T3 - Il trionfo della volgarità (Il piacere)

T3

Il trionfo della volgarità

Il piacere, IV, cap. 3

Siamo all’epilogo del romanzo: gli arredi e i cimeli dell’abitazione di Maria Ferres, l’aristocratica sulla quale Andrea Sperelli aveva trasferito la propria passione mai sopita per Elena Muti, sono messi all’asta a causa del fallimento del marito per debiti di gioco. Andrea assiste alla spoliazione della dimora: circondato da una folla di facchini e mercanti, prende coscienza della fine del proprio sogno di bellezza, ormai definitivamente schiacciato dalla volgarità dilagante.

La mattina del 20 giugno, lunedì, alle dieci, incominciò la publica vendita delle

tappezzerie e dei mobili appartenuti a S. E. il Ministro plenipotenziario del

Guatemala.1

Era una mattina ardente. Già l’estate fiammeggiava su Roma. Per la via Nazionale

5      correvano su e giù, di continuo, i tramways, tirati da cavalli che portavano certi

strani cappucci bianchi contro il sole. Lunghe file di carri carichi ingombravano la

linea delle rotaie. Nella luce cruda, tra le mura coperte d’avvisi multicolori come

d’una lebbra, gli squilli delle cornette si mescevano allo schiocco delle fruste, agli

urli dei carrettieri.

10    Andrea, prima di risolversi a varcare la soglia di quella casa, vagò pe’ marciapiedi,

alla ventura, lungo tempo, provando una orribile stanchezza, una stanchezza

così vacua e disperata che quasi pareva un bisogno fisico di morire.

Quando vide uscir dalla porta su la strada un facchino con un mobile su le spalle,

si risolse. Entrò, salì le scale rapidamente; udì, dal pianerottolo, la voce del perito.2

15    «Si delibera!»

Il banco dell’incanto3 era nella stanza più ampia, nella stanza del Buddha. Intorno,

s’affollavano i compratori. Erano, per la maggior parte, negozianti, rivenditori

di mobili usati, rigattieri: gente bassa. Poiché d’estate mancavano gli amatori,

i rigattieri accorrevano, sicuri d’ottenere oggetti preziosi a prezzo vile.4 Un cattivo

20    odore si spandeva nell’aria calda, emanato da quegli uomini impuri.

«Si delibera!»

Andrea soffocava. Girò per le altre stanze, ove restavano soltanto le tappezzerie

su le pareti e le tende e le portiere, essendo quasi tutte le suppellettili radunate nel

luogo dell’asta. Sebbene premesse un denso tappeto, egli udiva risonare il suo passo,

25    distintamente, come se le volte fossero piene di echi.

Trovò una camera semicircolare. Le mura erano d’un rosso profondo, nel quale

brillavano disseminati alcuni guizzi d’oro; e davano imagine d’un tempio e d’un

sepolcro; davano imagine d’un rifugio triste e mistico, fatto per pregare e per morire.

Dalle finestre aperte entrava la luce cruda, come una violazione; apparivano gli

30    alberi della Villa Aldobrandini.5

Egli ritornò nella sala del perito. Sentì di nuovo il lezzo. Volgendosi, vide in

un angolo la principessa di Ferentino con Barbarella Viti. Le salutò, avvicinandosi.

«Ebbene, Ugenta,6 che avete comprato?»

«Nulla».

35    «Nulla? Io credevo, invece, che voi aveste comprato tutto».

«Perché mai?»

«Era una mia idea... romantica».7

La principessa si mise a ridere. Barbarella la imitò.

«Noi ce ne andiamo. Non è possibile rimaner qui, con questo profumo. Addio,

40    Ugenta. Consolatevi».

Andrea s’accostò al banco. Il perito lo riconobbe.

«Desidera qualche cosa il signor conte?»

Egli rispose:

«Vedrò».

45    La vendita procedeva rapidamente. Egli guardava intorno a sé le facce dei rigattieri,

si sentiva toccare da quei gomiti, da quei piedi; si sentiva sfiorare da quegli

aliti. La nausea gli chiuse la gola.

«Uno! Due! Tre!»

Il colpo di martello gli sonava sul cuore, gli dava un urto doloroso alle tempie.

50    Egli comprò il Buddha, un grande armario,8 qualche maiolica, qualche stoffa.

A un certo punto udì come un suono di voci e di risa feminili, un fruscio di vesti

feminili, verso l’uscio. Si volse. Vide entrare Galeazzo Secìnaro9 con la marchesa di

Mount Edgcumbe, e poi la contessa di Lùcoli, Gino Bommìnaco, Giovanella Daddi.

Quei gentiluomini e quelle dame parlavano e ridevano forte.

55    Egli cercò di nascondersi, di rimpicciolirsi, tra la folla che assediava il banco.

Tremava, al pensiero d’essere scoperto. Le voci, le risa gli giungevano di sopra le

fronti sudate della folla, nel calor soffocante. Per ventura, dopo alcuni minuti, i

gai10 visitatori se ne andarono.

Egli si aprì un varco tra i corpi agglomerati, vincendo il ribrezzo, facendo uno

60    sforzo enorme per non venir meno. Aveva la sensazione, in bocca, come d’un sapore

indicibilmente amaro e nauseoso11 che gli montasse su dal dissolvimento del

suo cuore. Gli pareva d’escire, dai contatti di tutti quegli sconosciuti, come infetto

di mali oscuri e immedicabili. La tortura fisica e l’angoscia morale si mescolavano.

Quando egli fu nella strada, alla luce cruda, ebbe un po’ di vertigine. Con un

65    passo malsicuro, si mise in cerca d’una carrozza. La trovò su la piazza del Quirinale;

si fece condurre al palazzo Zuccari.12

Ma, verso sera, una invincibile smania l’invase, di rivedere le stanze disabitate.

Salì, di nuovo, quelle scale; entrò col pretesto di chiedere se gli avevano i facchini

portato i mobili al palazzo.

70    Un uomo rispose:

«Li portano proprio in questo momento. Ella dovrebbe averli incontrati, signor

conte».

Nelle stanze non rimaneva quasi più nulla. Dalle finestre prive di tende entrava

lo splendore rossastro del tramonto, entravano tutti gli strepiti della via sottoposta.13

75    Alcuni uomini staccavano ancóra qualche tappezzeria dalle pareti, scoprendo

il parato di carta a fiorami volgari, su cui erano visibili qua e là i buchi e gli strappi.

Alcuni altri toglievano i tappeti e li arrotolavano, suscitando un polverio denso che

riluceva ne’ raggi. Un di costoro canticchiava una canzone impudica. E il polverio

misto al fumo delle pipe si levava sino al soffitto.

80    Andrea fuggì.

Nella piazza del Quirinale, d’innanzi alla reggia, sonava una fanfara. Le larghe

onde di quella musica metallica si propagavano per l’incendio dell’aria. L’obelisco,

la fontana, i colossi grandeggiavano in mezzo al rossore e si imporporavano come

penetrati d’una fiamma impalpabile. Roma immensa, dominata da una battaglia

85    di nuvoli, pareva illuminare il cielo.

Andrea fuggì, quasi folle. Prese la via del Quirinale, discese per le Quattro Fontane,

rasentò i cancelli del palazzo Barberini che mandava dalle vetrate baleni;

giunse al palazzo Zuccari.

I facchini scaricavano i mobili da un carretto, vociando. Alcuni di costoro portavano

90    già l’armario su per la scala, faticosamente.

Egli entrò. Come14 l’armario occupava tutta la larghezza, egli non poté passare

oltre. Seguì, piano piano, di gradino in gradino, fin dentro la casa.

 >> pagina 565 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Il degrado ha vinto. La vendita all’asta con cui si chiude Il piacere ha una chiara valenza simbolica: la società aristocratica cede il passo agli appetiti bestiali della gente bassa (r. 18). Gli ideali a cui Andrea Sperelli ha velleitariamente tentato di conformare la propria esistenza finiscono travolti dall’impurità dell’indegno mercato di oggetti raffinati: il sudore dei rigattieri e l’afa soffocante di una giornata romana di giugno avvolgono degnamente il trionfo della barbarie.

La profanazione della bellezza rappresentata dai mobili e dagli oggetti della casa di Maria Ferres è un atto carico di significati: non è semplicemente una dimora privata a essere spogliata; è piuttosto la società intera, ormai dominata da una massa di uomini impuri (r. 20), a travolgere stirpi antiche e a corrompere nobili tradizioni, definitivamente destinate a soccombere «sotto il grigio diluvio democratico odierno».

Erede (o, meglio, autoproclamatosi tale) dei signori rinascimentali, dinanzi alla scena avvilente di cui è spettatore, Sperelli percepisce uno strano malessere, sente quasi un bisogno fisico di morire (r. 12), è afferrato alla gola dalla nausea (r. 47), ha la sensazione di soffocare e deve fare uno sforzo enorme per non venire meno (rr. 59-60). Capisce di essere ormai sommerso dalla volgarità del quotidiano e che la sua avventura di dandy, trascorsa tra salotti eleganti e tappeti antichi, è fatalmente vicina al tramonto.

Come ha scritto Giancarlo Mazzacurati, l’asta a cui il protagonista assiste costituisce per lui l’«allegoria di un funerale a più feretri: di un amore, di un’illusione sociale, di un modo di esistere». Quasi controvoglia, decide di acquistare anch’egli qualche oggetto, più per sottrarlo alle sudice mani di qualche mercante che per vero piacere. Così, nella scena finale del brano e del romanzo, lo vediamo salire lentamente, di gradino in gradino, le scale di Palazzo Zuccari: sta seguendo un corteo di facchini intenti a trasportare a casa sua un armadio. Anche qui la dimensione simbolica è scoperta: è come se Sperelli stesse partecipando a un corteo funebre e quell’armadio ingombrante fosse una cassa da morto, entro la quale riposa, ormai sconfitto per sempre, il suo progetto di esteta.

 >> pagina 566

Le scelte stilistiche

La dimensione simbolica che avvolge la conclusione del romanzo affiora in modo inequivocabile dalle scelte lessicali del narratore, le quali esprimono senza mezze misure il ribrezzo provato dinanzi all’invasione della bassa trivialità. Gli avvisi multicolori (r. 7) che coprono come fosse lebbra (r. 8) le mura della dimora che sta per essere depredata e gli squilli delle cornette che si mischiano allo schiocco delle fruste e agli urli dei carrettieri (rr. 8-9) annunciano la violenza grossolana dell’asta, dove faranno man bassa uomini laidi, desiderosi solo di fare affari. Tra facchini, negozianti, rivenditori di mobili usati, rigattieri (rr. 17-18), l’atmosfera è ripugnante: d’Annunzio lo sottolinea ricercando l’effetto della sgradevolezza. A questo scopo, insiste su una rappresentazione disturbante di odori e particolari fisici: parla di lezzo (r. 31), di profumo (r. 39), inteso antifrasticamente come “puzzo”, di “facce”, di gomiti, di piedi, di aliti (r. 47) che ammorbano l’aria, di fronti sudate (r. 57). Il contagio non ammette nemmeno una forma minima di decoro: nelle stanze, ormai vuote dopo il saccheggio, non rimangono che gli ultimi oggetti da portar via. A incaricarsi del compito sono un drappello di servitori, che senza rispetto fumano e cantano canzoni scurrili.

Verso le COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Qual è la condizione psicologica di Sperelli che emerge nel brano?


2 Quali oggetti compra il protagonista?


3 Perché, dopo essere rincasato, decide di ritornare nella casa di Maria?


4 Riassumi la scena finale del brano

Analizzare

5 Nota la tendenza di d’Annunzio a usare consonanti scempie latineggianti: publica (r. 1), imagine (r. 27), feminili (r. 51): quale potrebbe essere, a tuo parere, la ragione di tale scelta?

Interpretare

6 Come in tutto il romanzo, anche nel suo brano conclusivo Roma svolge un ruolo fondamentale, ben al di là di quello di un semplice sfondo. Che aspetto assume la città nella narrazione? Come interferisce, a tuo giudizio, sullo stato d’animo del protagonista?


7 Il narratore riporta un breve ma significativo dialogo tra Sperelli e una nobildonna, sua conoscente. Che tipo di rapporto emerge tra il protagonista e gli altri nobili presenti all’asta?

Produrre

8 Scrivere per descrivere. Indossa i panni del cronista e immagina di essere stato incaricato dal direttore del giornale per cui lavori di scrivere un articolo di cronaca (ma anche di costume) sull’evento narrato da d’Annunzio: l’asta dei beni di una facoltosa famiglia aristocratica. Scrivi il tuo pezzo di circa 40 righe, mettendo in luce soprattutto gli aspetti più curiosi della situazione.


9 Scrivere per confrontare. Qualche osservatore ha accostato le atmosfere romane del Piacere a quelle descritte da Paolo Sorrentino nel film La grande bellezza, premio Oscar nel 2013. Quali elementi possono accomunare le due rappresentazioni della Città eterna? Rispondi in circa 20 righe.

Dibattito in classe

10 L’immagine che D’Annunzio dà della gente bassa è estremamente negativa: la “gente comune” appare gretta, volgare, incapace di apprezzare la bellezza dell’arte se non per il suo valore economico. Questo atteggiamento elitario però contrasta con la ricerca costante di successo presso un pubblico sempre più vasto. Com’è stato possibile, secondo te, conciliare questi due estremi? Discutine con i compagni.

Vola alta parola - volume 5
Vola alta parola - volume 5
Il secondo Ottocento