T4 - Lo zio acquatico (Le Cosmicomiche)

T4

Lo zio acquatico

Le Cosmicomiche

Qfwfq, il protagonista senza tempo delle Cosmicomiche, è alle prese con un vecchio zio, burbero e antiquato, che si ostina a voler vivere nell’acqua quando tutti i nipoti sono ormai passati all’ambiente terrestre. In questa sorta di primitivo scontro generazionale si inserisce la figura della bellissima Lll (il cui nome è formato da tre “elle” consecutive), di cui Qfwfq è innamorato e che appare ai suoi occhi la creatura di punta del processo evolutivo. Sarà lei a scompaginare non solo le aspettative di Qfwfq, ma anche l’idea stessa di progresso.

I primi vertebrati che nel Carbonifero1 lasciarono la vita acquatica per quella terrestre,

derivavano dai pesci ossei polmonati le cui pinne potevano essere ruotate sotto il corpo e

usate come zampe sulla terra.

Ormai era chiaro che i tempi dell’acqua erano finiti, – ricordò il vecchio Qfwfq,

5     – quelli che si decidevano a fare il grande passo erano sempre in maggior numero,

non c’era famiglia che non avesse qualcuno dei suoi cari là all’asciutto, tutti raccontavano

cose straordinarie di quel che c’era da fare in terraferma, e chiamavano i

parenti. Ormai i pesci giovani non li teneva più nessuno, sbattevano le pinne sulle

rive di fango per vedere se funzionavano da zampe, com’era riuscito ai più dotati.

10    Ma proprio in quei tempi s’accentuavano le differenze tra noi: c’era la famiglia che

viveva a terra da più generazioni, e i cui giovani ostentavano maniere che non erano

nemmeno più da anfibi ma già quasi da rettili; e c’era chi s’attardava ancora a fare

il pesce, anzi, diventava più pesce di quanto non si usasse essere pesci una volta.

La nostra famiglia, devo dire, nonni in testa, zampettava sulla spiaggia al completo,

15    come non avessimo mai conosciuto altra vocazione. Non fosse stato per

l’ostinazione del prozio N’ba N’ga, i contatti col mondo acquatico sarebbero stati

perduti da un pezzo.

Sì, avevamo un prozio pesce, e precisamente dalla parte di mia nonna paterna,

nata dei Celacanti2 del Devoniano3 (quelli d’acqua dolce: che poi resterebbero cugini

20    di quegli altri – ma non voglio dilungarmi sui gradi di parentela, tanto nessuno

riesce mai a seguirli). Dunque questo prozio abitava in certe acque basse e limacciose,

tra radici di protoconifere,4 in quel braccio di laguna dov’erano nati tutti i nostri

vecchi. Non si muoveva mai di là: in qualsiasi stagione bastava spingerci sugli strati

di vegetazione più molli fin che non ci si sentiva sprofondare nel bagnato, e là sotto,

25    a pochi palmi dall’orlo, vedevamo la colonna di bollicine che lui mandava su sbuffando,

come fanno gli individui d’età, o la nuvoletta di fango raspata dal suo muso

aguzzo, sempre lì a frugare più per abitudine che per cercar qualcosa.

– Zio N’ba N’ga! Siamo venuti a trovarla! Ci aspettava? – gridavamo, sguazzando

nell’acqua zampe e coda per richiamare la sua attenzione. – Le abbiamo

30    portato degli insetti nuovi che crescono da noi! Zio N’ba N’ga! Ne aveva mai viste,

di blatte5 così grosse? Assaggi se le piacciono…

– Potete pulirvici quelle verruche schifose che avete addosso, con le vostre blatte

puzzolenti! – La risposta del prozio era sempre una frase di questo genere, o

magari più villana ancora: ci accoglieva così ogni volta, ma non ci facevamo caso

35    perché sapevamo che dopo un po’ finiva per rabbonirsi, gradire i doni, e conversare

in toni più garbati.

– Ma che verruche, zio N’ba N’ga? Quando mai ci ha visto addosso una verruca?

Questo delle verruche era un pregiudizio dei vecchi pesci: che a noi, a vivere

all’asciutto, ci venissero tante verruche su tutto il corpo, trasudanti roba liquida;

40    il che era vero sì, ma solo per i rospi, che con noi non avevano nulla da spartire;

al contrario, la nostra pelle era liscia e sgusciante come nessun pesce l’aveva mai

avuta; e il prozio lo sapeva bene, però non rinunciava a imbastire i suoi discorsi di

tutte le calunnie e le prevenzioni in mezzo alle quali era cresciuto.

Andavamo a fare visita al prozio una volta all’anno, tutta la famiglia insieme.

45    Era anche un’occasione per ritrovarci tra noi, sparpagliati com’eravamo nel continente,

scambiarci notizie e insetti mangerecci, e discutere vecchie faccende d’interessi

rimaste in sospeso.

Il prozio interloquiva anche in questioni lontane da lui chilometri e chilometri

di terra secca, come sarebbe la spartizione delle zone per la caccia alle libellule, e

50    dava ragione agli uni o agli altri secondo criteri suoi, che erano sempre quelli acquatici.

– Ma non lo sai che chi caccia sul fondo è sempre in vantaggio su chi caccia

a galla? Cos’hai da far tanto l’angoscioso, allora?

– Ma zio, veda, non è questione di galla o di fondo: io sto al piede della collina

e lui a mezza costa… Le colline, ha presente, zio…

55    E lui: – Al piede degli scogli c’è sempre i gamberi migliori –. Non c’era verso di

fargli accettare per possibile una realtà diversa dalla sua.

Eppure, il suo giudizio continuava ad avere un’autorità su tutti noi: finivamo

per chiedergli consiglio su fatti di cui non capiva niente, benché sapessimo che

poteva avere torto marcio. Forse la sua autorità gli veniva proprio dall’essere un

60    avanzo del passato, dall’usare vecchi modi di dire, tipo: – E cala un po’ le pinne,

bravo! – di cui noi non comprendevamo neppur più bene il significato.

Tentativi di portarlo a terra con noi ne avevamo fatti parecchi, e continuavamo

a farne; anzi, su questo punto non s’era mai spenta la rivalità tra i vari rami della

famiglia, perché chi fosse riuscito a portare il prozio a casa propria si sarebbe trovato

65    in una posizione diciamo preminente rispetto a tutto il parentado. Ma era una

rivalità inutile, perché il prozio non si sognava di lasciare la laguna.

– Zio, alla bella età che ha, sapesse quanto ci dispiace lasciarla così sempre da

solo, in mezzo all’umido… A noi, sa, è venuta un’idea… – attaccavamo.

– Me l’aspettavo che l’avreste capita, – interrompeva il vecchio pesce, – ormai il

70    gusto di sguazzare nel secco ve lo siete tolto, è giusto l’ora che torniate a vivere come

esseri normali. Qui c’è acqua per tutti, e quanto al mangiare, la stagione dei lombrichi

non è mai stata così buona. Potete buttarvi a bagno bell’e ora e non se ne parli più.

– Ma no, zio N’ba N’ga, cos’ha capito? Noi si voleva portarla a star con noi,

in un bel praticello… Vedrà che ci si trova bene, le scaviamo una fossetta umida,

75    fresca: lei ci si rigira come vuole tal quale a qui; potrà anche provare a fare qualche

passo intorno, vedrà che ci riesce. E poi alla sua età il clima di terra è più indicato.

Dunque, zio N’ba N’ga, non si faccia più pregare: viene?

– No! – era la risposta secca del prozio, e con una nasata in acqua scompariva

dalla nostra vista.

80    – Ma perché mai, zio, cos’ha contro, non comprendiamo, lei così largo di vedute,

certi preconcetti…

In uno sbuffo a fior d’acqua, prima d’inabissarsi con un colpo ancor agile di coda,

ci veniva l’ultima risposta del prozio: – Nuota a pancia nel fango chi ci ha pulci tra le

squame! – che doveva essere un modo di dire dei suoi tempi (sul tipo del nostro proverbio

85    nuovo, e molto più rapido: «Chi ha prurito si gratti»), con quell’espressione

«fango» che lui continuava a usare per tutte le occasioni in cui noi dicevamo: «terra».

Fu in quell’epoca che io m’innamorai. Passavo le giornate con Lll, rincorrendoci;

agile come lei non s’era vista mai nessuna; sulle felci, che a quel tempo erano

alte come alberi, saliva fino in cima di slancio, e le cime s’inchinavano fin quasi

90    al suolo, e lei saltava giù e riprendeva la sua corsa; io, con movimenti un po’ più

tardi e goffi, la seguivo. Ci inoltravamo in territori dell’interno dove mai nessuna

impronta aveva marcato il suolo secco e crostoso; alle volte m’arrestavo spaventato

d’essermi tanto allontanato dalla distesa delle lagune. Ma nulla pareva lontano

dalla vita acquatica quanto lei, Lll: i deserti di sabbia e pietre, le praterie, il folto

95    delle foreste, i rilievi rocciosi, le montagne di quarzo, questo era il suo mondo: un

mondo che pareva fatto apposta per essere scrutato dai suoi occhi oblunghi e percorso

dal suo passo guizzante. Guardando la sua pelle liscia pareva che non fossero

mai esistite scaglie e squame.

I parenti di Lll mi davano un po’ di soggezione: erano una di quelle famiglie

100 che per essersi stabilite a terra in epoca più antica avevano finito per convincersi

di stare qui da sempre; una di quelle famiglie in cui ormai anche le uova venivano

deposte all’asciutto, protette da un guscio resistente; e Lll, a guardarla nei suoi scatti,

nelle sue mosse saettanti, si capiva che era nata tal quale a ora, da una di quelle

uova calde di sabbia e di sole, saltando a piè pari la fase natante e ciondolona del

105 girino, ancora d’obbligo nelle nostre famiglie meno evolute.

Era venuto il momento che Lll conoscesse i miei: e il più anziano e autorevole

della famiglia essendo il prozio N’ba N’ga, non potevo mancare di fargli una visita

per presentargli la mia fidanzata. Ma tutte le volte che capitava un’occasione,

rimandavo pieno d’imbarazzo: conoscendo i pregiudizi in cui lei era stata allevata,

110 non avevo ancora osato dire a Lll che il mio prozio era un pesce.

Un giorno ci eravamo inoltrati in uno di quei fradici promontori che cingono

la laguna, dove il suolo più che di sabbia è fatto di grovigli di radici e vegetazione

marcita. E Lll mi propose una delle solite sue sfide o prove di bravura: – Qfwfq,

fin dove sei buono a tenere l’equilibrio? Facciamo a chi corre più sull’orlo! – e si

115 lanciò avanti col suo saltello da terraferma, ma un po’ esitante.

Stavolta mi sentivo non solo d’emularla, ma di vincerla, perché sull’umido le

mie zampe avevano più presa. – Fin sull’orlo quanto vuoi! – esclamai, – e magari

anche al di là!

– Non dire stupidaggini! – fece lei. – Al di là dell’orlo come si fa a correre? C’è

120 l’acqua!

Forse era il momento favorevole per portare il discorso sul prozio.

– E con ciò? – le dissi. – C’è chi corre di là dell’orlo e chi di qua.

– Dici delle cose senza capo né coda!

– Dico che il mio prozio N’ba N’ga sta nell’acqua come noi in terra, e non ne

125 è mai uscito!

– Bum! Vorrei proprio conoscerlo questo N’ba N’ga!

Non aveva finito di dirlo e la torbida superficie della laguna gorgogliò di bollicine,

si mosse un poco a vortice e lasciò affiorare un muso tutto ricoperto di

squame spinose.

130 – Bè: sono io, che c’è? – disse il prozio, fissando Lll con occhi tondi e inespressivi

come pietre e facendo pulsare le branchie ai lati dell’enorme gola. Mai il prozio

m’era parso così diverso da noi: un vero e proprio mostro.

– Zio, se permette, questa… vorrei avere il piacere appunto di farle conoscere…

la mia promessa sposa Lll, – e indicai la mia fidanzata che chissà perché s’era messa

135 ritta sulle zampe di dietro, in uno dei suoi atteggiamenti più ricercati e certamente

meno apprezzabili da quel vecchio zoticone.

– E così bel bello, signorina, è venuta a bagnarsi un po’ la coda? – fece il prozio,

una battuta che ai suoi tempi sarà magari stata una galanteria, ma a noi suonava

addirittura indecente.

140 Guardai Lll, sicuro di vederla voltarsi e scappar via con uno squittio scandalizzato.

Ma non avevo calcolato quanto forte fosse in lei l’educazione a ignorare

ogni volgarità del mondo circostante. – Senta, quelle piantine là, – fa, disinvolta, e

indica certe giuncacee6 che crescevano gigantesche in mezzo alla laguna, – le radici,

mi dica, dov’è che le affondano?

145 Una domanda di quelle che si fanno tanto per tener su la conversazione; figuriamoci

cosa importava a lei delle giuncacee! Ma il prozio pareva che non aspettasse

altro per mettersi a spiegare il perché e il percome delle radici degli alberi

galleggianti e di come ci si poteva nuotare in mezzo, anzi: i posti più indicati per

la caccia erano lì sotto.

150 Non la finiva più. Io sbuffavo, cercavo d’interromperlo. Ma quella impertinente

invece che fa? Non si mette a dargli corda? – Ah sì, lei va a caccia tra le radici

natanti? Interessante!

Io sprofondavo dalla vergogna.

E lui: – Mica storie: i lombrichi che c’è lì, roba da farci delle scorpacciate! – E,

155 senza starci a pensare, si tuffa. Un tuffo agile come mai gliene avevo visto fare; anzi,

un salto in alto: balza fuori dell’acqua quant’è lungo, tutto maculato sulle squame,

divaricando i ventagli spinosi delle pinne; poi, descritto in aria un bel semicerchio,

ripiomba a immergersi testa avanti, e scompare rapido con una specie di movimento

a vite della coda falcata.

160 A questa vista, il discorsetto che m’ero preparato per giustificarmi in fretta con

Lll approfittando dell’allontanamento del prozio: «Sai, bisogna capirlo, con questa

idea fissa di vivere come un pesce, ha finito per assomigliare a un pesce davvero…»

mi si smorzò in gola. Neanch’io m’ero mai reso conto fino a che punto fosse pesce il

fratello di mia nonna. Dissi appena: – Lll, è tardi, andiamo… – e già il prozio riemergeva

165 reggendo tra le sue labbra da squalo un festone di lombrichi e alghe fangose.

Non mi pareva vero, quando ci accomiatammo; ma trottando zitto dietro a Lll

pensavo che ora lei avrebbe cominciato a fare i suoi commenti, cioè che il peggio

per me doveva ancor venire. Ed ecco Lll, senza fermarsi, si volta appena verso di

me, e: – Però, simpatico, tuo zio! – Questo, dice, e nient’altro. Di fronte alla sua

170 ironia, già più d’una volta m’ero trovato disarmato; ma il gelo che mi colse a questa

battuta fu tale che avrei preferito non rivederla più piuttosto che dover riaffrontare

l’argomento.

Invece continuammo a vederci, a andare insieme, e non si parlò più dell’episodio

della laguna. Io restavo insicuro: avevo un bel cercare di convincermi che se

175 ne fosse dimenticata; ogni tanto mi prendeva il sospetto che tacesse per potermi

svergognare in qualche modo clamoroso, davanti ai suoi, oppure – e questa era per

me un’ipotesi ancor peggiore – che soltanto per compassione si studiasse di parlare

d’altro. Finché, di punto in bianco, un bel mattino, non uscì a dire:

– Ma senti, da tuo zio non mi ci porti più?

180 Con un filo di voce chiesi: – … Scherzi?

Macché: diceva sul serio, non vedeva l’ora di tornare a far quattro chiacchiere

col vecchio N’ba N’ga. Io non ci capivo più niente.

Quella volta la visita alla laguna fu più lunga. Ci sdraiammo su una riva in

declivio tutti e tre: il prozio più dalla parte dell’acqua, ma anche noi mezzo a bagno,

185 cosicché a vederci da lontano, allungati vicini, non si sarebbe capito chi era

terrestre e chi acquatico.

Il pesce attaccò una solfa delle solite: la superiorità della respirazione ad acqua

su quella aerea, con tutto il repertorio delle sue denigrazioni. «Adesso Lll salta su e

gli risponde per le rime!» pensavo. Invece si vede che quel giorno Lll usava un’altra

190 tattica: discuteva con impegno, difendendo i nostri punti di vista, ma come se

prendesse molto sul serio quelli del vecchio N’ba N’ga.

Le terre emerse, secondo il prozio, erano un fenomeno limitato: sarebbero

scomparse com’eran saltate fuori, o, comunque, sarebbero state soggette a continui

cambiamenti: vulcani, glaciazioni, terremoti, corrugamenti,7 mutamenti di clima e

195 di vegetazione. E la nostra vita là in mezzo avrebbe dovuto affrontare trasformazioni

continue, attraverso le quali intere popolazioni sarebbero scomparse, e sarebbe

potuto sopravvivere solo chi era disposto a cambiare talmente le basi della propria

esistenza, che le ragioni per cui era bello vivere sarebbero state completamente

sconvolte e dimenticate.

200 Una prospettiva che faceva a pugni con l’ottimismo in cui noi figli della costa

eravamo stati allevati; e alla quale io ribattevo con proteste scandalizzate. Ma per

me la vera, vivente confutazione di quegli argomenti era Lll: vedevo in lei la forma

perfetta, definitiva, nata dalla conquista dei territori emersi, la somma delle nuove

illimitate capacità che si aprivano. Come poteva pretendere, il prozio, di negare

205 la realtà incarnata di Lll? Fiammeggiavo di passione polemica, e mi pareva che la

mia compagna si dimostrasse fin troppo paziente e comprensiva col nostro 

contraddittore.

Certo, anche per me – abituato com’ero a sentire dalla bocca del prozio solo

boffonchiamenti e improperi – questo suo argomentare così filato suonava come

210 una novità, se pur condito d’espressioni antiquate ed enfatiche, e reso buffo dalla

sua caratteristica cadenza. Stupiva anche sentirlo dar prova d’una competenza minuziosa

– per quanto tutta esterna – delle terre continentali.

Ma Lll, con le sue domande, cercava di farlo parlare il più possibile della vita

sott’acqua: e certo questo era il tema sul quale il discorso del prozio si faceva più

215 serrato, ed a tratti commosso.

In confronto alle incertezze della terra e dell’aria, lagune e mari e oceani rappresentavano

un futuro di sicurezza. Là i cambiamenti sarebbero stati minimi, gli

spazi e le provvigioni senza limiti, la temperatura avrebbe sempre trovato il suo

equilibrio, insomma la vita si sarebbe conservata così come s’era svolta fin qui,

220 nelle sue forme piene e perfette, senza metamorfosi o aggiunte di dubbio esito,

e ognuno avrebbe potuto approfondire la propria natura, arrivare all’essenza di

sé e di ogni cosa. Il prozio parlava dell’avvenire acquatico senza abbellimenti o

illusioni, non si nascondeva i problemi anche gravi che si sarebbero presentati

(più preoccupante di tutti l’aumento della salinità8); ma erano problemi che non

225 avrebbero sconvolto i valori e le proporzioni in cui egli credeva.

– Ma noi ora galoppiamo per vallate e montagne, zio! – esclamai, a nome mio

e soprattutto di Lll, che invece stava zitta.

– Và là, girino, che appena torni a bagno torni a casa! – m’apostrofò lui, riprendendo

il tono che gli avevo sempre sentito usare con noi.

230 – Non crede, zio, che se noi volessimo imparare a respirare sott’acqua ora sarebbe

troppo tardi? – chiese Lll, seria, e io non sapevo se sentirmi lusingato perché

aveva chiamato zio il mio vecchio parente o disorientato perché certe questioni

(almeno, così ero abituato a pensare io) non si ponevano neppure.

– Se ci stai, stella, – fece il pesce, – ti ci insegno subito!

235 Lll uscì in una risata strana e finalmente si mise a correre, a correre da non

poterle tener dietro.

La cercai per pianure e colline, giunsi in cima a uno sperone di basalto che

dominava intorno il paesaggio di deserti e foreste circondato dalle acque. Lll era lì.

Era certo questo che aveva voluto dirmi – io l’avevo capito! – col suo ascoltare N’ba

240 N’ga e poi col suo fuggire e rifugiarsi lassù: che bisognava stare nel nostro mondo

con la stessa forza con cui il vecchio pesce stava nel suo.

– Io sarò per qua come lo zio per là, – gridai, un po’ farfugliando, poi mi

corressi: – Noi due, saremo, insieme! – perché era vero che senza di lei non mi

sentivo sicuro.

245 E Lll allora, cosa mi rispose? Ancora adesso arrossisco a ricordarlo, a distanza

di tante ere geologiche. Rispose: – Và là, girino, ci vuol altro! – e non sapevo se

voleva fare il verso al prozio, per canzonare lui e me insieme, o se davvero aveva

fatto suo l’atteggiamento di quel vecchio bacucco verso il pronipote, e l’una e l’altra

ipotesi erano ugualmente scoraggianti, perché entrambe significavano che mi considerava

250 uno a metà strada, uno che non era nel suo né in un mondo né nell’altro.

L’avevo perduta? Nel dubbio, mi precipitai a riconquistarla. Presi a compiere

prodezze: nella caccia agli insetti volanti, nel salto, nello scavare tane sotterranee,

nella lotta coi più forti dei nostri.

Ero fiero di me stesso, ma purtroppo ogni volta che facevo qualcosa di valoroso,

255 lei non era lì a vedermi: spariva continuamente, non si sapeva dove andasse a

nascondersi.

Finalmente capii: andava alla laguna dove il prozio le insegnava a nuotare

sott’acqua. Li vidi affiorare insieme: filavano a pari velocità, da sembrare fratello

e sorella.

260 – Sai, – fece lei, allegra, vedendomi, – le zampe funzionano benissimo da pinne!

– E brava: guarda che bel passo avanti, – non potei fare a meno di commentare,

con sarcasmo.

Era un gioco, per lei, lo capivo. Ma un gioco che non mi piaceva.

Dovevo richiamarla alla realtà, al futuro che ci attendeva.

265 Un giorno la aspettai in mezzo a un bosco di alte felci, che scoscendeva9

sull’acqua.

– Lll, ho da parlarti, – dissi appena la vidi, – adesso ti sei divertita abbastanza.

Abbiamo cose più importanti davanti a noi. Ho scoperto un passaggio nella catena

dei monti: di là s’estende un’immensa pianura di pietra, abbandonata da poco

270 dalle acque. Saremo i primi a stabilirci là, popoleremo territori sconfinati, noi e i

nostri figli.

– Il mare, è sconfinato, – disse Lll.

– Smettila di ripetere le fandonie di quel vecchio rimbambito. Il mondo è di

chi ha gambe, non dei pesci, lo sai.

275 – So che lui è uno che è uno, – disse Lll.

– E io?

– Nessuno c’è di quelli con le gambe che sia uno come lui.

– E la tua famiglia?

– Ci ho litigato. Non hanno mai capito niente.

280 – Ma sei matta! Non si può mica tornare indietro!

– Io sì.

– E cosa vuoi fare, tu sola con un vecchio pesce?

– Sposarlo. Tornare pesce con lui. E mettere al mondo altri pesci. Addio.

E, con un’ultima arrampicata delle sue, salì fino in cima a un’alta foglia di

285 felce, l’inclinò verso la laguna, e si lasciò andare in un tuffo. Riemerse, ma non era

sola: la robusta coda falcata del prozio N’ba N’ga affiorò vicino alla sua e insieme

fendettero le acque.

Fu una batosta dura per me. Ma poi, che farci? Continuai la mia strada, in mezzo

alle trasformazioni del mondo, anch’io trasformandomi. Ogni tanto, tra le tante

290 forme degli esseri viventi, incontravo qualcuno che «era uno» più di quanto io

non lo fossi: uno che annunciava il futuro, ornitorinco che allatta il piccolo uscito

dall’uovo, giraffa allampanata in mezzo alla vegetazione ancora bassa; o uno che

testimoniava un passato senza ritorno, dinosauro superstite dopo ch’era cominciato

il Cenozoico,10 oppure – coccodrillo – un passato che aveva trovato il modo

295 di conservarsi immobile nei secoli. Tutti costoro avevano qualcosa, lo so, che li

rendeva in qualche modo superiori a me, sublimi, e che rendeva me, in confronto

a loro, mediocre. Eppure non mi sarei cambiato con nessuno di loro.

 >> pagina 1010 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Le righe in corsivo poste come preambolo a ogni racconto sono tratte dai testi scientifici cui l’autore si è ispirato; servono da impulso alla narrazione e, allo stesso tempo, da sommario di quanto verrà raccontato di seguito. In questo caso, l’incipit fa riferimento al periodo geologico del Carbonifero, in cui i primi esseri vertebrati, abbandonata la vita nell’acqua, iniziano a popolare la terra. Riconducendo la biologia a dimensioni domestiche, il narratore racconta, apparentemente, una vicenda di scontro generazionale tra uno zio, vecchio e bisbetico, che ancora vive come pesce, e i nipoti che hanno invece guadagnato la terra.

L’evoluzione procede verso la perfezione? Questa è l’idea che ha Qfwfq, e la prima parte del racconto sembrerebbe confermarla: il vecchio zio, un avanzo del passato (rr. 59-60), è presentato come un vero e proprio mostro (r. 132) dagli occhi tondi e inespressivi come pietre (rr. 130-131) che fa pulsare le branchie ai lati dell’enorme gola (r. 131); Lll, che simboleggia il balzo evolutivo, è al contrario caratterizzata da una bellezza e da una grazia fatta di pelle liscia (r. 97), di mosse saettanti (r. 103) e di modi raffinati che le provengono dall’educazione familiare (I parenti di Lll mi davano un po’ di soggezione: erano una di quelle famiglie che per essersi stabilite a terra in epoca più antica avevano finito per convincersi di stare qui da sempre, rr. 100-102). Agli occhi di Qfwfq, Lll rappresenta in tutto e per tutto la perfezione: vedevo in lei la forma perfetta, definitiva, nata dalla conquista dei territori emersi (rr. 202-203).

In realtà, l’intero racconto è costruito in modo da deludere l’orizzonte d’attesa di Qfwfq e, con esso, quello del lettore. Le convinzioni del protagonista circa un disegno armonico del ritmo evolutivo (gli esseri devono passare dall’acqua alla terra) è incrinato proprio da Lll, che, mandando in frantumi la cristallina geometria del progresso, mostra chiaramente come l’evoluzione non presenti uno sviluppo univoco e lineare. La sua decisione di sposare il vecchio zio per tornare pesce vanifica l’illusione che la vita (e dunque anche l’umanità) percorrano un itinerario continuo verso la sicurezza e la felicità.

Le scelte stilistiche

Lo stile delle Cosmicomiche è conseguenza della scelta di ripetere, in chiave moderna e ironica, le grandi narrazioni dei miti delle origini. Il monologismo epico (cioè quel tipo di discorso, proprio dei testi antichi, che riconduce ogni idea, ogni concetto e ogni ragionamento a una ratio unica e indubitabile) si frantuma attraverso lo spassoso accostamento del linguaggio quotidiano a quello scientifico e la mescolanza di classificazione scientifica e percezione comune. Si ottiene così una prosa che non eccede in tecnicismi (le definizioni specialistiche – coda falcata, rr. 159 e 286, respirazione […] aerea, rr. 187-188 – quasi non risaltano sul resto del tessuto lessicale) e che anzi ricorre ironicamente alle frasi fatte della lingua parlata (Il pesce attaccò una solfa delle solite, r. 187, e Adesso Lll salta su e gli risponde per le rime!, rr. 188-189).

Escluse le parti più propriamente descrittive, il racconto è basato sull’alternarsi di momenti dialogici e di pause di riflessione condotte da Qfwfq tra sé e sé. I dialoghi sono a tratti bruschi e pungenti, soprattutto quando si tratta dei botta e risposta tra lo zio e il protagonista (Potete pulirvici quelle verruche schifose che avete addosso, con le vostre blatte puzzolenti!, rr. 32-33). La prosa si distende invece nei monologhi interiori di Qfwfq, nei quali il tono si fa più serio e viene interpretato il senso dei gesti e delle parole dei personaggi.

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Che cosa si aspetta lo zio che vede arrivare i nipoti dalla terraferma?


2 Su che cosa il narratore e lo zio N’ba N’ga hanno opinioni diverse?


3 Perché Qfwfq ha timore di portare Lll a conoscere il vecchio zio? Come reagisce lei quando questo avviene?

ANALIZZARE

4 Rintraccia i passi del testo in cui le descrizioni fisiche del vecchio zio e della giovane e bella Lll appaiono, agli occhi di Qfwfq, in netta contrapposizione.


5 Nel racconto Calvino utilizza proverbi e modi di dire adattati a una realtà remota nel tempo. Individuali e spiegane il significato.

INTERPRETARE

6 Perché Lll considera Qfwfq uno a metà strada, uno che non era nel suo né in un mondo né nell’altro (r. 250)?


7 Che cosa significa la frase di Lll So che lui è uno che è uno (r. 275)?

 >> pagina 1012 

COMPETENZE LINGUISTICHE

8 Il lessico scientifico utilizzato da Calvino nel brano proviene soprattutto da due discipline, la biologia e la geologia. Individua almeno cinque termini per ciascuna di esse.


 Lessico della biologia

Lessico della geologia


 


 


 

Produrre

9 Produrre per esporre. A differenza che nel mondo anglosassone, in Italia gli autori di fantascienza hanno sempre incontrato molte resistenze; celebre a tal proposito è la dichiarazione dello scrittore Carlo Fruttero (1926-2012): «Un disco volante non può atterrare a Lucca». Svolgi una ricerca sulla cosiddetta SF (Science Fiction) italiana: la sua nascita e diffusione, gli scrittori principali, le collane editoriali. Elabora i risultati in un testo espositivo di circa 40 righe.

Per approfondire La condizione postmoderna

Lo spirito di un’epoca

Abbiamo visto [ p. 721] che la nozione di Postmoderno, con cui viene definita la cultura contemporanea, è tanto generale da risultare difficilmente circoscrivibile entro un progetto unitario di poetica. Influenzato dalle teorie filosofiche dello Strutturalismo e del Decostruzionismo (la metodologia critica che mette in luce le contraddizioni concettuali e linguistiche che impediscono a un testo di emettere un messaggio “compiuto” e coerente), in ambito letterario lo spirito postmoderno ha fatto proprie alcune strategie testuali e certe particolari sensibilità: dalla cancellazione dei confini tra cultura alta e cultura bassa, tra arte d’élite e produzione di massa, al gusto per la riscrittura e l’intertestualità; dall’esibizione della finzione narrativa alla contaminazione di moduli e stili disparati; dalla vocazione per il citazionismo ai giochi della scrittura combinatoria.

L’ordine nel disordine

Come già era avvenuto con il Neorealismo, Calvino interpreta anche questa tendenza culturale in una chiave originale, mettendo a frutto, nella sua ultima produzione, la passione per la scrittura “vincolata”, l’adesione alle teorie strutturaliste e l’esperienza vissuta all'interno dell’Oulipo. Il risultato è un postmoderno che potremmo definire attenuato, perché l’autore non adotta tecniche narrative forzatamente rinnovate o reinterpretate né si arrende alle tensioni più irrazionalistiche che caratterizzano invece una parte della produzione artistica postmoderna. Anche in queste opere, infatti, Calvino prosegue, per altre vie, quella «sfida al labirinto» già avviata negli anni precedenti: romanzi come Le città invisibiliIl castello dei destini incrociati e Se una notte d’inverno un viaggiatore testimoniano dell’ancora accesa tensione dello scrittore verso la costruzione di un ordine delle parole, delle idee e delle immagini che proponga un modello razionale di sistemazione del reale.

Si può ridurre la realtà a uno schema logico?

Lungi dall’essere una resa al disimpegno, come alcuni critici gli hanno rimproverato, le scritture postmoderne di Calvino risultano delle nuove sfide conoscitive che, sganciandosi da una nozione classica di engagement, intesa come partecipazione attiva dell’intellettuale “organico” ai problemi sociali e politici, tentano l’ambizioso progetto di disegnare una nuova e coerente immagine del mondo. Tuttavia va riconosciuto che i giochi combinatori e metaletterari in cui lo scrittore si lancia mostrano alcuni limiti, testimonianza di una duplice impossibilità: rappresentare la complessità della vita ma anche rinunciare a farlo.

Calvino procede per tentativi, sempre parziali: nelle Città invisibili abbiamo un elenco di descrizioni che, sebbene appaia esaustivo, lascia sempre dei dubbi sul reale accordo tra la verità e le parole usate per dirla. Nel Castello dei destini incrociati, la macchinosa costruzione di un contro-labirinto interpretativo da opporre al labirinto del mondo denuncia l’impotenza di un congegno narrativo che possa esaurire le possibilità del reale. Infine, in Se una notte d’inverno un viaggiatore, ognuno dei dieci incipit, nel disegnare una strada nel caos del mondo, mette in luce l'impossibilità del narratore-Calvino di riassumere sulla pagina tutta la realtà: la materia risulta così razionalmente incontenibile che l'autore non può più illudersi di possederla.

 >> pagina 1013
I grandi temi di Calvino

1  La Resistenza e l’esordio neorealista

l’esigenza di raccontare le esperienze vissute nella lotta partigiana

la letteratura concepita come strumento d’azione nella società

• l’elaborazione di un Neorealismo sui generis, basato sulla trasfigurazione fiabesca dei dolorosi eventi della guerra

2 La narrazione fantastica

l’impegno intellettuale e filosofico espresso soprattutto attraverso l’immaginazione e il travestimento fiabesco della realtà

la fantasia e le trovate surreali come spiegazione del mondo e come lettura della contemporaneità

3 La critica alla società del benessere

 lo scrittore come guida per non «perdersinel labirinto» della civiltà moderna

 l’osservazione e l’interpretazione delletendenze della società industriale attraversodue diversi approcci: quello analiticoe quello ironico

4 Tra scienza e fantascienza

 la contaminazione tra letteraturae scienza nel racconto “cosmicomico”

Vola alta parola - volume 6
Vola alta parola - volume 6
Dal Novecento a oggi