I grandi temi

I grandi temi

1 La poetica dell’umorismo

Alla base della poetica pirandelliana risiede una precisa concezione dell’umorismo, enunciata in vari saggi, ma soprattutto nel testo teorico intitolato appunto L’umorismo (1920). Tale concezione poggia sull’idea che la realtà non si riduce all’apparenza, alle sue manifestazioni oggettive, ma contiene un lato nascosto, impossibile da cogliere al primo sguardo. Nulla è veramente come sembra: sotto la superficie delle cose si trova un contenuto che smentisce quel primo apparire. Il compito dell’arte consiste proprio nello svelare questa duplicità di fondo: essa deve scavare nella zona oscura dell’esistenza per metterla in risalto e mostrarne le storture. Affinché ciò avvenga, è necessario rinunciare all’armonia formale e strutturale dell’estetica classica: in un mondo senza coe­renza, l’arte contemporanea, secondo Pirandello, non può che essere paradossale e incongruente, dissonante, «fuori di chiave».

Il non senso della vita – «enorme pupazzata senza nesso, senza spiegazione mai», scrive l’autore in una lettera del 1886 – può essere percepito soltanto attraverso la riflessione, attività dello spirito che ritorna a guardare con occhio critico e distante un fenomeno dapprima vissuto in modo diretto e spontaneo. Essa è come una lente d’ingrandimento che scruta nel dato empirico e lo disgrega, vanificando ogni certezza e mostrando il carattere illusorio delle presunte verità.

È da queste premesse che Pirandello giunge alla definizione dell’umorismo come «sentimento del contrario». Illuminante, a tale proposito, è il famoso esempio della «vecchia imbellettata», introdotto nella seconda edizione del saggio: un’anziana signora che si agghinda come una giovane donna suscita in chi la osserva, come prima reazione, il riso. Questo è ciò che Pirandello chiama «avvertimento del contrario»: ci si rende conto che la vecchia imbellettata appare il contrario di quello che dovrebbe essere una donna della sua età. Ma se a questo primo sguardo subentra la riflessione, cioè se si pensa alle ragioni nascoste del suo comportamento – forse la donna non è a suo agio così agghindata, ma lo fa per esempio per compiacere un marito più giovane –, ecco che si insinua un più profondo senso di compassione, che Pirandello chiama il «sentimento del contrario».

Per sostenere la sua tesi, l’autore propone anche altri riferimenti; uno dei più illustri è quello del Don Chisciotte di Cervantes. Chi legge le bizzarre avventure di questo cavaliere è portato, in un primo momento, a soffermarsi sugli aspetti comici della vicenda: avverte – e ne ride – che una persona normale non dovrebbe comportarsi in modo così folle. Tuttavia, riflettendo più approfonditamente, la prima impressione sfuma e si stempera in un sentimento di pietà dolente per un eroe fuori tempo, che aspira a emulare i grandi personaggi di una realtà tramontata per sempre (quella dell’epopea cavalleresca) ma che egli crede ancora presente.

Il «sentimento del contrario» consiste dunque nella capacità, non a tutti concessa, di vedere il lato tragico di una situazione comica, oppure, viceversa, l’aspetto ridicolo di una vicenda drammatica. Questo atteggiamento implica il dubbio e la consapevolezza della pluralità dei giudizi possibili su ciò che ci circonda; implica, in altre parole, una lettura della realtà improntata al relativismo: una visione non univoca del mondo, ma che anzi è in grado di coglierne le sfumature, demistificando fedi religiose, valori etici e ideologie politiche consolidate, e al tempo stesso denunciando il carattere fittizio di certezze e convenzioni individuali e sociali. Il concetto di verità nel suo valore assoluto è in tal modo messo in discussione: la modernità, con le sue contraddizioni, non può essere più descritta in modo uniforme né ricomposta entro gli schemi razionali promossi dal Positivismo.

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Nell’opera pirandelliana, forse solo l’ultima fase della produzione teatrale, quella “mitica”, può dirsi non condizionata dalla poetica dell’umorismo. Tutti i romanzi, fatta eccezione per Suo marito e, in parte, per I vecchi e i giovani, sviluppano infatti il carattere spiazzante del «sentimento del contrario», in particolare Il fu Mattia Pascal e Uno, nessuno e centomila. Anche novelle come La patente, Il treno ha fischiato, La vita nuda, Ciàula scopre la luna, e molte altre, riprendono elementi strutturali e contenutistici ascrivibili all’orizzonte umoristico. Per quanto riguarda il teatro, si pensi soprattutto a Il giuoco delle parti, Il piacere dell’onestà o Così è (se vi pare).

L’opera più vicina ai contenuti del saggio è comunque, anche in termini cronologici, Il fu Mattia Pascal: si trovano qui i fondamenti dell’estetica umoristica elaborati in chiave narrativa; ma in generale, ogni volta che un personaggio o una situazione vengono osservati nelle loro contraddizioni stridenti, ogni volta che gli opposti si mescolano o un significato profondo si cela dietro un dettaglio banale, allora emerge la poetica pirandelliana dell’umorismo.

T1

Il segreto di una bizzarra vecchietta

L’umorismo, parte II, capp. 2-6

Presentiamo alcuni passi tratti dalla seconda parte del saggio L’umorismo, in cui vengono toccati i punti salienti della poetica pirandelliana. Centrale è il passo della «vecchia imbellettata», seguito da considerazioni più ampie sulla funzione della riflessione e sull’identità plurima dei personaggi della vita reale e della letteratura.

Ordinariamente […] l’opera d’arte è creata dal libero movimento della vita interio­re 

che organa le idee e le immagini in una forma armoniosa, di cui tutti gli elemen­ti 

han corrispondenza tra loro e con l’idea­madre che le coordina. La riflessione,

durante la concezione, come durante l’esecuzione dell’opera d’arte, non resta certa­mente 

5      inattiva: assiste al nascere e al crescere dell’opera, ne segue le fasi progressive

e ne gode, raccosta i varii elementi, li coordina, li compara. […]

Questo, ordinariamente. Vediamo adesso se, per la natural disposizione d’ani­mo 

di quegli scrittori che si chiamano umoristi e per il particolar modo che essi

hanno di intuire e di considerar gli uomini e la vita, questo stesso procedimento

10    avviene nella concezione delle loro opere; se cioè la riflessione vi tenga la parte che

abbiamo or ora descritto, o non vi assuma piuttosto una speciale attività.

Ebbene, noi vedremo che nella concezione di ogni opera umoristica, la rifles­sione 

non si nasconde, non resta invisibile, non resta cioè quasi una forma del sen­timento, 

quasi uno specchio in cui il sentimento si rimira; ma gli si pone innanzi,

15    da giudice; lo analizza, spassionandosene; ne scompone l’immagine; da questa

analisi però, da questa scomposizione, un altro sentimento sorge o spira: quello

che potrebbe chiamarsi, e che io difatti chiamo il sentimento del contrario.

Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile

manteca,1 e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto

20    a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia ri­spettabile 

signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente,

arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del

contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia ­

signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma

25    che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che, parata così,

nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito

molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché

appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo av­vertimento, 

o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi

30    ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il

comico e l’umoristico. […]

Abbiamo detto che, ordinariamente, nella concezione d’un’opera d’arte, la riflessione 

è quasi una forma del sentimento, quasi uno specchio in cui il sentimen­to 

si rimira. Volendo seguitar quest’immagine, si potrebbe dire che, nella concezio­ne 

35    umoristica, la riflessione è, sì, come uno specchio, ma d’acqua diaccia,2 in cui

la fiamma del sentimento non si rimira soltanto, ma si tuffa e si smorza: il friggere

dell’acqua è il riso che suscita l’umorista; il vapore che n’esala è la fantasia spesso

un po’ fumosa dell’opera umoristica. […]

Nella sua anormalità, non può esser che amaramente comica la condizione

40    d’un uomo che si trova ad esser sempre quasi fuori di chiave, ad essere a un tempo

violino e contrabbasso, d’un uomo a cui un pensiero non può nascere, che subito

non gliene nasca un altro opposto, contrario; a cui per una ragione ch’egli abbia di

dir , subito un’altra e due e tre non ne sorgano che lo costringono a dir no; e tra il

sì e il no lo tengan sospeso, perplesso, per tutta la vita […].

45    E quest’appunto distingue nettamente l’umorista dal comico, dall’ironico, dal

satirico. Non nasce in questi altri il sentimento del contrario; se nascesse, sarebbe

reso amaro, cioè non più comico, il riso provocato nel primo dall’avvertimento di

una qualsiasi anormalità; la contradizione che nel secondo è soltanto verbale, tra

quel che si dice e quel che si vuole sia inteso, diventerebbe effettiva, sostanziale, e

50    dunque non più ironica; e cesserebbe lo sdegno o, comunque, l’avversione della

realtà che è ragione di ogni satira. […]

Ora la riflessione, sì, può scoprire tanto al comico e al satirico quanto all’umo­rista 

questa costruzione illusoria. Ma il comico ne riderà solamente, contentandosi

di sgonfiar questa metafora di noi stessi messa su dall’illusione spontanea; il sati­rico 

55    se ne sdegnerà; l’umorista, no: attraverso il ridicolo di questa scoperta vedrà

il lato serio e doloroso; smonterà questa costruzione ideale, ma non per riderne

solamente; e in luogo di sdegnarsene, magari, ridendo, compatirà. […]

L’arte in genere astrae e concentra, coglie cioè e rappresenta così degli individui

come delle cose, l’idealità essenziale e caratteristica. Ora pare all’umorista che tutto

60    ciò semplifichi troppo la natura e tenda a rendere troppo ragionevole o almeno

troppo coerente la vita. Gli pare che delle cause, delle cause vere che muovono spes­so 

questa povera anima umana agli atti più inconsulti, assolutamente imprevedi­bili, 

l’arte in genere non tenga quel conto che secondo lui dovrebbe. Per l’umorista

le cause, nella vita, non sono mai così logiche, così ordinate, come nelle nostre

65    comuni opere d’arte, in cui tutto è, in fondo, combinato, congegnato, ordinato ai

fini che lo scrittore s’è proposto. L’ordine? la coerenza? Ma se noi abbiamo dentro

quattro, cinque anime in lotta fra loro: l’anima istintiva, l’anima morale, l’anima

affettiva, l’anima sociale? E secondo che domina questa o quella, s’atteggia la no­stra 

coscienza; e noi riteniamo valida e sincera quella interpretazione fittizia di noi

70    medesimi, del nostro essere interiore che ignoriamo, perché non si manifesta mai

tutt’intero, ma ora in un modo, ora in un altro, come volgano i casi della vita.

Sì, un poeta epico o drammatico può rappresentare un suo eroe, in cui si mo­strino 

in lotta elementi opposti e repugnanti;3 ma egli di questi elementi comporrà

un carattere, e vorrà coglierlo coerente in ogni suo atto. Ebbene, l’umorista fa proprio ­

75    l’inverso: egli scompone il carattere nei suoi elementi; e mentre quegli cura di

coglierlo coerente in ogni atto, questi si diverte a rappresentarlo nelle sue 

incon­gruenze. […]

Il mondo, lui, se non propriamente nudo, lo vede, per così dire, in camicia: in

camicia, il re, che vi fa così bella impressione a vederlo composto nella maestà d’un

80    trono con lo scettro e la corona e il manto di porpora e d’ermellino4 […].

Nella realtà vera le azioni che mettono in rilievo un carattere si stagliano su un

fondo di vicende ordinarie, di particolari comuni. Ebbene gli scrittori, in genere,

non se n’avvalgono, o poco se ne curano, come se queste vicende, questi parti­colari 

non abbiano alcun valore e siano inutili e trascurabili. Ne fa tesoro invece

85    l’umorista. L’oro, in natura, non si trova frammisto alla terra? Ebbene, gli scrittori

ordinariamente buttano via la terra e presentano l’oro in zecchini nuovi, ben co­lato, 

ben fuso, ben pesato e con la loro marca e il loro stemma bene impressi. Ma

l’umorista sa che le vicende ordinarie, i particolari comuni, la materialità della

vita in somma, così varia e complessa, contradicono poi aspramente quelle sem­plificazioni 

90    ideali, costringono ad azioni, ispirano pensieri e sentimenti contrarii

a tutta quella logica armoniosa dei fatti e dei caratteri concepiti dagli scrittori or­dinarii. […] 

Non ci sentiamo guizzar dentro, spesso, pensieri strani, quasi lampi

di follia, pensieri inconseguenti, inconfessabili finanche a noi stessi, come sorti

davvero da un’anima diversa da quella che normalmente ci riconosciamo? Di

95    qui, nell’umorismo, tutta quella ricerca dei particolari più intimi e minuti, che

possono anche parer volgari e triviali se si raf­frontano 

con le sintesi idealizzatrici dell’arte

in genere, e quella ricerca dei contrasti e del­

le contradizioni su cui l’opera sua si fonda, in

100 contrapposizione alla coerenza cercata dagli

altri; di qui quel che di scomposto, di slegato,

di capriccioso, tutte quelle digressioni che si

notan nell’opera umoristica, in opposizione al

congegno ordinato, alla composizione dell’ope­ra 

105 d’arte in genere.

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Dentro il TESTO

I contenuti tematici

La prima preoccupazione dello scrittore è stabilire quale sia la differenza tra la riflessione nell’opera d’arte classica e in quella umoristica. La metafora dello specchio che riflette e restituisce il dato oggettivo sembrerebbe in un primo momento accomunare l’idea di un’arte armoniosa e organica (qual è quella classica) al risultato dall’azione disgregante dell’umorismo. In realtà, la superficie riflettente osservata dall’umorista è sì ancora uno specchio, ma ormai andato in frantumi, ridotto a una miriade di schegge lucide e taglienti. Nell’opera umoristica la riflessione non è uno specchio in cui il sentimento si rimira; ma gli si pone innanzi, da giudice; lo analizza, spassionandosene; ne scompone l’immagine (rr. 14-15). I frammenti di questo specchio rotto non possono più ricomporre l’immagine originale in una visione globale e coerente; o meglio, ci dicono che già in origine la realtà è multiforme, e che tale molteplicità prospettica non va nascosta, ma anzi mostrata dall’opera d’arte.

L’affondo teorico di Pirandello viene d’improvviso illuminato dal celebre esempio della «vecchia imbellettata»; qui lo scrittore chiarisce come vada inteso il ruolo della riflessione nel procedimento umoristico e in che cosa questo differisca da quello comico. Nella sua semplicità, il passo è estremamente efficace, e la figura della donna si fissa nella memoria visiva del lettore con la stessa incidenza dei personaggi pirandelliani più riusciti. Pare quasi di vederla passeggiare, questa vecchia signora, agghindata a festa in modo goffo e ridicolo. Essa suscita il riso, perché chi la osserva “avverte” che è il contrario di ciò che un’anziana signora dovrebbe essere. Ma “avvertire” non è “sentire”, e su questa sostanziale differenza si gioca tutta la poetica dell’umorismo.

Di fronte a un tale spettacolo, l’artista comico, che si ferma al primo avvertimento del contrario, si limita alla risata spontanea e superficiale; la sensibilità dell’umorista, invece, va oltre, per scoprire che, in realtà, la storia della nostra signora non è ridicola, ma forse addirittura tragica. Se la riflessione – quella speciale attività dello spirito di cui abbiamo parlato – interviene a suggerire che trucchi, abiti e acconciature sono probabilmente il tentativo disperato di trattenere un po’ di giovinezza e, insieme a quella, l’amore del marito più giovane, allora il nostro atteggiamento cambia, e la smorfia della risata si scioglie in una compassione piena di amarezza. In questo consiste il sentimento del contrario: esso non cancella il riso, né annulla la prima impressione, ma la corregge mettendola in prospettiva, permettendo di cogliere la profondità che si cela dietro la banalità dell’apparenza (la riflessione, lavorando in me, […] da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario, rr. 28-30).

Importante, ancora, è sottolineare il discrimine tra ironia, comicità, satira e umorismo. Nessuno, fatta eccezione per l’umorista, conosce davvero il sentimento del contrario (E quest’appunto distingue nettamente l’umorista dal comico, dall’ironico, dal satirico. Non nasce in questi altri il sentimento del contrario, rr. 45-46). Se la comicità passasse attraverso la riflessione, non sarebbe più tale, come abbiamo visto; allo stesso modo, se l’ironia facesse ricorso al sentimento del contrario negherebbe la sua intrinseca sfumatura di leggerezza, che consiste nel proporre contraddizioni soltanto verbali (la contradizione […] tra quel che si dice e quel che si vuole sia inteso, rr. 48-49). Nemmeno la satira, che nasce dallo sdegno per le ingiustizie sociali, è in grado di penetrare nel cuore della contraddizione: se lo facesse, lo sdegno verrebbe stemperato dalla compassione, e la satira negherebbe la propria natura.

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Le scelte stilistiche

Il pensiero di Pirandello diviene chiaro e incisivo grazie alle frequenti metafore visive, più che alle argomentazioni teoriche vere e proprie. Tutto il discorso è illuminato dagli esempi e dalle immagini proposte – la vecchia, lo specchio d’acqua ghiacciata, l’oro misto alla terra (L’oro, in natura, non si trova frammisto alla terra? Ebbene, gli scrittori ordinariamente buttano via la terra e presentano l’oro in zecchini nuovi, rr. 85-87).

Il carattere non sistematico della produzione teorica di Pirandello è evidente anche nella sua prosa libera e fluente, nel ritorno con variazioni degli stessi temi, mai trattati compiutamente in un unico punto del saggio, ma ripresi e corretti, senza arrivare a una formulazione stabile e definitiva. Nel saggio sull’umorismo, insomma, Pirandello fornisce un esempio diretto di scrittura in forma “umoristica”, facendo saltare barriere fittizie, scomponendo gli ingranaggi e disgregando la consueta visione del mondo.

La forma “slegata” dell’umorismo, che riempie il testo di digressioni intorno a particolari in apparenza inutili e banali (Nella realtà vera le azioni che mettono in rilievo un carattere si stagliano su un fondo di vicende ordinarie, di particolari comuni, rr. 81-82), è per Pirandello adesione alla «vita nuda» (per dirla con il titolo di una delle sue novelle) e alle sue brucianti contraddizioni, lontane da ogni sintesi idealizzatrice propria dell’arte classica. L’arte, anche sul piano formale, non deve comporre elementi estranei e incompatibili in un tutto ordinato, ma solo prendere atto che la realtà è frammentaria.

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Come agisce in genere la riflessione nella realizzazione di un’opera d’arte? Come agisce, invece, nell’opera umoristica?


2 Nell’esempio della «vecchia imbellettata», che cosa suggerisce la riflessione?


3 Che cosa significa l’espressione fuori di chiave (r. 40)? A chi si riferisce?

ANALIZZARE

4 Quali elementi descrittivi compongono l’immagine della «vecchia imbellettata»? Ricostruiscine il ritratto.

INTERPRETARE

5 Prova a sintetizzare in uno schema il rapporto che intercorre, secondo Pirandello, tra umorismo, comicità, ironia e satira.


6 Perché, a tuo giudizio, fra i tanti possibili esempi l’autore sceglie quello di una vecchia signora?

COMPETENZE LINGUISTICHE

7 Con l’aiuto del dizionario, stabilisci le diverse sfumature di significato dei seguenti termini e poi scrivi una frase per ciascuno: 


umoristico  comico  ironico  sarcastico  buffo  ridicolo  arguto

Produrre

8 Scrivere per esporre. Il termine “umorismo” viene usato quotidianamente con accezioni diverse. In Pirandello, come abbiamo visto, indica un sentimento in grado di cogliere il risvolto amaro o tragico di una realtà solo apparentemente ridicola. Prova a elaborare in un testo espositivo di circa 30 righe un tuo esempio di personaggio o di situazione umoristica.

Vola alta parola - volume 6
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Dal Novecento a oggi