizzazione abbastanza precisa delle attitudini psicologiche del protagonista. Parlando di sé, Vitangelo dipinge il ritratto di un inetto, indifferente e superficiale quando si tratta di occuparsi degli affari di famiglia: sbadato e inattivo, egli è un “pensatore” con la testa tra le nuvole (fatto per sprofondare […] in abissi di riflessioni e considerazioni che mi scavavano dentro, rr. 41-42). Invece di seguire i consigli del padre, o meglio, seguendoli svogliatamente, Moscarda si attarda a osservare ogni sassolino in cui si imbatte durante le sue passeggiate da flâneur. Il sassolino, però, è materia solo in apparenza insignificante (mi maravigliavo assai che gli altri potessero passarmi avanti senza fare alcun caso di quel sassolino che per me intanto aveva assunto le proporzioni d’una montagna insormontabile, rr. 56-58): in questa attenzione maniacale al particolare, il protagonista segue il canone dell’umorista, che scompone in minuscoli granelli il mondo circostante per osservarlo meglio e tentare di capirlo.

Per scrutare il mondo da questa posizione privilegiata è però necessario porsi “fuori dal gioco”, uscendo dai meccanismi sociali in cui gli altri restano invischiati (in fondo alla via, avevano trovato un carro: il loro carro; vi erano stati attaccati con molta pazienza, e ora se lo tiravano dietro, rr. 64-65). E tuttavia, chi abbandona il suo ruolo precostituito è tacciato di pazzia, di demenza, di anormalità. Togliere la «maschera» significa, è vero, liberarsi dei luoghi comuni (non avevo perciò né briglie né paraocchi, r. 66), ma anche affrontare lo smarrimento e una dolorosa solitudine (vedevo certamente più di loro; ma andare, non sapevo dove andare, rr. 66-67).

 >> pagina 248 

Le scelte stilistiche

La narrazione in prima persona, che permette all’autore di alternare racconto e riflessione, sfocia in una sorta di “flusso di coscienza” adatto alla forma teatrale. Il narratore, per esempio, si rivolge incessantemente a un pubblico chiamato all’ascolto («Si vede», voi dite, «che avevate molto tempo da perdere», r. 45): il monologo di Moscarda appare più un soliloquio recitato da un attore sul palcoscenico che una confessione intima che lasci emergere il subconscio della voce narrante.

Il dialogo immaginario con un gruppo di interlocutori (sempre definiti con il voi) conduce direttamente al centro della poetica pirandelliana, portando a riconoscere che la scoperta di Moscarda non è un fatto privato, ma la rappresentazione universale di una macroscopica crisi d’identità, da cui nessuno può sfuggire.

L’esemplarità e la profondità tematica del racconto convivono con uno stile semplice, caratterizzato da una prosa facile, viva e diretta (Schizzai un velenosissimo «grazie», r. 32; «Uh che maraviglia! E non si sa, le mogli? Fatte apposta per scoprire i difetti del marito», rr. 38-39). Una serie di espressioni strappate al gergo quotidiano e prive di ogni pretesa letteraria conferisce alla pagina un’apparenza di banalità, dalla quale emergono invece contenuti assai complessi.

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 In quale atteggiamento è sorpreso Vitangelo Moscarda quando la moglie gli pone la fatidica domanda Che fai (r. 1)?


2 Al protagonista vengono fatti notare difetti fisici che non aveva mai visto prima. Come reagisce, in un primo momento?


3 Quali informazioni si possono ricavare sulla vita privata di Moscarda da queste prime pagine del romanzo (amicizie, lavoro, legami familiari)?

ANALIZZARE

4 Individua le parole e le espressioni appartenenti a un lessico semplice e quotidiano.

INTERPRETARE

5 Perché la banale considerazione sul naso che pende verso destra (r. 10) innesca una reazione a catena dagli esiti catastrofici? Quanto influiscono le naturali inclinazioni del protagonista su questa crisi dalla portata universale? Si tratta solo della reazione di un uomo permaloso o di qualcosa di più complesso?

COMPETENZE LINGUISTICHE

Nel testo che hai letto sono numerosissimi i pronomi, anche in forma enclitica: per ciascuna delle seguenti voci verbali, spiega a cosa essi si riferiscono.


affliggermene (r. 29)  camminarci (r. 54)  guardarmele (r. 71)  rifarne (r. 71)  guarirmene (r. 75)

Produrre

7 Scrivere per raccontare. L’evento scatenante della crisi di Vitangelo Moscarda è vicino al vissuto quotidiano di ciascuno di noi. L’esposizione al giudizio altrui si è moltiplicata oggi, con la diffusione dei social network, in modo esponenziale. Nelle reti sociali virtuali, potenzialmente infinite, l’immagine dell’io risulta scissa in modo ancora più drastico di quanto Pirandello avesse ipotizzato. Anche tu sei sensibile al giudizio degli altri? Come reagisci quando l’immagine di te che ti sei costruito mentalmente viene messa in discussione dai commenti di chi ti osserva? Scrivi un testo espositivo di circa 25 righe.

Vola alta parola - volume 6
Vola alta parola - volume 6
Dal Novecento a oggi