2 - L’autobiografia di un uomo comune

2 L’autobiografia di un uomo comune

Abbiamo già notato come una componente fondamentale dell’opera di Svevo sia il nesso esistente tra l’arte e la vita. L’istanza autobiografica è infatti facilmente individuabile nei suoi romanzi: le circostanze di Una vita e il suo protagonista, impiegato presso la filiale triestina di una grande banca, rimandano direttamente alla biografia dell’autore; dietro la sagoma di alcuni personaggi di Senilità si possono cogliere uomini e donne conosciuti realmente da Svevo (la figura di Angiolina è ispirata alla prima fidanzata dello scrittore, mentre Balli è modellato in larga parte sull’amico pittore Umberto Veruda); le stesse caratteristiche psicologiche di Zeno Cosini, protagonista della Coscienza di Zeno, risultano per molti versi affini a quelle dell’autore stesso.

Sarebbe tuttavia sbagliato ridurre la produzione di Svevo al semplice resoconto di una personale vicenda esistenziale. In una lettera scritta nel 1926 a Eugenio Montale, lo scrittore triestino riconosce che la sua opera è in sostanza un’autobiografia, ma aggiunge ambiguamente che non è la sua. Egli intende dire che la vita privata rappresenta per lui un pretesto, un punto di partenza per analizzare i comportamenti dell’uomo in generale, ingrandire particolari a prima vista irrilevanti, registrare gli atti inconsci delle persone in relazione a loro stesse, agli eventi e al mondo che le circonda. Solo andando in fondo a sé stessi si è in grado di distinguere quelli che costituiscono i connotati essenziali della propria psiche, e in questo modo si riesce a riconoscerli anche negli altri: in questa programmatica discesa nella più profonda interiorità si può individuare l’influenza di un grande indagatore dell’animo umano quale l’autore russo Fëdor Dostoevskij.

Lo studio dell’io era un aspetto già ampiamente presente nel romanzo naturalista, così come le descrizioni minute di interni o l’attenzione ai caratteri fisici dei personaggi. Ma il realismo di Svevo si concentra sui movimenti interni più che sul mondo esterno ed è interessato a cogliere le incoerenze dei comportamenti, i meccanismi involontari che guidano l’agire individuale, il fallimentare venir meno di ogni coerenza logica.

Tale volontà di conoscere si accompagna al rifiuto di ogni ipotesi precostituita e di ogni approccio tradizionale. Svevo infatti respinge l’ottimismo e la fiducia nel progresso di stampo positivistico e non crede nella scienza come base oggettiva per comprendere il reale, che si presenta ai suoi occhi frammentario, ingannevole, depistante.

Per questa ragione, se la sua opera costituisce uno dei punti più alti di quella condizione antropologica e culturale primonovecentesca che chiamiamo “coscienza della crisi”, essa tuttavia non indica alcuna soluzione: per Svevo non esistono alternative concrete alla malattia, al disordine e alle contraddizioni della vita moderna.

L’indifferenza ideologica dell’autore gli impedisce di coltivare utopie: il socialismo, a cui pure in gioventù aveva guardato con simpatia, lo spaventa; il nazionalismo – che a Trieste, patria dell’irredentismo italiano, trova terreno fertile – è del tutto estraneo al suo temperamento; il fascismo, di cui farà in tempo a vedere gli albori, disturba con il suo sfoggio di saluti romani e retoriche parole d’ordine la sua indole di moderato liberale, ma non incrina la sua silenziosa acquiescenza.

Immune da ogni inclinazione politica, Svevo è piuttosto uno scettico che fa fatica a nascondere la propria misantropia e la cronica difficoltà a entrare in comunicazione con il prossimo. Il compito che si assegna è esclusivamente quello di rappresentare il disfacimento di un sistema a cui pure appartiene e di cui accetta, senza velleità titaniche o proteste romantiche, assurdità e mancanze, riconoscendo però a sé stesso la capacità di guardarlo senza infingimenti, con la consapevolezza che il male di vivere è una condizione che tocca l’intera umanità. Non a caso l’esistenza è per l’autore «una malattia che, a differenza delle altre, non sopporta cure: è sempre mortale».

 >> pagina 141 

Perché combattere dunque? In nome di quali princìpi lottare contro la società se tutti gli ideali sembrano ormai irrigiditi, inservibili, sterili? Svevo archivia il conflitto tra l’individuo e la società; al suo posto presenta il dualismo tra vita e coscienza, da cui nascono a cascata tutti gli altri contrasti: tra forma e sostanza, tra ipocrisia e verità, tra onestà e malafede.

Ciò spiega perché il suo universo di uomini e ambienti sia, in fondo, piuttosto uniforme: popolani, sottoproletari (si pensi all’Angiolina di Senilità) e borghesi soffrono della stessa crisi che corrompe ogni aspetto della società, senza alcuna differenza di classe. E su questi individui, così come sulle vicende di cui sono protagonisti, l’autore non intende pronunciare alcun giudizio: a lui interessa esprimere l’ambiguità dei personaggi, facendone affiorare le ipocrisie e le menzogne.

Anche in questo senso vi è una notevole distanza dalla narrativa ottocentesca: nei romanzi sveviani non vi sono eroi né individui eccezionali né figure che si possano catalogare come “positive” o “negative” e con le quali il lettore possa identificarsi del tutto. Per denunciare l’assurdità della vita, l’autore sceglie di rappresentare l’uomo comune, privo di qualità, caratterialmente incoerente, inetto e abulico: così Alfonso Nitti, protagonista di Una vita, è un mediocre impiegato di banca, che soccombe alla propria inerzia fino al suicidio; Emilio Brentani, protagonista di Senilità, è uno scrittore fallito che conduce una vita apatica, privo di qualsiasi energia vitale anche quando è coinvolto in una conturbante esperienza amorosa; infine Zeno Cosini, protagonista della Coscienza di Zeno, è un egocentrico portato all’autocommiserazione e incapace di guarire dalla nevrosi.

T2

Una serata in casa Maller

Una vita, cap. 12

Annetta, la bella ma capricciosa e volubile figlia del banchiere Maller, attende a casa sua Alfonso, con il quale ha deciso di scrivere un romanzo. Il giovane si presenta però senza aver composto nulla e riflette, in un mistificante dialogo con sé stesso, sulle proprie incerte fantasie e aspirazioni, incapace di decidere se proseguire una relazione per lui poco appagante ma redditizia socialmente, oppure troncarla assecondando la propria inclinazione a sottrarsi con la fuga a obblighi troppo impegnativi.

La prima volta che gli accadde dopo la raccomandazione di Francesca1 di dover

recarsi da Annetta senza apportare2 una sola pagina di scritto, quantunque venisse

accolto da Annetta col solito gentile sorriso, temette ch’ella nascondesse l’ira di cui

aveva parlato Francesca e, punto3 rassicurato, credette di esser congedato improvvisamente 

5      e per sempre. Nella paura non gli bastò di dire una scusa ma parlò del

suo molto da fare, poi di un suo male di testa e persino di notizie inquietanti che

aveva ricevute da casa sulla salute di sua madre e che gli toglievano la quiete necessaria 

per lavorare. Annetta lo stava a udire con l’aspetto di grande partecipazione,

e ciò commosse profondamente Alfonso. Era avvilito di doversi scusare come uno

10    scolaretto dove avrebbe voluto poter parlare altrimenti, e fu tale avvilimento che

gli cacciò agli occhi delle lagrime, attribuite da Annetta alla sua preoccupazione per

la salute della madre.

Per Annetta Alfonso dovette essere divertente quella sera più del solito. Dopo

di aver parlato delle tante cause che gli avevano impedito di lavorare al romanzo, 

15    egli era passato a parlare del suo desiderio di dedicarsi a quel lavoro e poi

ad asserire che la sua occupazione prediletta era di pensare, meditare per quella

bellissima opera. Per la prima volta, non costretto adulava, ma era il momento

in cui avrebbe fatto anche monete false per assicurarsi l’amicizia di Annetta. Descrisse 

le sue occupazioni alla banca e non avendo il coraggio di lagnarsi con la

20    figliuola del signor Maller del lavoro bancario in generale, si lagnò che ancora

non gli si affidava quel lavoro a cui egli credeva di avere diritto, più intelligente

e più libero.

«Vuole che ne parli a papà?», chiese Annetta molto commossa. «Ella4 infatti

avrebbe diritto ai lavori più difficili».

25    Egli non aveva preveduto tale offerta che sommamente gli dispiacque. Protestò

che non voleva approfittare della buona amicizia di Annetta per ottenere protezione. 

Già una raccomandazione non bastava a rompere l’ordine gerarchico della

banca, mentre a lui toglieva parte delle sue illusioni su quelle serate. Annetta volle

sapere quali fossero queste illusioni.

30    «Quando sono qui», rispose Alfonso, «non voglio rammentarmi che di essere

suo amico e letterato. Per ora non sono altro».

Annetta lo ringraziò.

«Ella dunque si diverte qui, se ne potrebbe essere sicuri?».

Passava a un tono più leggero di molto e Alfonso non se ne accorse subito,

35    tutto occupato a rendere Annetta sicura ch’egli in quella casa sempre si divertiva.

Era stata una frase detta da Annetta in buona fede credendola molto cortese,

ma bastò a procurare ad Alfonso parecchie ore di agitazione. Era cortese, ma tanto

presto ella aveva dimenticato di aver visto piangere un uomo da non sapergli dire

che quella frasuccia da conversazione? Egli non sapeva veramente perché quella

40    frase gli sembrasse offensiva e per capirlo gli bisognò pensarci a lungo. Intanto

provava un immenso malcontento di sé, quasi avesse rimorso per un’azione malvagia 

o ridicola. Egli aveva pianto ed ella s’era trovata in dovere di dirgli una parola

gentile! C’era tale differenza fra l’importanza dei due fatti, ch’egli si vergognava di

aver sparso quelle lagrime. Una donna che avesse provato un briciolo di affetto per

45    lui avrebbe pianto con lui.

Era una bella serata dall’aria fredda ma calma e un cielo fosco con poche stelle.

Egli rimase a lungo sulla via sentendosi incapace di trovar quiete in una stanza. Per

la seconda volta ebbe il desiderio di rompere la sua relazione con Annetta e sempre

per lo sconforto che lo invadeva, quando nella grande amicizia da essa dimostratagli 

50    trapelava l’immensa sua freddezza e indifferenza. Erano sorprese dolorose che

lo scotevano dal vivere inerte più in un’abitudine che in un’idea o in uno scopo,5 e

analizzava allora questo scopo, sorpreso di non esser vissuto più conformemente

ad esso oppure di vederlo sotto tutt’altra luce, di trovarsi altrettanto lontano dal

raggiungerlo quanto prima gli era sembrato di esserci vicino. Era una passione

55    invincibile la sua da esporsi a tanti affanni per soddisfarla? Neppure al principio

della sua relazione con Annetta aveva sentito tanto chiaramente che il suo amore 

era stato aumentato dalle ricchezze che circondavano Annetta, una specie di

adornamento che abbelliva la bella figura come la legatura6 un diamante. Se ne

rammentava ancora! Prima di conoscere la grazia e la bellezza di Annetta, lo aveva

60    agitato, commosso il saperla figliuola di Maller, ed era stato da quell’agitazione e

da quella commozione ch’era nato il sentimento ch’egli chiamava amore.

Ma a quale scopo tale analisi? Egli s’era accorto della differenza che correva fra

il suo modo di sentire e quello di coloro che lo contornavano e credeva consistesse

nel prendere lui con troppa serietà le cose della vita. Quella era la sua sventura!

65    Valeva la pena di arrovellarsi a quel modo per trovare un’uscita da un viluppo che

naturalmente doveva svolgersi da sé? Se Annetta lo amava, egli aveva, è ben vero,

molto da guadagnare, la sua vita ne sarebbe stata mutata; se non lo amava, nulla

aveva da perdere.

Volle essere calmo, ma naturalmente i ragionamenti non lo liberarono né dai

70    dubbi né dall’agitazione. Servirono a non fargli prendere risoluzioni7 alle quali lo

avrebbe portato il suo carattere tanto turbato nelle situazioni esitanti, indecise, e

lo salvarono dall’analisi dei propri istinti e del proprio carattere. Lo faceva soffrire

il conoscersi.

 >> pagina 143 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Appassionatasi da poco alla letteratura, la giovane Annetta Maller ha deciso di invitare nel proprio salotto il meglio del mondo culturale di Trieste. Tra i presenti c’è anche Alfonso, che è l’unico a non pavoneggiarsi per piacere alla figlia del banchiere presso cui lavora. Forse è proprio per questo riserbo che Annetta si invaghisce di lui, al punto da proporgli di scrivere un romanzo a quattro mani.

Nel brano antologizzato, il giovane intraprende però un tortuoso e lacerante confronto con sé stesso. La prospettiva di una relazione con una ragazza socialmente così attraente lo eccita e lo deprime al tempo stesso, cosicché il sentimento viene sottoposto ad astruse mistificazioni più o meno volontarie.

Alfonso si presenta al colloquio con Annetta e inventa problemi immaginari per giustificarsi di non aver scritto la parte assegnata del romanzo. Nello scusarsi, non riesce a trattenere le lacrime e a nascondere le frustrazioni patite nel suo grigio lavoro burocratico. In fondo, egli è persuaso che la sua educazione umanistica lo ponga su un piano più alto rispetto ai colleghi, ma l’amor proprio lo porta a rifiutare l’aiuto della ragazza, che sarebbe in grado facilmente di raccomandarlo presso il padre. Se lo facesse, infatti, Alfonso intaccherebbe l’immagine di sé quale austero e incorruttibile letterato e sarebbe costretto a rinunciare alle proprie illusioni e al proprio orgoglio.

 >> pagina 144 

Alla fine della serata il protagonista rimugina sui propri voli poetici: l’autoanalisi è al tempo stesso spietata e inconcludente. Che cosa fare? Troncare il rapporto con una donna che non ama oppure proseguire la propria recita, ben sapendo che sposarla significherebbe realizzare tutti i suoi sogni di scalata sociale? L’esito del soliloquio non può che essere il nulla di fatto e i lunghi ragionamenti, dominati dai dubbi e dall’agitazione, servono soltanto a non fargli prendere risoluzioni (r. 70): hanno vinto ancora l’inerzia e la tendenza a lasciarsi vivere.

Le scelte stilistiche

Il sondaggio sveviano dentro l’ingarbugliata interiorità del protagonista si avvale del discorso indiretto libero, che permette di collocare nella sua coscienza il punto di vista della narrazione. Questa concentrazione sul soggetto è sottolineata dalla serie di interrogative ed esclamative: ma si tratta per lo più di domande retoriche, concepite per ammettere e legittimare la diserzione dalla lotta. Valeva la pena di arrovellarsi a quel modo per trovare un’uscita da un viluppo che naturalmente doveva svolgersi da sé? (rr. 65-66), si chiede Alfonso, dando per scontata la risposta negativa. La voce del narratore esterno, inoltre, commenta senza indulgenza né complicità l’incessante ma inutile monologo di Alfonso, mettendone così a nudo la lamentosa e vittimistica irresolutezza, sino alla spietata sentenza finale: Lo faceva soffrire il conoscersi (rr. 72-73).

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Che tipo di scuse adduce Alfonso per motivare il fatto di non aver scritto nulla?


2 Per quale ragione Alfonso rinuncia alla proposta di raccomandazione di Annetta?

Analizzare

3 Rintraccia nel testo i commenti del narratore e spiega in che modo si pongono nei confronti delle azioni e delle riflessioni di Alfonso.


4 Per quale motivo una semplice frase di Annetta mette a disagio Alfonso?


5 Individua termini ed espressioni che indicano l’inettitudine di Alfonso.


6 Quali sono le caratteristiche di Annetta che hanno affascinato Alfonso?


7 Individua alcuni esempi di discorso indiretto libero.

Interpretare

8 Come si autodefinisce Alfonso quando si trova a casa di Annetta? Ti sembra una definizione autentica o velleitaria? Perché?


9 Quali osservazioni puoi fare sui rapporti sociali e gerarchici a cui si accenna nel brano?

Dibattito in classe

10 Ritieni che coltivare un’ambizione letteraria (o artistica, in generale) possa ancora oggi essere considerato un proposito illusorio? Credi che sia meglio aspirare a forme di occupazione più tradizionali e “sicure”? Discutine con i compagni.

Vola alta parola - volume 6
Vola alta parola - volume 6
Dal Novecento a oggi